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Fitto: manovra finanziaria, presentiamo la nostra proposta. Non contro ma più veloce e più forte I Conservatori e riformisti del leader salentino: serve uno choc fiscale, proponiamo 48 miliardi di euro di tasse in meno IL DOCUMENTO

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con_stampa_6-765x280Di seguito il documento presentato dai Conservatori e riformisti:

Legge di stabilità – Il nostro choc fiscale

La nostra “manovra”: non “contro”, ma “più veloce, più alto, più forte” 

SERVE UNO CHOC FISCALE. PROPONIAMO 48 MILIARDI DI TASSE IN MENO (24 GIA’ IL PRIMO ANNO, IL RESTO NEGLI ANNI SUCCESSIVI), CON VERI E CORRISPONDENTI TAGLI ALLA SPESA IMPRODUTTIVA. DA RENZI NON “TROPPO”, MA “TROPPO POCO”. PIU’ CHE UN “PIANO FISCALE”, RISCHIA PURTROPPO DI ESSERE UN “PIANO PIANO…”

E QUESTO “TROPPO POCO” E’ FATTO IN DEFICIT, CON UNA SPENDING REVIEW DIMEZZATA, E CON I COSTI SCARICATI SUL FUTURO…PERALTRO, C’È ANCHE IL RISCHIO DI UN INACCETTABILE AUMENTO DELLA TASSE SUGLI IMMOBILI DIVERSI DALLA 1a CASA.

QUESTA MANOVRA PUO’ BASTARE A RENZI PER BATTERE OPPOSIZIONI CONFUSE E SENZA PROGETTO, COME GIA’ SULLE “RIFORME”. MA NON BASTA ALL’ITALIA, SE VOGLIAMO ANDARE OLTRE IL GALLEGGIAMENTO.

PUO’ DIVENTARE UN’ALTRA OCCASIONE PERSA PER UN VERO RITORNO ALLA CRESCITA: ESATTAMENTE GLI STESSI ERRORI DEL VECCHIO CENTRODESTRA, QUANDO ERA AL GOVERNO.

L’ANNO BUONO E’ QUESTO: POI PUO’ CAMBIARE IL CONTESTO INTERNAZIONALE, E LE COSE DIFFICILI NON SI FANNO CERTO A UN ANNO DAL VOTO O TANTOMENO L’ANNO DELLE ELEZIONI.

INDICE:

1.     IL CONTESTO

2.     LE NOSTRE CRITICHE A RENZI

3.     LA NOSTRA PROPOSTA: CHOC FISCALE

4.     LE COPERTURE: LA NOSTRA SPENDING REVIEW

5.     NOTA POLITICA

6.     I PRIMI PACCHETTI EMENDATIVI

 

1.     IL CONTESTO

 

Tra le tante meraviglie italiane, da diverso tempo stiamo scoprendo di essere un Paese in cui perfino le statistiche e i dati ufficiali hanno qualcosa di mobile e di cangiante, si potrebbe perfino dire di “psichedelico”. Questo, i dati: figuriamoci le relative interpretazioni.

Mettiamola così, per provare insieme a fare chiarezza senza faziosità. Analizzando tutti i dati, e mettendo a confronto tutte le interpretazioni, di ogni orientamento, alla fine possiamo dire che ci sono “cose che sappiamo” e “cose che non sappiamo”.

Cominciamo dalle “cose che sappiamo”:

-è vero che nel 2015 l’Italia sta tornando ad avere tassi di crescita superiori allo zero (forse 0.7, forse 0.9%);

-è vero che nel 2016 si salirà (pare, di poco) sopra l’1%;

-è vero che ci sono stati primi dati positivi (ancora timidi) su consumi, occupazione, produzione industriale;

-è vero che si assiste purtroppo a una differenza addirittura crescente tra Nord e Sud, con i dati del Settentrione che mostrano in modo più convincente segnali di recupero, mentre quelli del Meridione inchiodano 8 Regioni italiane a performance ancora assolutamente negative;

-è vero che da molti mesi il contesto internazionale si giova di tre condizioni magiche, ormai ben note a tutti (il Quantitative Easing, il petrolio basso, il rapporto Euro/Dollaro);

