Di Franco Presicci:
Ci vollero giorni e giorni per individuare l’uomo che incollava su una tomba biglietti di insulti contro il defunto. Gliene diceva davvero di tutti i colori, aggiungendo la frase: “Ricordi quell’azione deprecabile da te compiuta?”. Una mattina un operaio vide tutti quei foglietti e riferì al responsabile, che dette subito l’ordine di vigliare. Ma l’autore era fulmineo: attaccava il messaggio e scompariva. Un addetto alla pulizia dei viali lo notava, ma non ci faceva caso, prendendolo per un parente che curava assiduamente il luogo sacro.
Quando seppe che lo cercavano, promise che lo avrebbe subito segnalato. Ma il direttore avvertì il commissariato Scalo Romana e il dirigente, Edmondo Capecelatro, incaricò due agenti di appostarsi in borghese nei pressi. Appena una persona anziana si avvicinò al sepolcro, con il pezzetto di carta in mano, fu bloccata con molta cortesia e invitata a seguirli in ufficio. Anche il dirigente, persona educata e gentile, contraria ai modi bruschi, lo trattò con i guanti gialli, facendolo sedere davanti a lui. “Allora, signor… che cosa mi dice? Perchè ha compiuto quei gesti? Deve avere le sue ragioni, allora abbia la cortesia di farle sapere anche a me. Lo sa che il camposanto è il luogo del silenzio, della preghiera e del rispetto”. “Lo so, ma quello non merita né rispetto né preghiere. Per giudicare il mio comportamento bisogna conoscere l’azione compiuta da quel tizio”. Ma non veniva al sodo, prendeva il discorso alla larga, forse aspettandosi che il vicequestore lo licenziasse senza altri rimproveri”. Ma Capecelatro era sì comprensivo e garbato, ma voleva sapere sempre bene i fatti. E insisteva. “Lei capisce che non posso lasciarla andare, se lei non mi spiega, non chiarisce, non m’informa”. Alla fine, l’uomo capì che era necessario raccontare per filo e per segno. ”Devo purtroppo rievocare atteggiamenti intimi, lontani, che mi bruciano ancora. Quarant’anni fa sposai una donna bella, ben curata, civile, innamorata. Una vita, la nostra, basata sulla fedeltà e sulla stima reciproca. Dopo anni d’amore mia moglie morì, ma dopo avermi confidato che prima di conoscermi era stata ‘toccata’ da un uomo, che dopo averle promesso di portarla all’altare, si eclissò. Mi disse anche come si chiamava e il luogo in cui probabilmente si era trasferito. Genericamente, perchè di lui non aveva più saputo nulla e non voleva neanche sentirne parlare. Aveva ancora vergogna”.
Si commosse, ma si riprese subito. Il poliziotto lo ascoltava con attenzione e si rendeva conto del suo turbamento, quindi evitava di fare altre domande. “Io vengo da lontano. Ho camminato tanto, in questi anni. Non so più quanti passi ho fatto, domandando a questi e a quello, bussando a tante porte. Sapevo il nome e il cognome, l’età e il mestiere che aveva esercitato. Poi ho saputo che era morto e ho cominciato a fare la maratona nei cimiteri. In principio volevo vendicarmi, schiaffeggiandolo, ma avendo saputo che era morto, avendo ancora dentro una rabbia e un desiderio di castigo, quello che ho fatto era per me l’unico sfogo. Uno sfogo, signor commissario. Quello aveva disonorato mia moglie. Lei non immagina quanti pianti, ancora oggi. Io ho abitudini e idee antiche: l’onore, signor commissario, ha un valore, non è una parola vuota. Lo so che altri direbbero che è un episodio accaduto quando io non c’ero, ma io quella donna l’amavo”.
Il vicequestore, in pensione da tanti anni come primo dirigente, non mi ha raccontato questa storia, ma una trentina di anni fa l’ho saputa per caso durante una cena da un amico brigadiere che l’aveva captata girando fra i corridoi. Sembra una storia incredibile, ma è vera. Come quella di un uomo noto nel mondo della mala come titolare di un pozzo di San Patrizio. Un sottufficiale considerato un mastino, tra l’altro campione di karate, lo arrestò dopo una perquisizione con un’ennesima accusa di ricettazione. Mentre stava per essere tradotto in carcere pregò il maresciallo di fargli fare una telefonata a un vicino di casa per raccomandargli di prendersi cura del suo cane. “Sa, io non so quanto tempo starò via e chi darà da mangiare alla bestiola? Morirà di fame e di solitudine”.
