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Eni: raffineria di Taranto e le altre 12, ancora chiuse. L’interesse dei cittadini deve andare oltre il fare benzina Cosa succede e perché

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Si è parlato di psicosi, perfino. Una città impazzita, a rischio di rimanere senza benzina in macchina. Una città e un territorio.Poi, la notizia di una riapertura dei rubinetti. Poi una notizia di diverso tenore: bene che vada, bisogna ancora aspettare la decisione di un giudice. Intanto i tarantini, gli abitanti nella provincia e anche oltre, non sanno se domani, andando ad esempio alla colonnina del gasolio, trovino il gasolio. Non ovunque, possiamo iniziare a dire. O la benzina. Perché il sequestro dei contatori in tredici raffinerie Eni d’Italia, fra cui quella di Taranto, sta provocando i suoi bei problemini di approvvigionamento. Già da queste prime giornate. All’Eni, acqua (benzina magari no) in bocca: non si parla. Né delle prospettive giudiziarie, né di quelle legate alla funzionalità degli impianti. Senonché, almeno riguardo alla funzionalità, qualcosina si riesce a carpire.

Con le tredici raffinerie bloccate, vi sono alcuni impianti che dovranno funzionare a più che pieni giri. Falconara, Milazzo, Napoli, Pomezia, Priolo, Ravenna, Vado Ligure, Volpiano, dovranno soddisfare le esigenze anche di tutti gli altri, per qualche giorno almeno, fino a quando l’istanza di dissequestro o almeno di facoltà di uso degli impianti, non trovi una risposta positiva da parte del giudice per le indagini preliminari di Roma. Il pm, ieri, aveva detto ok: oggi il gip, oggi, stando ad alcune versioni aveva detto no, stando ad altre indiscrezioni (aggiornate a poco prima delle sette di sera) non aveva ancora deciso.

Cosa succede all’atto pratico, con la raffineria di Taranto inutilizzabile ancorché piena stracolma di prodotti petroliferi: le autocisterne arrivano dal resto d’Italia, dunque. Il che, a scadenza di medio termine (o anche breve) significa inevitabilmente, non garantire il potenziale massimo ai gestori locali. Che, si badi bene, sono quelli di Puglia, Calabria, Basilicata e chissà cos’altro ancora, facenti capo a Taranto. Di carburanti Eni ma anche di altre compagnie, dato che la raffinazione a Taranto avviene. E al momento, lì si ferma.

Perché il sequestro: si ipotizza, con l’inchiesta della procura di Roma, che siano state evase le accise per dieci milioni di euro, rispetto a quaranta milioni di euro di carburanti fatti uscire dagli impianti. Dunque, un’evasione fiscale. In un contesto che fa capo allo Stato (i vertici Eni sono indicati dal governo). Eni si reputa parte offesa, in questa vicenda giudiziaria.

Le accise si pagano in questo modo: viene calcolata la quantità di prodotto petrolifero smerciata, dalla raffineria al gestore, a una temperatura convenzionale di 15 gradi centigradi (perché la temperatura ha una sua importanza, nel determinare la quantità di prodotto, ovviamente). Nella bolla di consegna del prodotto petrolifero, si indica il peso specifico, la quantità rilasciata alla temperatura del momento.

Un’ipotesi di violazione in tema di accise, può verificarsi nel formalizzare la quantità di prodotto rilasciata, rispetto a quella realmente rilasciata. Da qui, il sequestro dei contatori, nel caso specifico di questi giorni (di cui sembriamo essere proprio in pochi, organi di informazione, a occuparcene in tutta Italia).

Ma, in un contesto di eventuale evasione di accise tanto consistente, chi ne avrebbe beneficiato? E perché?

Questo l’interrogativo, molto preoccupante senza alcun dubbio, rispetto al quale diventa di secondo piano, la coda dal benzinaio.




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