-è vero che, per una serie di ragioni (sia ragioni internazionali, sia, non neghiamolo, ragioni tutte italiane), veniamo da 8-10 anni catastrofici. Dal 2007 a oggi, l’Italia ha perso oltre 9 punti di Pil. Nello stesso anno, come si ricorderà, la disoccupazione era scesa al 6%. Oggi siamo al doppio come media nazionale. Non sono numeri freddi: dietro c’è una realtà calda, anzi rovente. Vuol dire che c’è un’intera generazione nel tunnel, che ha rinunciato a costruire una famiglia, al mutuo per la casa, che ha perso le certezze, e che, per la prima volta da tanti decenni, ha visto un consistente arretramento sia delle sicurezze sia delle speranze rispetto alla generazione che l’ha preceduta. Tutto ciò è aggravato dal fatto che anche per le famiglie di origine è sempre più difficile risparmiare o cautelarsi rispetto a emergenze e imprevisti (e anzi risulta già pesantemente intaccato il risparmio degli anni o dei decenni passati), mentre chi adesso è giovane sa già di non poter contare in futuro su un trattamento pensionistico generoso;

-e infine è vero (non nascondiamocelo) che, nel contrasto ai tre “cancri” italiani (tasse alte, spesa alta, debito alto), hanno fatto fallimento tutte le formule politiche sperimentate finora: il vecchio centrosinistra, il vecchio centrodestra, i governi tecnici.

Queste sono le cose che – più o meno – sappiamo, difficilmente negabili da osservatori intellettualmente onesti, di qualunque appartenenza culturale e politica.

Veniamo a quelle che non sappiamo:

-non sappiamo bene, all’interno dei dati leggermente positivi sull’occupazione, cosa stia succedendo davvero. Tanti minimizzano i dati solo per polemizzare meccanicamente contro il Governo (e sbagliano); tanti nel Governo esultano, ma sbagliano anche loro, perché non vedono che buona parte delle cifre derivano da quegli over 50-over 55 a cui la legislazione pensionistica degli ultimi anni (al di là delle illusioni nuovamente alimentate da Renzi nelle scorse settimane) ha allontanato la possibilità di pensionamento, e quindi sembra un po’ avventuroso parlare di nuova occupazione favorita dal jobs act;

-non sappiamo bene quale tasso di crescita possa davvero creare consistente nuova occupazione: forse, c’è da ritenere che lo “zero virgola” ma purtroppo anche l’”uno virgola” non bastino, neppure dopo il “meno nove” registrato dal 2007 a oggi, e che occorra puntare a un “due virgola qualcosa” per avere effetti più duraturi e consistenti sull’occupazione;

-non sappiamo quanto possano durare le tre condizioni magiche citate prima, o cosa succederà se verranno meno (quando finirà il QE e il nostro debito sarà rimasto altissimo, che remunerazione chiederanno i mercati per garantirlo? E se la Fed americana alza i tassi (a settembre non l’ha fatto, ma potrebbe farlo a dicembre)? E se il petrolio risale?)

-e infine non sappiamo che destini avrà il contesto internazionale in cui ci troviamo. Oltre ai rischi economico-finanziari, vanno inclusi nel ragionamento relativo ai  prossimi mesi, anche rischi politici, con forti effetti economici e finanziari. Ci siamo accorti del fatto che (per citare i Cds, i Credit default swap: è il meccanismo attraverso il quale gli investitori si cautelano rispetto al rischio default di alcuni titoli) per tutto l’anno scorso, in ogni settimana delicata per la Grecia, l’Italia vedeva impennarsi il valore dei Cds, come se qualcuno stesse pensando nei mercati “attenzione, i prossimi potreste essere voi”?

E, su un piano ancora più grande, quanto sarà forte il rallentamento cinese, con tutti gli effetti a catena che potrà determinare?

Ecco, dinanzi a questa massa di cose conosciute e di cose sconosciute, noi Conservatori e Riformisti proponiamo quello che abbiamo chiamato lo “choc fiscale”.

