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Enrico Lo Verso magistralmente “Uno, nessuno e centomila” Ieri sera, a Cisternino, l'attore palermitano ha portato in scena uno dei drammi esistenziali più attuali di sempre

lo verso pirandello 1

Di Angela Maria Centrone

Self-consciousness è un termine inglese che indica, in senso letterale, essere a disagio con se stessi. Ma, in fondo, quel senso di disagio non proviene, forse, dal non riconoscersi? In questo modo il cercarsi, cercare il sé reale, può divenire una vera e propria ossessione. È quello che accade a Vitangelo Moscarda, uno dei più complessi personaggi pirandelliani, che ieri sera Enrico Lo Verso ha portato in scena al Teatro Paolo Grassi di Cisternino. “Uno, nessuno e centomila” è probabilmente l’opera più famosa di Luigi Pirandello, ma anche la più oscura. Alessandra Pizzi, regista di questo spettacolo, ne ha ricavato un monologo: sicuramente la messa in scena che più si addice a questa crisi intima e interiore, così comune all’uomo contemporaneo. Enrico Lo Verso regala un’interpretazione magistrale, drammatica e allo stesso tempo ironica, dando voce a tutti i personaggi della vicenda, proprio perché quel che noi vediamo ci viene raccontato dal volubile protagonista, alla ricerca incessante della maniera di riuscire a guardarsi vivere, per capire come gli altri lo vedano, per capire chi egli sia veramente, a prescindere dal nome e dalla posizione. Da essere un usuraio dedito all’ozio diviene benefattore, solo per stupire la platea e, probabilmente, anche un po’ se stesso. Scopre che se è pressoché impossibile essere “uno”, per via della relatività che investe tutta quanta la nostra esistenza, essere “nessuno” è gratificante e liberatorio. Ma alla fine di tutto, cosa siamo? Chi siamo? Oggi, più che mai, la nostra immagine sociale, o meglio social, è specchio e misuratore della nostra vita, ma quanto può dirsi autentica? Se selezioniamo i contenuti da mostrare, chi ci vede dall’esterno, ci vedrà in un modo differente da quel che siamo. Noi stessi, descrivendoci in un modo, è come se ci dissociassimo dalla realtà. Allora, come riconoscersi e definirsi? Se il nome è la tomba dell’essere in divenire, probabilmente, sono le nostre azioni a dire chi siamo. E, forse, la soluzione è smettere di provare a guardarsi vivere, cominciando a vivere veramente. 




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