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Bari: la casa per le donne vittime di tratta Amaranta

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Di seguito un comunicato diffuso dai responsabili:

È nata a Bari, in una villa confiscata alla mafia (clan Capriati), sul litorale di San Giorgio, in via Giovine 59, la prima drop house in Italia destinata alle donne vittime di tratta. Il centro di accoglienza diurno, luogo di ascolto, aggregazione, formazione e inclusione lavorativa, è promosso dalla cooperativa sociale C.A.P.S. (centro aiuto psico-sociale) e dall’associazione Micaela onlus in partenariato con la cooperativa sociale ARTES, dall’associazione culturale Origens e con il sostegno del Comune di Bari.

L’ha tenuta a battesimo il neoeletto ministro dell’Interno Matteo Piantedosi, intervenuto all’inaugurazione assieme al presidente della Regione Puglia Michele Emiliano, il sindaco di Bari Antonio Decaro, gli assessori comunali al Patrimonio, Vito Lacoppola, e al Welfare, Francesca Bottalico, il presidente del C.A.P.S. Marcello Signorile, la vicepresidente dell’associazione Micaela onlus Pilar Solis e don Vito Piccinonna, vicario del vescovo.

 

La struttura, affacciata sul mare ed estesa su una superficie di circa 600 mq (di cui 180 mq coperti e 420 mq scoperti, tra porticato e giardino), era stata concessa dal Comune di Bari nel 2009 al C.A.P.S., grazie all’impegno di Stefano Fumarulo, alla guida dell’Agenzia per la lotta non repressiva alla criminalità organizzata del Comune di Bari, con l’obiettivo di riconvertirla a fini sociali.

Dopo un complesso iter tecnico-amministrativo per la sanatoria di abusi edilizi presenti sulla villa durato anni, interrotto dall’emergenza sanitaria Covid-19 e concertato con l’Agenzia per la lotta non repressiva alla criminalità organizzata del Comune di Bari e con le ripartizioni comunali Patrimonio e Urbanistica, l’immobile confiscato alle mafie è stato interessato da importanti lavori di ristrutturazione e da un progetto di riconversione funzionale, finanziato dalla Fondazione Con il Sud nell’ambito del Bando “Iniziativa Immigrazione 2017”.

 

Gli interventi hanno riguardato l’intero complesso e le aree esterne, trasformando la villa appartenuta a un clan locale in un centro accogliente e moderno, dotato di due uffici, una sala polifunzionale, servizi igienici con annesso antibagno, bagno operatori, magazzino e porticato esterno, con affaccio su un’ampia area verde impreziosita da prato calpestabile.

L’idea del progetto Amaranta, promosso da un partenariato che vanta un’esperienza pluridecennale sul tema della fuoriuscita dai fenomeni di trafficking, è quella di agganciare in loco, attraverso unità mobili, le donne che vogliano uscire dalla loro condizione di sfruttamento e violenza, proponendo azioni di emersione, presa in carico, formazione e inserimento lavorativo delle vittime nel campo della ristorazione e dell’ospitalità turistica.

 

Le risorse per la ristrutturazione del bene confiscato e lo start-up delle attività ammontano a circa 500.000 euro, di cui 380.000 finanziati dalla Fondazione Con il Sud, 100.000 di cofinanziamento da parte dei soggetti del partenariato e 20.000 euro finanziati dal Dipartimento per le Pari opportunità della Presidenza del Consiglio dei ministri, nell’ambito dei progetti di assistenza alle vittime di tratta, di cui la Regione Puglia è capofila.

 

Questa conquista sociale, che è un nuovo traguardo di emancipazione femminile contro la schiavitù e le violenze, opera con efficacia nell’assistenza diretta, come spazio di protezione, accoglienza e sguardo nuovo al futuro.

Si calcola che in Italia nel 2022 circa 24-27.000 donne siano vittime di tratta, di queste circa il 5-8% sono minori, come risulta dal Rapporto 2022 sulla tratta degli esseri umani a cura del Dipartimento di Stato americano sull’applicazione del protocollo di Palermo (2000) per la prevenzione, soppressione e punizione del traffico di esseri umani.

Il capoluogo pugliese esibisce quindi con legittimo orgoglio il primo esperimento italiano di drop house rivolto “esclusivamente” alle vittime di tratta. Un Centro per donne violate, fragili, vulnerabili, schiavizzate e strutturalmente marginalizzate emotivamente ed economicamente in quanto donne. Vittime indifese di un umiliante e ignobile mercato, alcune di loro ora trovano, per la prima volta sul territorio nazionale, un riparo rassicurante e una sottrazione alla coercizione e alla schiavitù criminale.