Quale il ragionamento? Se serve una “password” per sbloccare il sistema, non è cambiare il sistema elettorale, non è riformare il Senato. Purtroppo, non è neppure riformare il mercato del lavoro (magari positivamente), se l’economia resta stagnante. Se tu “cambi le regole”, ma non rilanci la domanda e non rendi le nostre imprese più competitive riducendo il carico fiscale e burocratico, non c’è formula contrattuale, nuovo codice del lavoro, “politica industriale” o “incentivo” che possa magicamente creare nuovi posti di lavoro. Le imprese non assumeranno, o non assumeranno abbastanza. Perché il lavoro non si crea per legge o con operazioni dirigistiche, lo creano le imprese. E c’è un’unica vera politica in grado di creare condizioni favorevoli alla ripresa dell’economia e, di conseguenza, in grado di mettere le imprese in condizione di assumere: abbassare le tasse in modo consistente, forte, duraturo. Il migliore jobs act possibile, il solo modo per favorire la creazione di nuovi posti di lavoro, è un taglio fiscale massiccio, che renda le nostre imprese più competitive e rimetta in moto la domanda, accompagnato da un corrispondente processo di sburocratizzazione (ad esempio, un generale passaggio dal sistema delle autorizzazioni ex ante a quello dei controlli ex post).

1.     LE NOSTRE CRITICHE A RENZI

Premessa. Per ora, e non è certo un dato irrilevante, esistono solo le slides di una conferenza stampa del Premier, un comunicato, e le molte indiscrezioni trapelate sulla stampa. Il preciso obbligo giuridico di presentare la manovra alle Camere entro il 15 ottobre è stato disatteso. Dunque, cosa è stato inviato alle autorità Ue? Su quali basi avverrà anche la loro valutazione?

E – per inciso – dopo tanta enfasi sulle “riforme”, quanti sanno (in Italia e in Europa) che, nella nota di aggiornamento DEF di settembre, il Governo stima che l’impatto delle sue riforme strutturali attuate nel 2015 comporta “impulsi sostanzialmente neutrali per la crescita”?

Veniamo alle nostre critiche:

A.   Non c’è lo choc positivo sulle tasse (vedi successivo paragrafo 3). Va ovviamente bene il taglio della tassazione sulla 1° casa (ma attenzione ai rischi indicati nella successiva lettera G rispetto agli altri immobili). Noi Conservatori e Riformisti l’avevamo proposto già l’anno scorso, e Renzi ci disse no. Bene che l’abbia compreso, sia pure con un anno di ritardo. Ma complessivamente, l’alleggerimento fiscale (essenzialmente: prima casa, Imu agricola e cosiddetti “imbullonati”) è troppo piccolo per dare una “frustata” positiva all’economia.

B.   Spending review più che dimezzata. La vera spending review è ridotta appena a circa 4 miliardi (l’annuncio era di 10, anche se per noi sarebbe necessaria un’operazione ancora più coraggiosa). Oltre ai 4 miliardi, il resto sono essenzialmente tagli lineari a Regioni e sanità, ma con un andamento di tendenza che resta purtroppo in aumento. In sostanza, più che riduzioni di spesa, si tratta di “mancati ulteriori aumenti”…Complessivamente, quindi, la parte notevolmente più grande delle coperture (oltre i ¾!) avviene o per deficit o attraverso entrate una tantum: a nostro avviso, doveva accadere il contrario, con la parte del leone che sarebbe dovuta avvenire attraverso spending review, e quindi attraverso tagli alla spesa improduttiva.

C.   Resta il peso delle clausole di salvaguardia per i prossimi anni: bombe da circa 35 miliardi pronte a esplodere tra il 2017 e il 2018. Va ovviamente bene aver disinnescato le clausole di quest’anno (ma attenzione, era anche colpa di Renzi, non solo dei Governi precedenti). Però resta un carico di altre clausole, di altre “bombe” fiscali destinate a esplodere per circa 35 miliardi nel biennio 2017-2018, più altre eventuali cattive “sorprese” purtroppo sempre possibili.

D.   Si sottovaluta il rischio di un cambiamento dello scenario economico mondiale. E in più le cose coraggiose vanno fatte quando si è più lontani dalle elezioni…Si rinvia ai prossimi anni il peso delle scelte più difficili, proprio quando, come spiegavamo prima, la fine del QE e altri fattori (Cina, ecc.) potrebbero rendere lo scenario meno vantaggioso nei prossimi 24 mesi. Un grave errore. Proprio perché Renzi oggi è forte nel palazzo, e ha davanti un tempo non brevissimo di governo, avrebbe dovuto fare adesso le scelte più costose. Anche perché, secondo una elementare regola della politica, le cose coraggiose vanno fatte quando si è più lontani dalle elezioni: non è certo immaginabile che le misure più dure vengano prese nell’imminenza delle elezioni politiche del 2018.

