La poetessa
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Tra sangue e cemento
Per te
Razvan, ora canta il vento
sopra i cornicioni
che più non ti reggono,
sei l’eco di un grido spezzato
d’un volo non scelto
che irrora i palazzi muti.
Hai lasciato la pelle fra cielo e cemento, e un figlio, rimasto
nel ventre di un sogno sospeso.
Le tue mani poteva essere nido,
ganci per traghettare la vita
verso il domani.
E invece?
Il cielo t’ha preso
come prende il mare
un remo smarrito.
Chi ti teneva, con dita feroci d’amico,
ha tenuto il tempo per un solo respiro,
poi l’ha perso – come si perde
la neve nel pugno.
Ora lui piange polvere
e ha rotto le ossa al silenzio.
Chi ti aspettava ha solo la soglia,
la tazza vuota del ritorno,
l’orologio fermo all’urlo.
Il tuo nome resta appeso ai ponteggi,
non cade, non mente, non trema:
è un canto d’acciaio nel vento,
è una stella che non si spegne,
è il respiro che ancora, da qualche parte,
tiene in vita il mattino.
Ho scritto questi versi per dare voce a un nome che non deve scomparire nell’indifferenza. Razvan Iulian Gurau era un giovane uomo, un lavoratore, un figlio, un padre in attesa — ma soprattutto era carne viva, speranza, desiderio di costruire, di appartenere a un futuro.
Quando muore un operaio, non cade solo un corpo: cade la promessa di una vita, la fiducia nel domani, il diritto stesso di essere umani. Razvan non è precipitato solo da un’altezza, è precipitato attraverso il vuoto di un sistema che troppo spesso dimentica la pelle degli invisibili. Questa poesia nasce dal bisogno di raccogliere quel corpo, quella storia, e sollevarla — almeno con le parole — sopra il silenzio.
Ho voluto usare immagini che sfiorano il sacro, simboli che ricordano il volo e la caduta, l’amicizia e la colpa, l’attesa e l’assenza. Perché in ogni fune che cede, c’è un grido che il cielo non assorbe.Perché ogni figlio non nato che non saprà il nome del padre, ogni mano che ha tentato invano di trattenere una vita, ogni muro colpito dal dolore meritano di entrare nella poesia, che è l’unico luogo dove la giustizia può ancora accadere, almeno come memoria. Scrivere per Razvan è stato scrivere per tutti coloro che scivolano via senza che nessuno dica il loro nome.
Io lo dico. E continuo a scriverlo.
Razvan. Razvan. Razvan.
Che resti, almeno, inciso nella parola.