 

«Quanto fatto qui è esemplare – ha affermato il ministro degli Interni Matteo Piantedosi – perché il progetto di altissimo valore sociale che verrà realizzato nell’immobile è il frutto di una convinta collaborazione tra istituzioni e terzo settore. Un’efficace azione antimafia non può essere solo repressiva ma deve fondarsi anche su una forte azione culturale e sociale che deve coinvolgere istituzioni e comunità cittadina».

 

«Per Bari l’avvio del progetto Amaranta in una villa confiscata al clan Capriati significa mettere a segno un punto fondamentale sulla scacchiera della legalità che vede contrapposte le forze del bene e le forze del male – ha commentato il sindaco Antonio Decaro -. Questo punto per noi vale doppio, perché il progetto non solo ha privato la criminalità di un bene che in quella zona rischiava paradossalmente di aumentare di valore, vista la riqualificazione imminente, ma si propone di sottrarre alla criminalità organizzata ciò che essa identifica come “merce”, quindi altra fonte di ricchezza, ossia le donne che purtroppo diventano vittime di tratta. Crediamo che questo intervento, inoltre, possa rappresentare un ulteriore elemento qualificante nel percorso di riqualificazione e rifunzionalizzazione che interessa la costa a sud di Bari, finalmente destinataria di un cospicuo finanziamento PNRR utile a ridefinirne l’assetto urbanistico e ad avviare una profonda trasformazione fisica e sociale. Questa villa sorge di fronte all’ex club REEF, in questi giorni oggetto di un bando di concessione per la valorizzazione, e a poche centinaia di metri da un altro bene confiscato, in questo caso al clan Parisi, dove potrebbe sorgere un asilo nido destinato a un quartiere che sconta storicamente una sensibile scarsità di servizi. Crediamo che l’economia sociale rappresenti uno strumento importante per il cambiamento di quest’area oltre ad offrire un valido supporto alla crescita della comunità sostenendo le persone in situazione di particolare bisogno o fragilità».

 

«Inaugurare Amaranta, è per noi il segno tangibile di quale comunità intendiamo realizzare e dei valori in cui crediamo – ha sottolineato il presidente della Regione Puglia Michele Emiliano -. Quello della tratta di esseri umani oltre a rappresentare una violazione dei basilari diritti umani, è un fenomeno complesso e in costante evoluzione: per essere contrastato in maniera efficace sono di fondamentale importanza la cooperazione tra istituzioni, associazioni e cittadini, e gli interventi che prevedano la realizzazione di strutture di supporto e accoglienza proprio come quella che inauguriamo oggi in un bene confiscato alla mafia. Siamo una delle regioni che investe di più in antimafia sociale e siamo convinti che solo le istituzioni unite possano mettere fine a questa violazione della dignità umana che interpella il nostro impegno pubblico e privato».

 

«Il progetto AMARANTA ha una forte valenza simbolica – dichiara Pilar Solis, vicepresidente dell’ass. Micaela Onlus – in quanto si tratta di un bene confiscato alle famiglie mafiose pugliesi in uno degli epicentri del fenomeno prostitutivo della città di Bari».

Gli operatori hanno esperienza e sensibilità per aiutare le donne impaurite ed emarginate, disorientate e discriminate. Persone in cerca di identità ed equilibrio psicologico che ora possono avvalersi di supporti immediati, che si esprimono su molteplici fronti di natura logistica. Amaranta, infatti, offrirà assistenza economica e sanitaria, consulenza legale e psicologica oltre a sensibilizzare sul tema dello sfruttamento sessuale a fini di lucro, anche attraverso un’opera di vigilanza e mappatura del fenomeno da parte di unità mobili, per limitare i danni e il rischio dell’ignobile arruolamento di donne senza dimora, quasi sempre in gravi condizioni economiche e con bambini da mantenere in una terra lontana.

 

«Un posto in cui regnava il malaffare prima e che dopo la confisca è diventato, purtroppo, luogo di prostituzione e sfruttamento – sottolinea Marcello Signorile, presidente della cooperativa sociale CAPS, questo luogo non poteva che essere destinato alla tutela delle donne vittime di tratta e sfruttamento attraverso l’attivazione della prima drop house in Italia; un luogo che si presterà ad accoglierle ed orientare verso un percorso di formazione ed inserimento lavorativo le beneficiarie».

Il Centro per vittime di tratta è una mirabile sintesi di un lungo lavoro di prevenzione e difesa proattiva e riabilitativa della legalità e della dignità delle donne.