E.    Sud, il Governo non fa (e forse “scippa”). Noi proponiamo di discutere di Zone economiche speciali. Dopo mesi e mesi di annunci sul fantomatico “masterplan”, si assiste alla totale mancanza di una visione, di una proposta, di un’idea per il Mezzogiorno. Tutti i dati confermano che proprio un ritorno del Sud alla crescita renderebbe più solidi i dati complessivi del Paese: il Governo ne parla nei convegni, ma di concreto non c’è nulla nemmeno stavolta. A tutto questo (oltre al danno, la beffa) si aggiunge il rischio di un ulteriore “scippo” ai danni del Mezzogiorno sul cofinanziamento statale rispetto ai fondi Ue. Una delle nostre proposte è quella di ragionare sull’opportunità di creare delle “Zes”, cioè zone economiche speciali a cui accordare un regime di favor fiscale e burocratico, specie ma non solo rispetto agli investimenti esteri. L’esperimento delle “zone franche urbane” non ha funzionato perché era troppo limitato e perché, nonostante le intenzioni, alla fine la burocrazia ha prevalso. Invece, il Sud (così come altre realtà, ovviamente anche al Nord!) potrebbe essere il luogo naturale di sperimentazione di un progetto più ambizioso, di “free zones” non basate sullo sperpero di denaro pubblico, ma su meccanismi di defiscalizzazione e di sburocratizzazione.

F.    Rai: il canone in bolletta è di dubbia costituzionalità. E Renzi vuole conservare lo status quo televisivo, lasciando ai partiti (al suo partito, ora…) il controllo della Rai. E’ giuridicamente ingiusto sostenere che chi abbia una utenza elettrica abbia necessariamente anche l’abbonamento Rai, o viceversa. E, al di là di questo, è sparita dall’orizzonte l’idea della privatizzazione della Rai (unico strumento per cacciare i partiti dal servizio pubblico) o almeno dell’abolizione del canone. Tra l’altro, anche per chi la pensa diversamente da noi e vuole invece mantenere l’assetto attuale, sarebbe almeno il caso di tramutare il rapporto del cittadino con la Rai in un vero abbonamento, libero e volontario: se lo voglio, lo sottoscrivo, senza obblighi.

G.   Immobili. Fondato l’allarme di Confedilizia: rischio di 2 miliardi di tasse in più, che svuoterebbero l’intervento positivo sulla 1a casa. Se fosse attribuito ai Comuni in modo esteso e indiscriminato il diritto ad aumentare le aliquote Imu-Tasi dello 0,8 per mille (possibilità che Renzi, nonostante la nostra contrarietà, introdusse già l’anno scorso, e che doveva essere vincolata alla previsione di detrazioni a favore delle famiglie sulla prima casa: ma il Governo rifiutò anche la nostra proposta di imporre ai Comuni trasparenza su questo specifico punto…), esisterebbe il rischio, giustamente paventato da Confedilizia, di un aumento fino a 2 miliardi della tassazione sugli immobili diversi dalla prima casa. E in più, ad aggravare il quadro, c’è il fatto che con la recente marcia indietro del Governo, anche molte case non necessariamente di lusso (sia pure incluse nella categoria A1), pagheranno ancora la tassa sulla 1a casa…

2.     LA NOSTRA PROPOSTA: CHOC FISCALE

E allora ecco il nostro piano, la cui parte essenziale avviene subito, con la prima manovra. 48 miliardi di tasse in meno: 24 miliardi immediatamente, altri 24 miliardi nei successivi 4 anni. Sappiamo che è una proposta – appunto – choccante: ma indica un ordine di grandezza necessario a dare una vera scossa all’economia. E le coperture indicate in dettaglio nel successivo paragrafo 4 mostrano che l’operazione è possibile. Chiunque può ovviamente correggere, integrare, emendare: ma non si può sostenere la tesi dell’impossibilità di un intervento fiscale fortissimo e ambizioso.

