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“Vogliono impedire il progresso del Brasile, io sono vittima di un golpe”. Dilma Rousseff ospite dell’Università del Salento, “democrazia nemica dello stato di eccezione” Lecce: l'ex presidente sudamericana interviene al seminario internazionale in occasione dei 25 anni della pubblicazione della Teoria della società

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Di Pietro Andrea Annicelli:

Tra ieri e oggi a Lecce il seminario internazionale sul tema La solitudine della democrazia, organizzato dall’Università del Salento in occasione dei venticinque anni dalla pubblicazione della Teoria della società di Niklas Luhmann e Raffaele De Giorgi. Il programma prevede la conferenza sul tema La corruzione politica della democrazia, con interventi di Flavio Alves Martins, docente dell’Universidade Federal do Rio de Janeiro, Massimo Meccarelli dell’Università di Macerata, Attilio Pisanò, Luciano Nuzzo e Corrado Punzi dell’Università del Salento. Ieri, sul tema La democrazia corrosa dallo stato di eccezione, è intervenuta con una conferenza magistrale l’ex presidente del Brasile Dilma Rousseff. Hanno anche relazionato il sociologo Raffaele de Giorgi dell’Università del Salento, sul tema Miseria del diritto e violenza della politica, e l’ex ministro brasiliano della Giustizia José Eduardo Cardozo, che ha argomentato sul tema La corruzione giuridica della democrazia.

La legalità, quando è separata dalla giustizia, può servire a isolare la democrazia favorendo il dispotismo e l’iniquità? È l’interrogativo sottinteso agli argomenti discussi all’Università del Salento. E Dilma Rousseff, trentaseiesima presidente del Brasile destituita lo scorso agosto, prima donna eletta alla massima carica del più grande Paese sudamericano, non è stata una semplice relatrice di prestigio. Lei è anzi una delle principali espressioni, se non la più rappresentativa, dell’attuale scenario politico internazionale rispetto alle questioni del rapporto fra diritto e democrazia.

«Sono vittima d’un golpe perché a fondamento del mio impeachment ci sono stati tre decreti che non rappresentano più dello 0,01% del bilancio nazionale. Sono stata accusata di aver modificato questa percentuale irrisoria del bilancio a favore dell’istruzione, della sanità e della sicurezza pubblica», ha sostenuto nella conferenza stampa. Nel concreto, secondo l’accusa, avrebbe manipolato i conti del governo per minimizzare l’impatto del crollo delle esportazioni sulla spesa pubblica. «È stata anche una prassi dei miei predecessori. Se ho sbagliato, si è trattato d’un illecito amministrativo, non di un crimine. Altrimenti anche i presidenti che mi hanno preceduta avrebbero dovuto essere accusati».

La destituzione dell’erede di Luiz Inácio Lula da Silva, primo presidente del Partito dei Lavoratori in carica dal 2003 al ’10, è stata un ulteriore colpo a un Paese gravemente prostrato dalla recessione seguita al crollo del prezzo delle materie prime su cui aveva fondato la precedente crescita economica, e dalla corruzione endemica. Il 58% dei parlamentari che hanno votato per la cacciata della Rousseff sono accusati d’aver intascato tangenti per contratti firmati con l’azienda petrolifera statale. È Lava jato, la mani pulite brasiliana. E Michel Temer, il vice presidente che l’ha sostituita e che ha diretto la campagna contro di lei, è accusato di aver intascato una tangente di trecentomila dollari da un contratto sull’energia nucleare. Non potrà candidarsi alle presidenziali del 2018 a causa di alcuni illeciti elettorali commessi nel passato. Perciò non teme di rendersi impopolare con misure di austerità.

Alla Rousseff non sono state rivolte accuse di corruzione. Perciò la narrativa in suo favore parla d’un destino che trova dei punti di contatto con quello di Salvadòr Allende nel Cile del 1973, anche se sono passati i tempi dei carri armati nelle piazze, degli assalti dell’esercito e dell’aviazione al palazzo presidenziale, della repressione dei sovversivi. Tempi che la Rousseff ha conosciuto in gioventù, quando era una guerrigliera contro la dittatura militare, esperienza che la portò a subire la detenzione in carcere e la tortura. Perciò avverte: «Il neoliberismo, per abbattere la spesa sociale, deve invadere la democrazia con misure giuridiche eccezionali. Come un impeachment presidenziale senza crimini di responsabilità».

La questione è attuale nel mondo post 11 settembre. Anzi, arriva con ritardo nel Brasile che, evidenzia l’ex presidente, negli anni duemila ha condotto la lotta all’iniquità favorendo lo stato sociale e il multilateralismo in politica estera. «Con procedimenti giuridici eccezionali si accettano misure eccezionali. Come quella, presa dal parlamento, di congelare per vent’anni la spesa per l’istruzione, la sanità, le infrastrutture. Non sarà però congelata la spesa finanziaria. Significa che il Brasile toglie dal bilancio gli investimenti in favore dei poveri, dei ceti popolari, della classe media. Si vuole impedire che il Paese progredisca».

Dilma Rousseff insiste: «La democrazia è nemica dello stato di eccezione, del quale invece si serve il liberismo. Quando voti, scegli in che maniera spendere i soldi pubblici. Se congelano la spesa per vent’anni, togli alla gente i diritti». Gli anni di Lula sono stati quelli che, grazie proprio agli investimenti nell’istruzione e nello stato sociale, hanno visto molti brasiliani delle fasce sociali più disagiate migliorare la loro condizione. «Per la prima volta nella sua storia il Brasile è stato tolto dalla mappa della fame. Trentasei milioni di persone sono fuoriuscite dalla miseria estrema. Però la fine della miseria deve essere solo un inizio. Adesso le persone devono aver accesso a quei diritti che hanno nei Paesi avanzati. A cominciare da un’istruzione di qualità».

Contro questa visione si sono mossi gli ultraricchi che, dice l’ex presidente, hanno tutto l’interesse a ristabilire quello stato minimo che rappresenta la visione estrema dell’ultraliberismo teorizzato da Milton Friedman. «Quando è in atto una crisi economica, si verifica anche un conflitto distributivo. Ma non si può accettare che l’uscita del Brasile dalla crisi passi dal taglio della spesa sociale. Le tasse le pagano le famiglie, la classe media, i lavoratori, non i grandi capitali. E quando si congelano le spese sociali per vent’anni, si espropria il voto di cinque elezioni».

Per riprendere una politica che favorisca il welfare, in passato non esente da critiche ad esempio per quanto riguarda la gestione ambientale, alle presidenziali del 2018 non è escluso che si ripresenti la candidatura di Lula. Il suo predecessore, il socialdemocratico Fernando Henrique Cardoso, che avviò le politiche sociali poi ampliate dal Partito dei Lavoratori, ritiene che in Brasile vada ristabilito un clima di fiducia tra politici e cittadini dopo un anno vissuto pericolosamente. Difficile che Dilma Roussef, che pure l’impeachment non esclude dalle condizioni per essere ricandidata, possa essere protagonista. Intanto però, ieri all’Università del Salento, ha dato l’impressione che la politica in Brasile dovrà ancora fare i conti con lei.

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