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Benito Di Lauro, il pugliese re delle carte geografiche Ricordi

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Di Franco Presicci:

C’è stato un periodo in cui cercavo d’incontrare i castori pugliesi ben piazzati nella scala sociale e professionale. E ne ho incontrati davvero tanti. Tra questi Guglielmo Miani, che da semplice sarto divenne il re degli abiti ricercati realizzati con pregiate stoffe inglesi e così noto e stimato anche in Gran Bretagna da ricevere il principe Filippo nel suo negozio e ospite nella sua abitazione. Tra l’altro negli anni Sessanta organizzò a Milano una settimana inglese e oltre a majorette, sfilate, bande collocò una cabina telefonica oltremanica davanti al suo elegante esercizio di via Manzoni. Era di Andria e onorò il suo paese e Milano.
Un giorno il caso mi fece incontrare Benito Di Lauro, il re delle carte geografiche. Un uomo laborioso, inventivo, geniale, effervescente, un sorriso coinvolgente, un ruscello gorgogliante. Aveva il gusto della parola e la spendeva generosamente, senza mai annoiare, anzi catturando l’attenzione dell’interlocutore sino alla fine. Amava raccontare le sue esperienze milanesi, le persone conosciute, i giardini pensili, i cortili interni, le piazze, le facciate dei palazzi, le serate al Circolo della Stampa. Faceva voli pindarici; gesticolava come un attore brillante alla ribalta. Nonostante l’età, un giovanotto pimpante.
Di traguardi ne conquistò tanti con la volontà di ferro, l’impegno coriaceo. Con l’intelligenza e i modi garbati, conquistava le persone, anche quelle più illustri, più famose, come lo scrittore e regista Mario Soldati. Arrivò a Milano nel ‘47, anno in cui il nostro Paese aveva voglia di dimenticare i lutti, i disastri, le macerie, di divertirsi, d’impazzire nelle balere, di avvitarsi nei tanghi, di volteggiare nei valzer, nelle danze che giungevano dall’America. Furoreggiava la Sisal: le scommesse sulle partite di calcio nate da un’idea del giornalista Massimo Della Pergola. Gli abitanti del capoluogo lombardo erano un milione e 700; 1263 i vigili urbani; Palazzo Marino si stava rifacendo le ossa e il consiglio comunale, ossessionato dal deficit dell’Azienda tranviaria, si riuniva al Castello Sforzesco; al Caffè Dalmasso, in via Montenapoleone, ciondolavano belle ed eleganti signore con il vitino di vespa, abiti fino ai piedi e scollature per allora audaci. La gente era dappertutto alle prese con il costo della spesa: un chilo di carne, di quella buona, costava 300 lire; 670 uno di burro.
Benito percorreva le strade in bicicletta, impegnato nella consegna dei plichi della ditta Rinaldi. Era preciso, simpatico, vivace, comunicativo. Un giorno il “cumenda” lo convocò nel suo ufficio, lo riempì di elogi e gli affidò l’organizzazione del settore distribuzione. Lui lo reimpostò, rendendolo più agile, semplice, funzionale. Poi cambiò strada ed entrò in banca, rimpianto dal principale, che lo teneva in palmo di mano: una vera perdita quel talento insostituibile. Benito Di Lauro era un cavallo da corsa. Aveva dentro un impulso che lo spingeva verso nuovi percorsi, verso obiettivi sempre più alti, sempre più prestigiosi.
Che vitalità! Eccolo in contatto con un editore di carte geografiche, che gli offre l’esclusiva delle vendite. Accetta. Una via nuova da imboccare con coraggio e decisione. Le sue doti gli consentono di conseguire ancora una volta ottimi risultati. Ma altre arterie gli si aprono con l’incontro con Angelo Rizzoli, al quale gli propone una Guida di Milano. Ma perché mettere il proprio ingegno a disposizione degli altri? Se lo chiede e devia: sorgono le Edizioni Di Lauro, che danno vita a carte regionali, dei Paesi europei e del mondo, carte statistiche, guide turistiche di Milano e della Lombardia, di tutte le altre città d’Italia…L’ammirazione di cui gode lievita.
Benito non si ferma, non è il tipo da fare soste, il suo cammino non prevede tappe, la sua corsa è continua: è un campione che non si siede sugli allori. Va avanti, non molla, moltiplica i suoi successi. Quelli che sono in confidenza con lui gli hanno coniato un soprannome: “Sveltino alka selzer“. Di solito i nomignoli sono suggeriti da un difetto, da un modo di comportarsi, dal mestiere che si esercita. Questo è dettato dalla sveltezza con cui Benito realizza i suoi progetti, tiene aperti i suoi cantieri, dà fiato alle idee che fluiscono nella sua testa.