1) Per le imprese:

·        Abolizione Imu-Tasi sui beni immobili strumentali all’attività di impresa: sui capannoni, su negozi e botteghe artigiane, su uffici e studi professionali

Costo: circa 8 miliardi (ringraziamo per la valutazione l’Ufficio studi di Confcommercio: 7,7 mld)

·        Dimezzamento dell’Irap in due anni

Costo: 12 miliardi circa (6 il primo anno, 6 il secondo anno)

·        Riduzione dell’aliquota Ires dal 27,5 al 23% nei successivi 3 anni

Costo: 6 miliardi nei successivi 3 anni

2) Per i lavoratori:

·        10 miliardi di tasse in meno sul lavoro, attraverso una rimodulazione delle aliquote Irpef

Costo: 10 miliardi in 5 anni

3) Per i consumatori e le famiglie:

·        Iva giù di 2 punti (al 20%) in 2 anni

Costo: 8 miliardi nei primi 2 anni

·        Immediata abolizione della tassazione sulla prima casa

Costo: meno di 4 miliardi

Riepilogo dei costi per anno:

Totale 1° anno: 24 miliardi

Totale 2° anno: 12 miliardi

Totale 3° anno: 4 miliardi

Totale 4° anno: 4 miliardi

Totale 5° anno: 4 miliardi

Naturalmente, abbiamo individuato voce per voce tante possibili coperture, tutte centrate su tagli di spese. Li abbiamo inseriti in emendamenti già alla scorsa legge di stabilità. Tutti ammessi tecnicamente dalla Commissione Bilancio, proprio perché coperti. Il Governo ha detto no.

3.     LE COPERTURE. LA NOSTRA SPENDING REVIEW

Citiamo a titolo di esempio le nostre principali ipotesi di copertura. Come base e riferimento, è assolutamente possibile affidarsi a moltissime voci tratte dal Rapporto Cottarelli. L’errore del Governo (anche qui, in continuità con un centrodestra che non fu capace di tagliare la spesa pubblica improduttiva…) è quello di avere individuato alcune strade giuste, ma poi di non averle percorse con convinzione, oppure di essersi fermato dopo aver compiuto solo il primissimo tratto di strada.

Ecco le nostre proposte, con accanto una stima credibile dei fortissimi risparmi possibili, ben oltre il limitato intervento deciso dal Governo.

1) Tagli alla spesa pubblica corrente: possibili fino a oltre 20 miliardi

·        Riduzione spese per beni e servizi, sanità inclusa (131 miliardi l’anno): 2>7 miliardi

Non solo occorre una drastica riduzione del numero delle centrali appaltanti (da 32.000 a 30-40: Consip, regioni, città metropolitane) per acquisti “sopra soglia”, ma servono anche controlli sui contratti in essere, con corrispondenti tagli di stanziamento basati su indicatori Consip di centri di spesa meno virtuosi.

Nota 1: gli acquisti effettuati su convenzioni Consip comportano in media un risparmio del 24%, ma la spesa presidiabile da Consip o altre centrali di acquisto è circa la metà del totale (cit. Piano Cottarelli). Ipotizzando un risparmio, a regime, del 15%, si potrebbe ridurre la spesa per beni e servizi anche di 10 miliardi.

·        Fabbisogni e capacità fiscali standard per determinare trasferimenti ai Comuni: 0,5>2 miliardi

·        Riduzione della spesa sanitaria (escluso acquisto beni e servizi) tramite piena applicazione dei costi standard nella sanità: 2 miliardi

Nota 2: nell’arco degli ultimi 20 anni, la spesa di Regioni, Province e Comuni è cresciuta di circa 38 miliardi per il personale (+118%, contro +78% delle amministrazioni centrali e +63% dell’inflazione) e di 44 miliardi per l’acquisto di beni e servizi (+213%, contro +68% delle amministrazioni centrali e +63% dell’inflazione). Basterebbe riportare queste spese ai livelli del 2005 (comunque ben superiori al 100% di aumento, contro +78% e +68% delle amministrazioni centrali e +63% dell’inflazione) per risparmiare circa 17 miliardi di euro.

Nota 3: Sarebbe anche possibile prevedere una quota minore di tagli alla spesa a carico delle Regioni più virtuose e una maggiore a carico delle meno virtuose sulla base dei costi standard nella spesa sanitaria (prevedere, per esempio, che siano esentate dai tagli le 5 Regioni benchmark 2013).

·        Piano Cottarelli per la razionalizzazione delle aziende partecipate da Comuni, Province e Regioni (da 8.000 a 1.000 municipalizzate): 0,5>2/3 miliardi

Tramite chiusura immediata delle partecipate che non forniscono servizi pubblici; aggregazioni per livelli minimi di bacino di utenza, efficientamento; incentivi alla liberalizzazione/privatizzazione anche nei servizi pubblici essenziali. In sostanza, incentivi all’aggregazione/alienazione delle società partecipate locali (ma anche obbligo): in caso di inadempienza, taglio dei trasferimenti e potere sostitutivo non della Regione ma del Governo.

