Di Franco Presicci:
A distanza di tanti anni il dramma della seconda guerra mondiale fa ancora soffrire. Soprattutto oggi s’impongono i ricordi delle bombe, delle case distrutte, delle corse ai ricoveri, delle sirene, delle famiglie disfatte, della fame, della paura, dei prigionieri nei campi di sterminio, dei morti. La guerra, tutte le guerre, sono il sopravvento della barbarie. Chi le promuove per impossessarsi di un Paese è un criminale. Chi si rivolta, manifesta la sua condanna nelle piazze, urla per far sentire il suo dissenso; chi lotta per far spegnere il fuoco che divora tutto ciò che trova, fa crollare edifici, massacra uomini che si difendono e difendono le loro case, la loro terra è da rispettare. Chi non ascolta il grido di dolore, che si alza dalle folle, giovani e vecchi che hanno ancora il ricordo degli orrori, è complice.
Ho divorato, meditando, il libro ”Internati”, di Silvia Quero, scritto non solo con le parole, ma con i battiti del cuore. Silvia è nata del ‘78, non ha vissuto i rombi del conflitto spentosi nel ‘45; ma si è nutrita di storia, l’ha interpretata, assimilata; ha cercato vicende macchiate di sangue e di terrore; ha nesso a fuoco la figura orribile di Hitler, che pretendeva di dominare il mondo, di essere padrone della terra: che considerava gli uomini non esseri umani, ma cose da spezzare. Quanti sono i milioni di persone trasformate in fumo uscito da un camino nei campi di concentramento?
Macabro era quel treno che ve li portava. I binari sono il segno del dolore. Madri, padri, figli accomunati in un destino atroce. Tetre quelle baracche costruite per chiudervi non bestie, ma persone. E così il filo spinato steso per recintare luoghi di violenza. Brutale.
Silvia Quero ha scelto due casi sconosciuti a chi, spesso trascurando spazi importanti, ricostruisce la storia; due anime appartenenti all’universo dei deportati nei campi di dissoluzione dell’uomo, con guardie, i nazisti, che mantenevano… l’ordine con fruste e fucili spianati, senza contare i cani pronti all’aggressione. Sono due giovani tarantini: Vittorio Facilla e William Bardarè, imprigionati rispettivamente a Dachau e a Mathausen, dove i prigionieri morivano di fame, di freddo e di torture, vestiti di stracci, nella consapevolezza che per loro il calendario stese arrivando all’ultima riga. Malvagità!
Silvia Quero racconta con stile pacato, colloquiale, senza enfasi gli orrori della guerra, le ciniche furbizie di Hitler per dribblare i trattati, fra l’altro distinguendo tra soldati prigionieri politici e prigionieri di guerra; colma vuoti, scolpisce icasticamente figure, fatti, anbienti. Ecco Vittorio Facilla, volenteroso, suonatore di violino nei vari Cafè Chantant di piazza Carmine nella Bimare, anche per dare una mano ai genitori, assiduo nello studio e rispettoso delle regole, con la mamma afflitta dall’ansia che allo scadere dei 21 anni gli verrà recapitata la cartolina della chiamata alla leva, che segnerà la sorte di quel figlio desiderato, tanto atteso e amato.
Silvia Quero segue passo passo la vita di Facilla, descrive la famiglia con papà Egidio compositore, che arrangiava i brani di Saverio Nasole e suonava il mandolino, lo strumento delle serenate, e la mamma, Paola, che sapeva pizzicare le corde della chitarra: un contesto familiare felice, numeroso, che lasciò la città vecchia per trasferirsi in via Capecelatro, nel borgo nuovo, una casa più spaziosa, che poteva ospitare meglio le feste che di solito s’imbastivano. L’autrice evoca con sapienza anche il clima di Taranto di allora, bella e luminosa. Questo libro è ricco di particolari, preciso, puntuale.
La lettera per la leva arrivò con l’intestazione “Regia Marina”: si era alla fine dell’inverno 1939, “paradossalmente anche quell’inverno fu insolitamente freddo, così come quello dell’anno in cui nacque Vittorio”. Il giovane tarantino fu assegnato a un cacciatorpediniere, che gli consentiva, con suo piacere, di stare vicino al mare”. Tra due mari era nato, il Piccolo e il Grande, uniti in matrimonio dal canale navigabile. “Vittorio non aveva mai avuto paura del duro lavoro e sin da piccolo fu sempre rispettoso delle regole e delle gerarchie.
