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Ex Ilva-banca popolare di Bari, e la bomba di Brindisi è quella che fa meno paura Le situazioni disastrose della prima industria e della prima banca di Puglia

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Di Pietro Andrea Annicelli:

L’evacuazione di cinquantatremila brindisini su ottantasettemila in un raggio di 1617 metri dalla bomba sganciata dalla Raf inglese nel 1941, rinvenuta il 2 novembre scorso in seguito ai lavori al cinema Andromeda, è la notizia spettacolare in queste ore. Già questa sera sono attive le quattro aree di accoglienza per quei cittadini che non si alzeranno presto per lasciare le loro abitazioni tra le 5.30 e le 8.00 prima delle operazioni di disinnesco previste dalle 9.30 alle 12.00. Se però si guarda oltre un rischio grande, ma che appare sotto controllo, a rendere incerto il futuro dei pugliesi nei giorni che avvicinano al Natale sono altre bombe. Figurate, ma non meno minacciose.
A Taranto si stanno riavviando le operazioni preliminari di spegnimento dell’altoforno 2, interrotte a settembre dopo la proroga di tre mesi per ottemperare alle prescrizioni fissate dalla magistratura per ridurre il potenziale inquinante. E il commissariamento della Banca Popolare di Bari, deciso da Bankitalia, ha messo in agitazione la maggioranza che sostiene l’esecutivo nazionale. Più in generale c’è un problema di crescita dell’economia pugliese: la produttività resta inferiore alle possibilità. E, siderurgico di Taranto a parte, le ragioni sono antiche. Inadeguatezza delle infrastrutture. Scarsa qualità dei servizi pubblici. Ambienti poco propensi a favorire l’impresa e l’occupazione. Poca concorrenza anche a causa di personale non motivato, corruzione, evasione fiscale, criminalità.
La vicenda recente di quello che resta il più grande impianto di produzione a ciclo integrale d’Europa dimostra come la classe politica che doveva essere alternativa a quella dei dodici decreti salva-Ilva non si sia dimostrata migliore. Senza arrivare alla figuraccia del ministro Luigi Di Maio, colpito e affondato ad aprile dall’onestà intellettuale del docente d’italiano e ambientalista storico Alessandro Marescotti, il tira-e-molla sulla cosiddetta immunità penale è servito solo ad agevolare l’ipotesi di smantellare per trasferire altrove le quote di produzione dell’acciaio che, nei cattivi pensieri, è attribuita ad Arcelor Mittal. Poco male se ci fosse una pianificazione alternativa all’eventuale disimpegno, con precise scansioni temporali, per sostituire l’industria pesante con il risanamento dell’area e insediamenti adeguati a un’idea smart di città mediterranea quale Taranto potrebbe essere. Ma una politica industriale, in Italia, manca da almeno una generazione. Forse due. Ed è la ragione per cui lo spegnimento di Afo2 rischia di diventare un salto nel buio.
Secondo Bankitalia, la crisi del siderurgico, la cui produzione di 4,5 milioni di tonnellate d’acciaio è già sottodimensionata, avrà nel 2020 degli effetti sull’economia pugliese che si aggiungeranno al rallentamento di quella mondiale e alla stagnazione di quella italiana. La Svimez ha fatto i calcoli: se l’impianto chiudesse, gli effetti diretti e indiretti sarebbero di 3,5 miliardi di euro l’anno: 2,6 in Puglia, lo 0,9 nel Centro-Nord. Il riverbero sarebbe sulla filiera produttiva interessata agli acciai speciali: automobili, elettrodomestici, opere pubbliche, imbarcazioni.
L’impatto sarebbe dello 0,2% sul pil nazionale, dello 0,7% su quello del Mezzogiorno. Il piano industriale 2018-2023 di Am Investco, oggi prima azienda produttrice d’acciaio in Italia, prevedeva invece di attuare 22,5 miliardi d’investimento pari all’1,3% del pil italiano, il 4,2% di quello dell’area dove si produce. Un bel guaio al quale va aggiunto il possibile effetto della riconversione dell’industria automobilistica tedesca, con riflessi sulla subfornitura di componentistica prodotta in Puglia.
La vicenda della Popolare di Bari, stando alla cronaca delle accuse, pare invece una classica storia di ordinaria gestione disinvolta dell’ultima banca medio-grande del sud a vent’anni dall’abrogazione, negli Stati Uniti, del Steagall-Glass Act che, dagli anni successivi alla grande crisi del 1929, impediva alle banche di svolgere contemporaneamente la raccolta del risparmio e investimenti nella finanza speculativa, condizione di crisi come quella dei mutui subprime del 2007. Si parla d’un decennio di bilanci opachi, fidi milionari concessi senza adeguate garanzie, titoli a rischio venduti a ignari risparmiatori. La magistratura farà il suo corso, ma nel frattempo il governatore Michele Emiliano e il sindaco di Bari, Antonio Decaro, paventano una reazione a catena sull’economia barese e oltre settantamila famiglie che perderebbero i loro risparmi.
Giuseppe Conte, da parte sua, ha promesso l’intervento del Governo. L’intenzione sarebbe potenziare il Mediocredito Centrale, banca riconducibile al Ministero del Tesoro la cui mission è finanziare l’imprenditorialità nel Mezzogiorno, per rilanciare la Popolare di Bari con un fondo interbancario trasformandola in una banca meridionale degli investimenti a partecipazione pubblica. L’idea è accattivante, ma occorrerà vedere quali ostacoli potranno venire dai due Matteo, Renzi e Salvini. Ognuno pare intenzionato, per ragioni di visibilità, a gestire la vicenda sul piano politico. E Di Maio ha colto l’occasione per riesumare, con toni giustizialisti, la commissione parlamentare sulle banche che più di qualche problema potrebbe creare nella maggioranza.
Una cosa è certa. Nel primo semestre l’economia pugliese, secondo Bankitalia, ha garantito una crescita occupazionale dell’1,4% in più dello stesso periodo dello scorso anno. Ciò viaggiando più veloce della media nazionale (0,5%) e in controtendenza al Mezzogiorno (-0,4%). Se non è sufficiente a recuperare i livelli pre-crisi, è indicativo d’una tendenza: la dinamica in settori come l’agroalimentare e il manifatturiero, oltre alla propensione dei pugliesi al lavoro autonomo, può almeno tamponare le bombe che minacciano l’economia.
Il piccolo resiste, il grande affonda: è, di questi tempi, il segnale più evidente di discontinuità con il passato. Per dare impulso alla crescita servono però gli investimenti pubblici. E due componenti razionali della previsione del futuro: la visione e la pianificazione.