·        Riduzione dei costi della politica e delle istituzioni (Organi Costituzionali e a rilevanza costituzionale, Regioni, Comunità montane, Finanziamenti pubblici): 0,5>1 miliardi

·        Riduzione della spesa per il personale pubblico: 0,8 miliardi

Riducendo spese e numero dei dirigenti per avvicinarli alle medie Ocse e Ue; riducendo consulenze, auto blu, corsi di formazione inutili; attuando le norme vigenti sulla mobilità per far emergere situazioni di scarsa produttività ed esuberi.

·        Altre misure di riorganizzazione ed efficientamento: 2,4-4,3 miliardi

Prefetture, Vigili del Fuoco, Capitanerie di Porto e altre sedi periferiche delle amministrazioni centrali (0,3>0,8); soppressioni/fusioni di enti inutili (0,2); digitalizzazione PA (1,1>2,5); pubblicizzazione telematica degli appalti pubblici, gestione immobili, riduzione dei costi della riscossione fiscale (0,8).

2) Riduzione dei trasferimenti alle imprese: 6,5>7,7 miliardi (ma assolutamente vincolati a corrispondenti riduzioni di tasse: guai se invece l’operazione fosse fatta solo per fare cassa…)

·        Taglio di trasferimenti alle imprese dallo Stato (in attuazione delle norme previste all’art. 4, comma 3, della delega fiscale): 4 miliardi

·        Taglio di trasferimenti alle imprese dalle Regioni: 2 miliardi

·        Riduzione dell’eccesso di trasferimenti al trasporto ferroviario rispetto all’Ue: 0,3>1,5 miliardi

·        Taglio dei microstanziamenti inutili: 0,2 miliardi

3) Riduzione delle agevolazioni fiscali: 10 miliardi (ma assolutamente vincolati a corrispondenti riduzioni di tasse: guai se invece l’operazione fosse fatta solo per fare cassa…)

Riordino e riduzione delle tax expenditures non essenziali (le agevolazioni fiscali che ammontano complessivamente a 250 miliardi annui), in attuazione delle norme previste all’art. 4, comma 3, della delega fiscale.

4) Revisione e riordino di alcuni regimi Iva agevolati: 8 miliardi

Revisione e riordino e di alcuni regimi Iva agevolati, che complessivamente valgono circa 40 miliardi annui.

5) Minore costo del debito pubblico: 5 miliardi

Minori interessi da pagare sul debito pubblico per effetto di una sua riduzione nell’ordine di 140/150 miliardi grazie alle entrate derivanti dal piano di dismissioni pubbliche (soprattutto immobiliari) al punto 6).

6) Abbattimento del debito pubblico

L’enorme debito pubblico accumulato è una delle principali preoccupazioni dell’Europa e dei mercati sull’Italia. Senza dimostrare una ferma volontà di ridurlo in tempi rapidi è difficile risultare credibili ai loro occhi e, quindi, proporre un piano di tagli fiscali che ci porterebbe a sforare il tetto del 3% nei primi 2 anni. Per questo, per abbattere lo stock di debito, e quindi anche la spesa per interessi, occorre un piano di valorizzazione e vendita (ma non svendita!) di asset di patrimonio pubblico, in primo luogo attraverso la costituzione di un fondo (ad esempio, secondo le diverse elaborazioni di Savona-Rinaldi, Forte, Guarino, Masera) a cui conferire beni soprattutto immobili ma anche mobili.

4.     NOTA POLITICA

Finora, Renzi ha detto no. Noi continueremo a sfidarlo e sollecitarlo. Sia chiaro: noi sfidiamo e sollecitiamo Renzi su una linea opposta a quella della sinistra Pd o a quella di chi lo accusa di fare “troppo”. Per noi Renzi ha fatto e sta facendo “troppo poco”.

E a questo proposito ecco alcune nostre osservazioni conclusive rivolte al Governo.

Renzi non faccia come altri in passato. C’è essenzialmente un galleggiamento, e invece lo si chiama ripresa. C’è essenzialmente una gestione (magari decorosa, ma difensivista e “catenacciara”) dell’esistente, e invece la si chiama rilancio. Non funziona. Non basta. Aggrapparsi agli “zero virgola” per fare propaganda è un esercizio che ha già fatto male al centrodestra del passato. Quello che c’è ora in campo (e che non è – diciamolo – merito del Governo, ma frutto delle condizioni esterne che citavamo all’inizio) è forse sufficiente per galleggiare, probabilmente anche per differenziarsi da “gufi “ e disfattisti, ma non basta.