“Come primo passo l’Italia si mosse per invadere le coste mediterranee. Nella sua prima mossa Vittorio scrisse in una lettera alla mamma che si trovava nel Mare Egeo, forse nemmeno lui sapeva che la sua destinazione sarebbe stata l’isola di Leros… L’8 settembre1943 portò lo sbandamento delle truppe italiane, ora il nemico era la Germania e la Grecia, soprattutto l’isola di Leros…”. L’autrice snocciola meticolosamente gli avvenimenti in cui è coinvolto Vittorio, che soccorse un ferito senza sapere se fosse amico o nemico. Non conta l’appartenenza, ma l’uomo Poi i sopravvissuti italiani furono raccolti in un grosso campo, da cui furono trasferiti.
Infine a Dachau. Vita dura, fame, gelo, l’invito ripetuto di aderire alla Repubblica di Salò. Suonò con un violino “di ottima fattura” ed fu reclutato nell’orchestra di Dachau. Dopo tante vicissitudini, sofferenze, le giornate divennero un tantino migliori. Poi l’arrivo degli americani. Vittorio aveva un gran desiderio di tornare a casa, incurante dei chilometri che avrebbe dovuto macinare, confortandosi guardando la foto di Marianna.
Silvia ha seguito il percorso di Vittorio suscitando nel lettore tanta emozione e nei meno giovani ricordi terribili. E ha narrato la sua vita di uomo resuscitato. Scampato pericolo.
Ed ecco William Bardarè, nato nel febbraio del ‘22, catturato dai nazisti il 16 settembre del ‘43, deportato in Germania e liberato il 15 maggio del ‘45. studi all’Istituto Magistrale “Livio Andronico, in corso Umberto, a Taranto, Dopo essere stato in varie città a causa del lavoro del padre, militare severo. William era socievole, si faceva amici facilmente, aveva buoni rapporti con i genitori, educazione rigida. “… Mussolini guardava impressionato alla potenza e all’efficienza dell’esercito tedesco e si manteneva in un certo senso distaccato, almeno all’inizio, non ignorando ‘la povertà’ delle nostre truppe. Il fascismo si serviva delle scuole per diffondere le sue idee anche attraverso le sue immagini, i suoi segni, le sue etichette, i fasci, i gagliardetti, i balilla. William venne reclutato per il fronte greco-albanese. Nel ‘42 in Montenegro. La sua mansione era quella “di riprodurre a mano le cartine della costa e del porto di Rieka, indicando i punti in cui erano piazzati le mitragliatrici, i cannoni e perfino i mitragliatori con un raggio di azione di 180 gradi”.
Silvia Quero narra con precisione, descrive i momenti, gli stati d’animo, dando al lettore l’impressione di trovarsi sul posto, fra quella gente, quei soldati, quelle strategie. S’inoltra nei luoghi, scopre William e il suo compagno ascoltare di nascosto le canzoni italiane grazie a una radio a galena. La casa è lontana e la nostalgia incalza. Improvvisamente, l’8 settembre del ‘43 la notizia della firma dell’Armistizio. Tra gli ordini quello di abbandonare Reika. Il nemico è cambiato. Pronti i tedeschi a far volare gli Stuka, “i bambardieri tattici della Luftwaffe, che iniziarono a lanciare ordigni e William dovette a tutti i costi cercare un rifugio. Quindi una lunga marcia, durata una notte intera verso Mitrovica; il primo rancio, una sbobba per carcerati, tra il freddo, la notte tutti insieme in un’unica baracca. William scambiò per tedesco un russo che prima della guerra faceva l’ingegnere, durante la guerra era stato catturato e giurò fedeltà a Hitler per non essere assassinato, pur essendo antinazista… Le informazioni s’intoltiscono.
Vanno lette, queste pagine di Silvia Quero. Sono pagine allettanti scritte da una persona che conosce benissimo la storia, sa descrivere i personaggi, i luoghi, le situazioni. Non tralascia nulla, sterra, ricerca, precisa; e attira l’attenzione, la tiene viva fino all’ultima pagina.
E ha fatto bene a scegliere il professor Antonio Scialpi, di grande livello culrturale per l’introduzione. “La dannazione della memoria” dice tutto. “Noi siamo un popolo senza memoria”, diceva Indro Montanelli. E Scialpi: “La storia degli italiani catturati dai nazisti, prigionieri e internati nei vari campi di lavoro e lager è una storia di oblio nella più generale storiografia della guerra di Liberazione”. E ancora: “Una storia di ‘dimenticati’ di Stato. Conosciuti ai più con la sigla IMI, i soldati internati furono risollevati dall’oblio grazie all’opera del Presidente della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi. La gran parte erano nati durante il primo conflitto e subito dopo, come i due soldati di Taranto internati, di cui si occupa la commovente ricostruzione biografica e storica Silvia Quero”.
Commovente e alcune volte straziante. Non confortata certo dalla musica diffusa tra il dolore. I nazisti amavano più i cani che le persone, che per la fame, il freddo, le torture erano diventate sottili come il fil di ferro. E milioni di anime passavano per il camino. I nazisti avevano perduto il cuore da qualche parte.