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Cento anni fa, la nascita di Aldo Moro Oggi commemorazione a Maglie, paese natale dello statista ucciso dalle brigate rosse. Ieri in consiglio regionale della Puglia. Il governatore Emiliano: non avrebbe permesso questa situazione di Taranto

aldo moro

Il 23 settembre 1916, a Maglie, nacque Aldo Moro. Cento anni fa. Lo statista, assassinato dalle brigate rosse il 9 maggio 1978 dopo 55 giorni di sequestro, viene commemorato oggi nel suo paese natale. Ieri la celebrazione ha avuto luogo in consiglio regionale della Puglia. Fra gli interventi, quello di Michele Emiliano: il governatore pugliese ha detto, ad esempio, che uno statista della levatura di Moro non avrebbe consentito una simile situazione di Taranto.

Di seguito il discorso di Michele Mazzarano, capogruppo del partito democratico in consiglio regionale della Puglia:

L’occasione del 100esimo anniversario della nascita di Aldo Moro e questa seduta del Consiglio Regionale pugliese che, grazie all’idea del presidente Loizzo, ne celebra la ricorrenza consente di partire dalla vita. Con Aldo Moro si parte sempre dalla morte (rapimento-sequestro-assassinio). È superfluo ricordare qui che si tratta della pagina più drammatica della storia repubblicana ma il cosiddetto “caso Moro”, che rinvia a quel groviglio di misteri e anti-misteri che è ormai divenuto un genere saggistico letterario e cinematografico, è diventato il principale ostacolo che impedisce di ricostruire compiutamente il profilo storico dell’uomo, analizzando il contributo politico da lui offerto alla crescita e al consolidamento alla fragile democrazia italiana.
La dialettica tra i “dietrologi” e gli “spiegazionisti” è diventata infatti ripetitiva e soprattutto ha esaurito la sua funzione politica e culturale.
La celebrazione di questa mattina ci consente invece di focalizzare la sua vita, la sua opera, l’attualità del suo pensiero soprattutto per la sua straordinaria capacità di guardare “non solo al domani ma anche al dopodomani”.
Un pensiero spesso ritenuto tortuoso e oscuro, ma in realtà capace di una profondità e di una lungimiranza difficili da riscontrare nel panorama politico odierno.
Il pensiero di Moro è stato capace di cogliere con grande anticipo i tempi nuovi, di indagare le trasformazioni di una società che si avviava a diventare sempre più complessa e quindi difficile da inquadrare con le categorie e i parametri precedenti.
C’è una preoccupazione di fondo che guida la cultura e l’azione politica di Moro: il tentativo di cogliere i tratti di una democrazia difficile, caratterizzata dalla sua giovane età e dalle rigidità della guerra fredda che la costringe in una forma bloccata.
C’è nel suo pensiero l’aspirazione verso una democrazia matura, compiuta, una democrazia dell’alternanza, del reciproco riconoscimento tra gli opposti schieramenti politici. Una democrazia del dialogo, della collaborazione, della condivisione.
Aldo Moro credeva in una politica solida, robusta, curiosa, caratterizzata decisamente dal valore assoluto del dialogo: dialogo tra movimenti, partiti, culture, tendenze a prescindere dalla ideologia con cui si rappresentano.
Quella pretesa, dichiarata in una lettera scritta nel covo delle Br il 24 aprile 1978, di “restare come punto di contestazione e di alternativa” è tale perché si viveva con spirito di diversità rispetto al suo stesso mondo.
Gli anni in cui Moro è stato capo del governo sono stati anni molto complessi: dalla metà degli anni sessanta, in un clima mutato rispetto al boom economico, in cui movimenti studenteschi e lotte operaie hanno plasmato la società italiana attraversata da crisi economiche e conflitti sociali violenti.
Moro è stato uno statista meridionale con un profondo e convinto pensiero meridionalistico. La Fiera del Levante, come si evince dai suoi discorsi inaugurali, era per il Presidente del Consiglio Aldo Moro l’occasione per parlare con intenti programmatici rilevantissimi per il Sud e tutto il Paese.
L’idea morotea del dualismo italiano era orientato ad un riequilibrio, ad una redistribuzione attraverso una programmazione di lungo respiro. Quello di Moro fu un meridionalismo che non scadde mai nel regionalismo. La rivendicazione di dignità ed uguaglianza per il Sud era percepita come urgenza inderogabile.
Da Bari guardava all’Europa, per un meridionalismo di ampio respiro.