E quindi:

1) Innanzitutto, in riferimento al piano fiscale di Renzi, quello spalmato su 5 anni e che quest’anno vedrebbe solo un taglio molto limitato (Tasi prima casa e poco altro), vorremmo dire che, più che un “piano”, un “piano fiscale”, è un “piano piano”: il “piano piano di Renzi”.

2) Non condividiamo chi, anche dal centrodestra, dice: è impossibile anche ciò che Renzi ha proposto. Sarebbe contraddittorio rispetto alle nostre critiche all’Europa e alle nostre proposte se ci mettessimo a fare con Renzi i ragionieri dell’austerità. E’ ovvio infatti che un piano di questo genere è tanto più ambizioso quanto più coraggioso nello sfidare l’austerità miope di Bruxelles. Naturalmente, per fare questo, si è credibili se si incide seriamente sui tagli di spesa. Ma guai a scrivere lettere ai Commissari Ue, come abbiamo visto fare da esponenti del centrodestra italiano (e come è stato di nuovo incredibilmente minacciato!), per attaccare il Governo.

3) Dunque, critichiamo il piano di Renzi non perché impossibile e senza coperture ma, al contrario, perché non è un vero choc, non è abbastanza e non abbastanza tempestivo. A tal punto riteniamo possibile, e anzi doveroso, un piano di tagli fiscali, che il nostro è ancora più ambizioso, un vero e proprio choc. Il nostro taglio da 48 miliardi è infatti concentrato nel tempo, con 24 miliardi già il primo anno, mentre quello annunciato da Renzi è spalmato/diluito in 3-5 anni ma nel primo è quasi inesistente: dov’è lo choc?

4) Critichiamo Renzi perché se non c’è lo choc (il primo anno solo pochissimi miliardi di tagli fiscali), è improbabile che ci sia crescita sufficiente per finanziare i successivi e più corposi tagli. Al contrario, l’anno-chiave in cui affondare sull’acceleratore dei tagli dovrebbe essere il 2016 (quello del QE della Bce), mentre con il “piano piano di Renzi” verrebbe praticamente sprecato.

5) Critichiamo Renzi perché finora i suoi timidi tagli fiscali dell’anno scorso a favore di alcuni, guarda caso la base elettorale del Pd, sono stati controbilanciati da altrettanti aumenti di imposte a carico di altri: chi ci dice che non andrà così anche stavolta? Non è che, prima o poi, la tassa sulla prima casa cambierà nuovamente solo il nome, o assumerà nuove forme più o meno travestite: da Tasi a Local Tax?

6) Critichiamo Renzi perché mentre parla di tagli fiscali continua a sprecare soldi nel settore pubblico (in realtà è anche in parte costretto a farlo dalla Corte costituzionale): le clausole di salvaguardia da 16 miliardi che deve disinnescare ora nel 2016 non sono altro che l’eredità delle spese e dei regali elettorali dell’anno prima, denari che se risparmiati sarebbero potuti servire a tagliare le tasse non di 3.5-4.5 (considerando prima casa, Imu agricola e cosiddetti “imbullonati”) ma di 19-20 miliardi già dal 2016, invece siamo fortunati se il governo riesce a non aumentarle; Renzi dovrà anche finanziare i rinnovi contrattuali del pubblico impiego e l’indicizzazione delle pensioni per effetto delle rispettive sentenze della Consulta; dovrà rifinanziare la decontribuzione per i nuovi assunti con contratto a tempo indeterminato; trovare la copertura per circa 700 milioni alla bocciatura comunitaria della reverse charge nella grande distribuzione; inoltre, vuole lanciare l’ennesimo piano di “investimenti” pubblici; poi c’è la “mina vagante” delle norme per la flessibilità nell’accesso alla pensione.