Una mattina l’ho invitato a casa mia, perché un incidente mi aveva provocato un problema a una gamba e non potevo camminare. Venne e si presentò: “Spinazzola” . Scherzava, ma io capii che le sue radici erano forti come quelle della quercia. Gli dissi: “Quindi terra di Bari”, Rispose; “Spinazzola”. “Sì, il paese della cavalcata della Madonna del bosco, dove le persone che hanno fatto le offerte più alte possono seguire la processione stando più vicine alla mamma di Gesù”. Sorrise, rimanendo in piedi durante tutta la conversazione. “Perchè non ti metti comodo?”. “Sto comodo così. Sono nato in piedi”. L’amico che lo aveva accompagnato rise con lui. Benito era divertente, piacevole, schietto. Parlava tenendo le mani ferme sulla scrivania. “Vai ancora a Spinazzola?”. “Come no: il nido non si deve mai dimenticare. Non sono di quel pugliesi naturalizzatisi milanesi. Dimenticano il loro dialetto per assumerne un altro, credendo di promuoversi”.
Lo ascoltavo volentieri. Per tutto il tempo imprigionò la mia attenzione. Un pugliese vero, che restava legato alla culla, anche se a Milano lo avevano premiato con l’Ambrogino d’oro”. In quell’occasione mi accennò alle sue origini, con il papà, Carmine, calzolaio, il più bravo del paese non solo nell’arte della tomaia, visto che aveva modellato un campione come quel figlio che aveva dodici fratelli. Mi parlò anche della madre, Lucia, insegnante di ricamo.
Benito era generoso e non scordava i poveri di Spinazzola, per i quali mandava a don Carducci e ad Alba Varrese un buono per il ritiro di 12 chili di generi alimentari pagati personalmente da lui. La beneficenza era una delle sue vocazioni. Non per nulla era da 26 anni presidente de “La Madonnina”. E questa era soltanto una delle voci del suo “curriculum”. Per esempio collaborava a Radio Meneghina; era vice segretario generale del Circolo della Stampa; commendatore del Santo Sepolcro, “Ambrogino d’oro nel ‘73, presidente onorario dei festeggiamenti di Spinazzola, dove aveva fatto erigere il monumento ai Caduti ; medaglia d’oro del ‘96 al Circolo Volta di Milano.
Da 22 anni era alla guida del Circolo Ambrosiano “Meneghin e Cecca. Era innamorato di questi personaggi, così cari ai milanesi, e li decantava. “Meneghino, secondo Emilio De Marchi significa servitore della domenica, è buon conoscitore dei caratteri umani; è il simbolo popolaresco del gran Milan”.
La fortuna di questa maschera ebbe inizio alla fine del ‘600, sotto gli spagnoli, con “I consigli di Meneghino, di Carlo Maria Maggi; poi non si sa quando incontrò la donna che avrebbe impalmato: Cecca di Berlinguitt. Ventidue anni fa fu il cantante Arturo Testa (“Io sono il vento”) a indossare i panni di Meneghino, nel 2003 l’architetto Gianni Fwerri e Cecca la cabarettista Mirton Valani. Il Circolo, che ha lo scopo di mantenere vivo il dialetto e le tradizioni storiche delle porte di Milano custodisce 63 costumi d’ epoca, che vengono indossati nelle circostanze più importanti, nelle sfilate di sabato grasso, che vedevano Di Lauro in carrozza con le due maschere dirette alle visite alle autorità.
Benito Di Lauro era grato a Milano. “Milano mi ha dato tutto, oltre alla moglie, Renata, una figlia, Laura, il lavoro, il successo”. Ma anche tu hai dato molto a Milano. Hai fatto onore alla tua terra d’origine e hai contribuito a fare grande Milano.
Benito è scomparso nel 2003, travolto da un’auto impazzita mentre camminava in una strada di Tenerife. La notizia arrivò velocemente a Milano, spargendo dolore fra gli amici e fra tutti quelli che lo apprezzavano per le sue virtù umane e professionali, per la sua delicatezza, per la sua bontà, pdr la sua efficienza. Quando venne a trovarmi, scese, prese dall’auto un bel po’ di carte geografiche, risalì e me le donò, con un garbo esemplare.
Non dimentico Benito Di Lauro, pugliese autentico, capace, coraggioso, ricco di idee, alla mano. Parlava senza enfasi della sua carriera e diceva che la terra del Porta prediligeva i pugliesi. Non aveva ricevuto un regalo. Domenico Porzio una volta mi disse che a Milano c’è spazio per chi lavora con diligenza e sollecitudine. Il lavoro svolto in qualche maniera qui non trova diritto di cittadinanza. E Benito lavorava anche con il cuore. Che cosa ha fatto Spinazzola per lui? È soltanto una domanda.

 


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