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1 Comment

  1. Un adagio dice che l’Italia ha bisogno di ingegneri, più che di avvocati…
    V’è da chiedersi se i magistrati sappiano che spegnere in modo irreversibile un altoforno non è come spegnere il fornello di casa…

    Ma parliamo del problema a monte. Giustamente Annicelli ricorda l’abbandono negli Stati Uniti del Glass-Steagall Act. Anche se il regime bancario italiano era stato di separazione sulla base di criterî differenti, l’abbandono formale del Glass-Steagall Act nel 1999 portò, per contagio, alla rimozione degli ultimi ostacoli alla speculazione finanziaria nel settore transatlantico.
    Il Movimento Solidarietà, parte del movimento internazionale fondato da Lyndon LaRouche, fa campagna per il ripristino della separazione bancaria dal 2009.
    Come abbiamo ricordato agli ascoltatori di Radio 3 ieri mattino “tutti i partiti presentarono nelle scorse legislature dei disegni di legge per la separazione bancaria, senza la quale il salvataggio della banca [di Bari] può significare il salvataggio di speculatori. Perché non si muovono nel senso del ripristino della separazione bancaria? Perché questo dispiacerebbe all’UE?”
    Non invochiamo la separazione bancaria limitandoci a pensare alle sorti di questa banca; la legge è urgente in ragione dell’imminenza del collasso dell’intero sistema finanziario transatlantico.
    Invitiamo i lettori a visitare il nostro sito, a documentarsi e ad attivarsi per scongiurare il peggio.

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