5.     I PRIMI PACCHETTI EMENDATIVI

ECCO I NOSTRI PRIMI PACCHETTI DI EMENDAMENTI  PER RENDERE PIU’ AMBIZIOSA LA LEGGE DI STABILITA’ DI RENZI E CORREGGERNE GLI ERRORI

1) IMU/TASI IMPRESE, IRAP E IRES

·        Abolizione Imu/Tasi sui beni immobili strumentali all’attività di impresa: sui capannoni, su negozi e botteghe artigiane, su uffici e studi professionali

Costo: 8 miliardi circa

·        Dimezzamento dell’Irap in due anni

Costo: 6 miliardi circa il primo anno, e altri 6 il secondo anno

·        Riduzione dell’aliquota Ires dal 27,5 al 23%

Costo: 6 miliardi (2 miliardi il terzo anno, 2 il quarto, 2 il quinto)

2) IVA

·        Riduzione di 1 punto (dal 22 al 21%) dell’aliquota ordinaria dal 2016

Costo: 4 miliardi

·        Riduzione di un ulteriore punto (dal 21 al 20%) dell’aliquota ordinaria dal 2017

Costo: ulteriori 4 miliardi

3) IMU/TASI. DIVIETO DI AUMENTO ALIQUOTE SU SECONDE E TERZE CASE

·        Introdurre per i Comuni il divieto di elevare le aliquote su seconde e terze case.

4) CLAUSOLE DI SALVAGUARDIA. ABOLIRLE OPPURE “CAPOVOLGERLE”: NON AUMENTI DI TASSE AUTOMATICI, MA TAGLI DI SPESE AUTOMATICI

·        La cosa migliore sarebbe abolirle: producono incertezza e ipotecano il futuro. Altrimenti, occorre almeno invertirne la logica: passare da aumenti fiscali automatici a tagli di spesa automatici. Nel caso in cui gli importi previsti dalla clausola di salvaguardia non siano assicurati attraverso interventi di razionalizzazione e di revisione della spesa pubblica, prevedere che debbano essere conseguiti non attraverso aumenti delle aliquote Iva e delle accise, o tagli alle agevolazioni fiscali, ma attraverso tagli lineari alla spesa.

5) DEBITI PA

·        Introduzione del principio della compensazione tra i crediti vantati dalle imprese nei confronti delle pubbliche amministrazioni e le tasse dovute

Costo: 1 miliardo (costo inserito solo a titolo prudenziale per la cassa, perché – in quanto a competenza – la misura è ovviamente già coperta)

6) RAI

·        No canone in bolletta

·        Rimodulazione tetti pubblicitari (tv nazionali non oltre il 70% del mercato)

·        Abolizione/riduzione/devoluzione canone Rai

·        Privatizzazione Rai

·        Sistema BBC (solo un canale news e non 4)

7) ABOLIZIONE BOLLO AUTO

·        Esenzione per tre anni dal pagamento del bollo auto sulle nuove immatricolazioni (per 5 anni sulle auto “green”), a regime adozione del principio Ue “chi più inquina, più paga”, e deduzione dal 20 al 40% sulle auto aziendali purché “green”

Costo: 300 milioni

8) PARTECIPATE E MUNICIPALIZZATE

Subito incentivi all’aggregazione e all’alienazione, ma anche sanzioni

Aggregazione/alienazione delle società partecipate locali sulla base dei costi standard e di ambiti territoriali ottimali. Prevedere incentivi per i Comuni e le Regioni che adempiono nei termini stabiliti (per esempio, la possibilità di utilizzare i fondi derivanti dalle dismissioni per investimenti al di fuori dei vincoli del patto di stabilità; conferma/proroga della concessione in caso di aggregazioni). Ma anche sanzioni: riduzione dei trasferimenti, responsabilità personali degli amministratori locali e delle partecipate, fino al commissariamento, prevedendo però come potere sostitutivo non il presidente della Regione ma il ministero dell’Economia.

9) NO A STUDI DI SETTORE, REDDITOMETRO  E AD OGNI ALTRO STRUMENTO DI INTERVENTO PRESUNTIVO

Messa in discussione e superamento degli strumenti volti a un calcolo presunto e presuntivo del reddito imponibile. Come principio generale, deve valere l’opposto, e cioè la determinazione certa ed effettiva della base imponibile.

10) NO SOLVE ET REPETE

Superamento del principio incivile per cui anche per fare ricorso bisogna prima aver pagato. Così, se anche si ha ragione, intanto si viene rovinati lo stesso.

11) CONSULENZA E ASSISTENZA FISCALE PREVENTIVA A FAMIGLIE E IMPRESE

Rivoluzionare il rapporto tra fisco e contribuenti. L’Amministrazione finanziaria deve dotarsi di una struttura appositamente dedicata a fornire assistenza e consulenza preventiva a famiglie e imprese. Anziché sanzionare dopo, indicare prima se e come va compiuta un’operazione.




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