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Casa Sollievo della Sofferenza, annunciato sciopero dei medici: la lettera aperta al direttore generale Anmirs

casa sollievo della sofferenza

Di seguito il testo della lettera aperta di Donato Menichella, segretario nazionale Anmirs (associazione nazionale medici istituti religiosi spedalieri) a Gino Gumirato, direttore generale di Casa Sollievo della Sofferenza:

A nome mio personale e, immagino, anche a nome di tutto il personale di Casa Sollievo della Sofferenza –
Medici, professionisti sanitari, tecnici, amministrativi e operatori – desidero anzitutto ricambiare con sincera
gratitudine gli auguri di Buon Natale che Ella ha voluto farci pervenire pochi giorni fa.
Una forma di augurio certamente originale, quella della disdetta improvvisa e generalizzata dei contratti
collettivi di lavoro, capace di accompagnare migliaia di lavoratori e le loro famiglie verso festività
particolarmente intense e memorabili proprio nell’anno del Giubileo. Un gesto che, ne siamo certi, resterà a
lungo impresso nella memoria collettiva dell’Ospedale. A nostra volta, Le auguriamo di cuore festività serene,
altrettanto felici ed altrettanto colme di soddisfazioni personali e professionali.
Approfittando dell’occasione, ci concediamo alcune brevi considerazioni.
Come Ella ben sa, tre anni fa il Suo arrivo a Casa Sollievo della Sofferenza fu presentato come quello del
manager chiamato a salvare l’Ospedale, grazie a una superiore capacità di analisi, a una consolidata
esperienza e a un piano strategico accuratamente elaborato. Quel piano venne illustrato con dovizia di
particolari e accompagnato da una richiesta chiara: tutti gli stakeholder avrebbero dovuto “fare la loro parte”.
E tutti, senza eccezioni, lo hanno fatto.
La Regione, pur non essendo tenuta a intervenire, ha scelto di destinare all’Ospedale ingenti risorse
pubbliche, sottraendole ad altri possibili impieghi nel sistema sanitario regionale. Una scelta di grande
responsabilità istituzionale, fondata sulla fiducia nella solidità del piano e nella credibilità storica
dell’Ospedale.
Il personale tutto ha fatto la propria parte con sacrifici senza precedenti: rinunciando a decine di milioni di
euro di crediti, alla quasi totalità della retribuzione variabile, accettando condizioni di lavoro sempre più
gravose (notevolmente eccedenti il normale orario di lavoro ed anche in maniera gratuita) in nome di un
progetto comune.
I fornitori hanno concesso sconti e dilazioni, le banche hanno sostenuto finanziariamente l’attuazione del
piano.
Nessuno, davvero nessuno, ha fatto mancare il proprio contributo.
In questi tre anni, inoltre, i Medici e più in generale l’intero personale sanitario ha centrato e superato,
puntualmente e per ciascun esercizio, tutti gli obiettivi di produzione che Ella stessa aveva fissato. Un
risultato che, mi permetta di osservare, non può essere considerato casuale ma che è unicamente ascrivibile
all’amore e alla fiducia che tutti i dipendenti avevano nel loro Ospedale.

