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Ilva: Taranto, o mangi o respiri. Il dilemma irrisolto Un senso di comunità da ritrovare

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Nella foto, quanto accaduto ieri mattina in una casa di Taranto. Rione Tamburi. Immagine tratta da un video diffuso da un membro del gruppo social network Sei di Taranto se… e che documenta quale sia la situazione nella città ionica, in tema di inquinamento, dopo dodici decreti Ilva, ad esempio: non è cambiato niente, in sostanza. Quelle sul pavimento sono le particelle inquinanti trasportate nell’aria che viene respirata, respiro dopo respiro.

Ora, al centro dell’attenzione per ciò che riguarda l’Ilva, c’è la questione occupazionale con la prospettiva di 3311 lavoratori a casa, per decisione della nuova proprietà. Viene chiesta dai lavoratori la solidarietà del contesto sociale, perché è una battaglia non solo dei lavoratori ma dell’intera comunità. Basti leggere cosa viene commentato da altri, non pochi, cittadini tarantini, per capire come sia un percorso difficile da realizzare, quello di una comunità di intenti, ancor più difficile della trattativa sindacale, forse. Gente che non vuole il blocco eventuale della città per manifestazioni, perché dice che al momento dei morti (un momento che non finisce mai) causa inquinamento, gli altri dov’erano. E poi c’è la politica che è stata sempre clamorosamente (non involontariamente?) assente, in concreto, nella rivendicazione di migliori di condizioni di vita: che non sono migliori condizioni retributive, solo. Poi c’è la stampa che ha fatto oggettivamente poco la sua parte, per denunciare: decenni su decenni. Emblematico, al riguardo, quanto al sottoscritto disse il primario di ematologia dell’ospedale nord di Taranto, alla richiesta di dati sulle insorgenze tumorali: meno male che qualcuno si è ricordato, perché finora non è venuto nessuno.

Ecco, c’è una vertenza sindacale difficilissima. Ma non è la cosa più difficile. Perché interviene in una città che non ha risolto, ancora, il suo pluridecennale, shakespeariano dilemma: o mangi o respiri. Ognuno va per conto suo, l’intento comune non c’è. Perché, ad esempio fra i danneggiati, ognuno ha avuto il suo danno e vorrebbe vederlo riparato, prima di vedere riparato quello degli altri. Tutti gravi ma non coincidenti. Figurarsi poi, gli eventuali portatori di interessi, diciamo, poco nobili.

Allora: un passo avanti gli uni verso gli altri, da parte di tutti i danneggiati perché, irrisolto il dilemma, tanto lontano non si va, a Taranto. Nessuno. E non può essere solo un ripescaggio di una squadra di calcio in serie C, a portare in strada ventimila persone (come è accaduto, a Taranto, due anni fa: una città che drammaticamente o mangiava o respirava, ma vuoi mettere il ripescaggio nel campionato di calcio). Altrimenti è finita davvero.

Agostino Quero




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