L’obiettivo è quello di tracciare un dignitoso orizzonte esistenziale con i laboratori di integrazione sociale. Questi corsi professionali sono ricchi di arti e mestieri, tra i quali scegliere la nuova strada di pace interiore e dignitosa normalità, grazie all’operosità e alla forte leva del lavoro.

Grazie all’impegno di operatori dotati di esperienza e sensibilità questo centro è in grado di aiutare concretamente donne impaurite ed emarginate, disorientate e discriminate, in cerca di identità ed equilibrio psicologico.

 

«Ancora una volta la città di Bari si distingue per la qualità dei suoi progetti di riuso sociale dei beni confiscati, confermandosi virtuosa nella valorizzazione degli immobili sottratti alla criminalità organizzata e restituiti alla comunità – sottolinea Vito Lacoppola, assessore al Patrimonio del Comune di Bari -. Questo immobile, infatti, non è stato semplicemente recuperato e restituito alla cittadinanza bensì opportunamente progettato e riconvertito per provare a rispondere ad una delle emergenze sociali della città, nei luoghi dove maggiormente si manifesta. La tratta è un fenomeno particolarmente odioso, che riguarda migliaia di donne, spesso straniere, ridotte in schiavitù e costrette a vendersi per ripagare il debito contratto per arrivare nel nostro Paese. Ringrazio Fondazione Con il Sud per aver sostenuto il progetto e i tecnici delle ripartizioni del Comune di Bari per aver consentito la valorizzazione dell’immobile, superando, in una logica pubblico-privato, le diverse criticità amministrative intervenute sul bene».

 

«Valorizzare un bene confiscato alla criminalità organizzata non rappresenta solo un atto simbolico, seppur importantissimo, del contrasto al potere mafioso da parte dello Stato, ma è un’azione concreta di riscatto di un’intera comunità – è il commento del presidente della Fondazione Con il Sud Carlo Borgomeo, che non ha potuto partecipare all’inaugurazione di questa mattina -. Con questo progetto, infatti, si ripristinano diritti negati, offrendo nuove opportunità di inclusione sociale a donne vittime di tratta. Siamo all’interno di un percorso più generale di ‘cambiamento’ al Sud, promosso dalla Fondazione insieme a settemila organizzazioni, tra terzo settore, istituzioni e privati, coinvolte nei progetti. Abbiamo valorizzato un centinaio di beni confiscati nelle regioni meridionali, ma sono migliaia i beni ancora da assegnare, alcuni non sappiamo neanche dove sono e in che condizioni versano, e moltissime invece le opportunità di recupero, attraverso percorsi di inclusione e di economia sociale che, come abbiamo visto in tantissimi casi, rappresentano a tutti gli effetti un’occasione di sviluppo locale. La Fondazione è impegnata nella promozione di una profonda revisione del sistema di valorizzazione e gestione dei beni confiscati, affinché vi siano sempre più progetti che, offrendo un servizio al territorio, creando opportunità di lavoro e riscatto, rappresentino una reale sfida al potere criminale, economico e simbolico delle mafie».

 

AMARANTA offre concreta assistenza economica e sanitaria, consulenza legale e psicologica oltre a una capillare sensibilizzazione sul tema dello sfruttamento sessuale a fini di lucro, anche attraverso un’opera di vigilanza e mappatura del fenomeno da parte di unità mobili, per limitare i danni e il rischio dell’ignobile arruolamento di donne senza dimora, quasi sempre in gravi condizioni economiche e con bambini da mantenere in una terra lontana dalle radici familiari.

Amaranta è tutto questo.

Non promette di essere un punto di arrivo nel lavoro incessante di sottrazione delle donne in schiavitù alla criminalità organizzata, ma un porto sicuro di aiuti concreti ed essenziali, che possono moltiplicarsi con la solidarietà pubblica e privata e il passaparola delle donne salvate verso altre sventurate ospiti dei marciapiedi.

Amaranta nasce già con una forte visione futura. Al fine di garantire la prosecuzione dell’iniziativa, anche al termine delle attività progettuali sostenute dalla Fondazione con il Sud, si ipotizzeranno delle modalità autosostenibili, attraverso l’attivazione di attività nel settore della ristorazione, favorendo l’inserimento lavorativo delle vittime di tratta e sfruttamento. È prevista l’apertura di un ristorante con le stesse donne vittime che potranno diventare imprenditrici.

L’azione di monitoraggio, assistenza e integrazione della drop house sarà un prezioso prototipo per nuovi centri analoghi nelle altre città, in questa coraggiosa guerra della pedagogia dell’amore contro la marginalizzazione emotiva ed economica delle donne fragili.


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