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Taranto: il Nettuno della discordia Intervento

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Di Augusto Ressa:

Il Nettuno della discordia.

Negli ultimi tempi imperversa alle nostre latitudini la moda della street art mietendo  sul web ampi consensi ed esclamazioni di meraviglia e di evviva, quasi fosse il concretizzarsi di un segreto, inconfessato sogno collettivo. L’onda dell’entusiasmo a Taranto si infrange tuttavia sulla polemica sorta a proposito del murales che riproduce su una estesa parete laterale di un edificio degli anni ’70 del Borgo umbertino, l’immagine della statua del Nettuno del Giambologna, una delle immagini più rappresentative della città di Bologna. La disputa riguarda due opposti schieramenti: l’uno si esprime a favore dell’opera, ritenendo che la scelta del Nettuno sia appropriata,  legata com’è alle origini mitologiche della città, cogliendo inoltre nella scelta grafica valenze artistiche e simboliche condivisibili e pertinenti  al contesto; l’altro ritiene invece che quell’immagine sia del tutto estranea alla storia di Taranto.  I detrattori sottolineano inoltre che quella riproduzione fuori scala procura un negativo impatto percettivo sul panorama della città e del Borgo ottocentesco.

A nessuno sfugge che la nostra è la civiltà dell’immagine, e che punti nevralgici di  grandi città sono di fatto i luoghi privilegiati per l’esposizione di opere grafiche di grande impatto. Basti pensare al Piccadilly Circus a Londra o a Times Square a New York, i cui edifici, sia storici che contemporanei, fungono da supporto ad immagini dinamiche, realizzate utilizzando sofisticate tecnologie da importanti team di creativi per pubblicizzare brand di fama internazionale. Milano esibisce in pieno centro i grandi pannelli con creazioni di famosi fotografi e grafici, coinvolti nella campagna pubblicitaria di aziende disposte a pagare a peso d’oro l’occupazione di intere facciate di immobili privati e pubblici. Bastino per tutti, gli immensi billboard di Giorgio Armani in via Broletto. A Rotterdam il grattacielo di Renzo Piano, il Toren op Zuid, offre una facciata di 3.600 metriquadri utilizzata come cartellone elettronico per proiezioni grafiche e spettacoli artistici. Non penso  che l’immagine artistica  utilizzata a fini commerciali ne svilisca il valore, d’altro canto il rapporto si dipendenza fra le arti e il potere, sia esso economico, politico o religioso, è e sarà sempre ben saldo. L’arte libera, specie per quanto riguarda la street art appartiene alla dimensione trasgressiva dei pionieri e, ai nostri tempi, a quella clandestina di frange contestatrici. Perciò l’innocuo Nettuno del Giambologna, nella sua statica fissità e con le pudenda coperte da astratti inserti cromatici, è davvero cosa modesta a fronte degli esempi finora esposti. Taranto poi non è alla prima esperienza quanto ad immagini alla grande scala lungo i prospetti degli edifici che affacciano sul mare. Basti pensare al grande pannello in ceramica policroma (140 metriquadri) voluto dall’allora sindaco Rossana Di Bello in corrispondenza della facciata della Palestra dell’Istituto comprensivo Galileo Galilei in Città Vecchia. Anche lì, come nel Borgo, il tentativo fu di correggere un orrore architettonico, e anche lì si puntò al mito con la rappresentazione del fondatore della città, Falanto, raffigurato fra le braccia della moglie Etra. Falanto e Nettuno, visibili dal Mar Grande, belli, brutti, compatibili con il contesto, pertinenti? Certo POP, forse Kitch. Ma il Kitch, per dirla con Moles Abraham e con la benedizione di Alessandro Mendini, non è poi l’arte della felicità?

*architetto

 




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