E la ragazza di vent’anni che aveva chiamato un taxi per farsi portare fa Milano a Lodi, entrò in uno stabile, ne uscì dopo dieci minuti per tornare a casa con lo stesso taxi, dicendo al conducente che non aveva una lira. Portata in commissariato e collocata temporaneamente in camera di sicurezza, cantava le canzoni alla moda. Si scoprì che era sola al mondo.
Nel capoluogo lombardo c’è chi crede ancora ai fantasmi. Nel novembre del ‘79 una donna, bassa, sottile, un cascame di bambagia sulla testa, si presento in commissariato, dicendo. “Dovete arrestare quel bastardo”. “Come si chiama e che cosa fa fatto”. “Si chiama Black”, “Un none strano per un uomo”. “Ma non è un uomo, è un cane grosso così. Per ordine di mio cugino si apposta, appoggia le gambe sul davanzale della mia finestra e mi spia mentre si spoglio”. Dallo sguardo del poliziotto capì che il bastardo non sarebbe finito in guardina e fece “dietro front” paupulando.
Qualcuno nel sentire questi episodi si divertirebbe. Ma non può divertire nemmeno la donna che vedeva i fantasmi entrarle in casa attraverso i muri. Ballavano, volavano, assumevano movenze da pattinatori sul ghiaccio. “Io non ho paura – diceva ai poliziotti – ma mi impediscono di prendere sonno, mettono disordine… Lei mi dà l’impressione di non crederci e allora mi dica: come ha fatto a diventare graduato?”. Il graduato non rispose.
I primi tempi del mio mestiere per curiosità, ma soprattutto per attingere cibo quotidiano genuino correvo da un avamposto di polizia all’altro e riempivo il carniere, non pensando che a Milano potessero accadere certi fatti. Lo scrittore Domenico Porzio scrisse che nella terra del Porta i fantasmi non hanno diritto di cittadinanza; ma come convincere la donna che aveva avvicinato Edmondo Capecelatro nel bar in cui andava spesso a bere il caffè, rivelandogli che quelli convivevano con lei? Sentiva rumori, lamenti, imprecazioni e vedeva ombre sospette. Un’altra: “Lo sa lei che cosa fa la mia coinquilina del piano di sopra? Versa la stricnina nel water, quella raggiunge il mio bagno, evapora e io mi avveleno ogni giorno di più”. Quando gli fu risposto che l’azione contro un responsabile del reato non poteva essere proposta, perché mancavano le prove, quella gli lanciò uno sguardo fulminante.
Ho titubato a lungo prima di decidere a mettere sulla carta questi spicchi di memoria. D’impulso mi sono seduto davanti al computer, avendo in mente la donna che diceva di essere svegliata in piena notte da un ectoplasma che si piazzava ai piedi del suo letto e le raccontava la propria vita: era stato ucciso anni prima proprio in quella casa e lì era rimasto. La donna era coraggiosa e non si faceva prendere dal panico. Gli disse soltanto di andarsene e di lasciarla in pace. Poi lei si trasferì a Milano e non capiva come avesse fatto Vincenzo – questo il nome dello spettro – a scovare il suo nuovo indirizzo. “Mi rendo conto che i morti ammazzati non trovano pace, ma perché molestare proprio me? Una notte, non potendone più, gli ho urlato: ‘Vincè’, tu sei un morto fesso’”.
Alla polizia la presunta vittima chiese se poteva fare qualcosa e si sentì rispondere che le forze dell’ordine lavorano per i vivi, non per i morti. “Questi ormai appartengono ad un altro mondo’. Nei commissariati dunque beccai chicche sorprendenti e conobbi uomini straordinari, come Vito Plantone, Armando Sales, Mario Parretta… Una mattina (parlo sempre di oltre 40 anni fa) una donna si presentò al piantone con sei o sette figli piccoli e disse: “Io non ce la faccio più, mio marito è disoccupato, io lavoro saltuariamente per poche lire, non so più come sfamarli, pensateci voi”. Un giovane tossicomane rubò nella casa del vicino, il padre trovò gli oggetti sul suo tavolo e lo denunciò.
Nelle stanze del commissariato Scalo Romana hanno aperto un locale con l’insegna “La Madama”: Una decina di anni fa ci sono andato con Edmondo Capecelatro, uomo coltissimo, oggi avvocato penalista, docente universitario di diritto penale e criminologia. Si è sempre occupato di teatro anche scrivendo testi e recitando; e continua a scrivere libri. Ne ho tre sulla scrivania: “Storia di una città attraverso la sua cucina” (la sua Napoli). “Totò” e “Eduardo”. A Milano dall’80, assegnato come vice dirigente al commissariato Scalo Romano, guidato dal compianto Enzo Sciscio, di Stornarella, in provincia di Foggia.