Aldo Moro considerava, ad esempio, il processo di unificazione europea secondo una prospettiva di lungo periodo che già anticipava la necessità di una integrazione politica, e non solo economica, tra Paesi, di strutture e meccanismi democratici di governo, di un forte coinvolgimento delle giovani generazioni perché si consolidasse una coscienza europea e di una strategia di cooperazione culturale. Il disegno di Moro era orientato non solo a rafforzare il ruolo italiano nel contesto europeo ma era anche e soprattutto ispirato da una visione globale dei rapporti est-ovest e tra i paesi dell’area mediterranea. Non è superfluo ricordare, per comprenderne il senso, che il contesto è quello della guerra fredda. I rapporti diplomatici tra l’Africa e il Mediterraneo sono improntati alla peculiare strategia definita “pace nella sicurezza”, fondata sul superamento degli squilibri economici e culturali, sulla cooperazione e sulla interdipendenza tra i popoli, anziché su equilibri militari. La diplomazia di Moro era di mediazione tra le politiche degli alleati atlantici e le nuove istanze di pace e sviluppo di questi paesi mantenendo un difficile equilibrio tra fedeltà all’Occidente e l’apertura al Terzo Mondo. Dal 63 al 76 anni in cui Moro fu più volte Primo Ministro e Ministro degli Esteri insomma oltre alla difesa dell’atlantismo e della integrazione europea, egli volle affermare una visione strategica nuova fondata sull’apertura al mondo arabo, sul contrasto alla marginalizzazione delle potenze minori vittime del bipolarismo Usa-Urss, sulla difesa dell’Europa come soggetto politico. Opera che sembra imperniata su linee strategiche attuali ma in quegli anni era espressione di grande coraggio e innovazione, in un mondo vincolato dalle rigidità della guerra fredda.
C’è una costante in tutto il pensiero di Moro: esso è caratterizzato, per quanto riguarda la visione politica, morale e giuridica, dal costante richiamo alla centralità della persona umana.
Come ha scritto il suo allievo Franco Tritto, “non si può fare a meno di rilevare come il filo conduttore dei valori umani si dipani lungo tutto il suo percorso scientifico. Il punto di partenza, il presupposto, cioè, è sempre e comunque costituito dalla centralità della persona umana, dell’uomo. Tutto intero il suo argomentare, quale che sia l’angolo visuale o il tema trattato, parte dall’uomo per ritornare all’uomo”.
Si tratta di un punto cruciale che resta di grande attualità, è anzi ancor più di attualità in un contesto culturale in cui prevalgono modelli post-umanistici tendenti a sottovalutare la dimensione umana dell’esperienza a vantaggio di un imponente potere tecnologico.
Di fronte a questi eccessi, di fronte al tentativo di privilegiare l’artificiale rispetto all’elemento umano, di fronte all’invadenza di una globalizzazione intesa soprattutto come primato dell’economico sul politico, di fronte alle sfide biotecnologiche e alle emergenze ecologiche, di fronte alla problematica di una
governance della scienza e della partecipazione ai processi decisionali, alla necessità di garantire i diritti delle generazioni future, non resta che riaffermare in primis, in linea con la tradizione cattolico-democratica e con la nostra ispirazione cristiana, le basi umane della nostra esistenza.
Il nucleo umanistico del pensiero moroteo aiuta a valorizzare il senso più vero della politica. Perché le sfide che abbiamo appena ricordato, del mondo globale, con la crisi della sovranità statale e la cessione di sempre maggiori poteri ai mercati, sono sfide politiche, che richiedono sempre più l’intervento della Politica anche e soprattutto perché su molte questioni la scienza non è in grado di darci risposte chiare ed univoche; su molte questioni la scienza è “incerta” e la politica è chiamata ad intervenire sempre più spesso con competenza, lungimiranza, responsabilità, moralità.
In campo politico questo impegno di umanizzazione dell’esperienza si concretizza, nella espansione del processo democratico. È questo lo strumento più efficace rispetto al complicarsi dei fenomeni sociali, del crescente pluralismo sociale e culturale, della sempre più forte inadeguatezza e insufficienza dello Stato ormai troppo grande per far fronte alle “piccole” cose, ma decisamente troppo piccolo per affrontare e risolvere le grandi problematiche del nostro tempo.
La frase che più di altre, a mio avviso, descrive l’originalità del pensiero e dell’opera di Aldo Moro è in un discorso tenuto a Milano nel 1959: “Una democrazia è un atto di rispetto per l’uomo, per ogni uomo, per tutto l’uomo, per tutte le esperienze in cui si esprime e si concreta la sua libertà”

aldo moro


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