Oggi, tuttavia, apprendiamo che l’EBITDA dell’ultimo anno, pur migliorato rispetto al passato, non sarebbe
in linea con quanto da Lei programmato e che ciò costituirebbe la ragione della disdetta di tutti i contratti
collettivi di ispirazione pubblica, per sostituirli con altri di ispirazione privatistica, enormemente penalizzanti
sotto il profilo economico e giuridico per tutti i lavoratori.
A questo punto, una semplice operazione logica appare inevitabile.
Poiché il personale può incidere esclusivamente sulla produzione, e poiché tale produzione ha sempre
raggiunto e superato i livelli richiesti, se il risultato economico atteso non è stato conseguito le alternative
sono, oggettivamente, poche:
– o il piano strategico non era realistico e quindi qualcosa, nella Sua elaborazione, non ha funzionato;
– o i costi non sono stati da Lei adeguatamente governati, nonostante i ricavi fossero quelli richiesti;
– oppure la motivazione addotta non corrisponde al vero;
– oppure, infine, la disdetta dei contratti risponde a finalità diverse, che evidentemente non possono essere
dichiarate.
Quale di queste ipotesi Ella ritenga preferibile lasciare alla valutazione pubblica non è dato sapere.
In nessun caso, tuttavia, la responsabilità può essere attribuita a chi ha fatto esattamente ciò che gli era stato
chiesto e comunque non riguarda il comportamento, l’impegno o la professionalità del personale.
Le conseguenze delle scelte adottate, del resto, sono facilmente prevedibili: fuga di professionalità, perdita
di competenze difficilmente sostituibili, profonda demotivazione di chi resterà. L’Ospedale, che fino ad oggi
è stato considerato da molti una “casa” e non un semplice luogo di lavoro, rischia di diventare una tappa
provvisoria se non addirittura un luogo da cui fuggire, a tutto danno dei pazienti e del tessuto sociale di
riferimento.
Sarà estremamente complesso reclutare nuove risorse in un contesto che offre condizioni contrattuali
nettamente peggiorative rispetto al resto del settore, per di più in una sede logisticamente disagiata, il tutto
senza voler considerare il fatto che il venir meno di contratti di ispirazione pubblicistica metterà a rischio
anche l’equiparazione dei titoli e dei servizi del personale dipendente, oggi prevista dalla legge.
Quasi certamente la produzione calerà, acuendo la crisi finanziaria e con gravi danni per i pazienti e per
un’area geografica vastissima, per la quale Casa Sollievo della Sofferenza rappresenta l’unico presidio
ospedaliero di riferimento. Una sua anche solo parziale compromissione costituirebbe una vera e propria
tragedia sociale, con ripercussioni inevitabili sul Servizio Sanitario Regionale (e anche Nazionale, posto che
affluiscono pazienti da tutta Italia stante l’eccellenza rappresentata dall’Ospedale) e sul rapporto di fiducia
tra istituzioni e cittadini.
A quel punto, non è difficile immaginare che la Regione – che fino ad oggi è stata straordinariamente
generosa e comprensiva – possa essere costretta a riconsiderare budget e autorizzazioni, alla luce delle
inefficienze emergenti.

Il tutto in un clima già oggi pesantemente deteriorato, segnato da tensioni, proteste visibili da una parte e,
dall’altra, da uno stile gestionale percepito come rigido, draconiano e poco incline all’ascolto, che sta
rapidamente erodendo il capitale umano e fiduciario del personale dell’Ospedale che è ormai esasperato da
modalità relazionali che molti giudicano inaccettabili e, talvolta, persino inurbane e in ogni caso
incomprensibili.
Con questo metodo, il rischio concreto è quello di condurre Casa Sollievo della Sofferenza verso un tracollo
nel 2026, anno che dovrebbe segnare il 70° anniversario della sua fondazione. Una ricorrenza che, di questo
passo, rischia di essere ricordata non come celebrazione di un’eccellenza, ma come il punto di non ritorno
definitivo.
In questo contesto, non possiamo non porci – e porLe – una domanda, che non è polemica ma
profondamente morale ed etica: cosa avrebbe detto San Pio, fondatore di questo Ospedale, nel vedere
applicate ai suoi devoti collaboratori logiche, metodi e finalità tipiche di una sanità “profit”? È lecito chiedersi
se questo fosse davvero il senso della sua opera e della sua ultima testimonianza terrena.
Casa Sollievo della Sofferenza non è un’azienda qualunque. È l’unico presidio di riferimento per decine di
migliaia di cittadini, un simbolo morale e spirituale, un patrimonio collettivo costruito in settant’anni di storia.
È, per molti, l’ultima prova terrena dell’opera di un Santo. Trattarlo come una struttura qualsiasi significa,
quanto meno, non comprenderne fino in fondo la natura.
Al netto di rimanere in attesa di comprendere se questa Direzione intenda assumersi fino in fondo la
responsabilità delle scelte compiute e dei risultati non ottenuti, in ogni caso, confidiamo che Ella voglia
riflettere, con la lucidità e la visione strategica che Le erano state attribuite al Suo arrivo e con il senso di
responsabilità che il Suo ruolo Le impone, sulle conseguenze di decisioni poco comprensibili che rischiano di
compromettere irreversibilmente un patrimonio umano, professionale e simbolico che è stato
pazientemente ed amorevolmente costruito in settant’anni di storia dal suo fondatore, San Pio e dalla Chiesa
Cattolica con l’aiuto dei loro devoti dipendenti e collaboratori.
Buon Natale.


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