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Aimo Moroni, “padre della Milano gastronomica”: i suoi piatti con i colori dei quadri del pittore pugliese Morto nei giorni scorsi a 91 anni

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Di Franco Presicci:

La notizia ha scosso Milano. Giornali e televisioni lo hanno salutato con viva partecipazione, mettendo in evidenza la qualità della loro ate. Il “Gambero Rosso”, l’8 ottobre, su Istagram ha scritto: “Addio ad Aimo Moroni, muore il padre della Milano gastronomica“. E tanti cittadini hanno postato su facebook la loro tristezza.

Chi non si era mai seduto ai tavoli di Aimo e Nadia, gustando le loro prelibatezze? Il locale, noto dappertutto, si apriva in via Montecuccoli, alla periferia ovest di Milano e sbucava in via Lorenteggio. L’interno aveva le pareti come quelle di una galleria d’arte: dalle tele occhieggiavano le donne di Maruggio, alte, vestire di nero, fazzoletto in testa, forti come quelle di Ignazio Silone, donne che hanno dato le braccia all’agricoltura, sostituendo i mariti succhiati dall’emigrazione: i quadri del pittore Emilio Marsella, suo amico, che aveva lo studio di fianco. Il suo locale era oasi di accoglienza, buon gusto, splendore. Superata la soglia ti colpiva subito l’atmosfera.

Screenshot 20251011 045714Gli esperti consideravano Aimo il simbolo della cucina italiana. Provenienti da un paese in provincia di Pistoia, Aimo Moroni e Nadia Giuntoli aprirono una trattoria nel ‘62. ma il loro progetto era quello di estendersi, realizzando un ristorante che attirasse palati esigenti. E infatti a poco a poco si fecero conoscere e apprezzare. Portarono a Milano la cucina del loro luogo originario, che conoscevano bene; ma con il tempo quegli odori si moltiplicarono.

Edoardo Raspelli, creatore della critica gastronomica e conduttore di trasmissioni con ottime audience sulle reti Fininvest, severissimo nei suoi giudizi come un antico giudice della corte di Trani, ha risposto subito alla richiesta di un commento sui due grandi personaggi: “Aimo e la moglie Nadia con il locale che portava il loro nome erano riusciti a farlo diventare a Milano, in Italia, nel mondo simbolo della gola, come la famiglia Santini che con il loro Pescatore riuscirono e riescono a far diventare famoso nel mondo Runate di Canneto sull’Oglio. Li ho visti nascere e crescere; l’umile essenziale spazio verde per la bella stagione, il locale che era una semplice accurata trattoria e poi il banco frigo all’ingresso con il meraviglioso assortimento delle materie prime migliori che Aimo procurava al mercato, ai mercati, per la cucina della moglie: era anche la grande cucina italiana delle tre T (terra, territorio, tradizione)”.
È stato Francesco Lenoci a darmi la notizia della morte di Aimo. Il docente dell’Università Cattolica, ambasciatore della Puglia a Milano, conferenziere itinerante, sempre alla ricerca dei valori disseminati sul nostro territorio, ha conosciuto lo chef stellato e sua moglie, ha frequentato il loro ristorante anche con amici intenditori. E mi mostra i piatti con i colori del pittore maruggese, suo amico e vicino…di casa, innamorato della sua città, che dal 1315 al 1819 appartenne all’Ordine del Cavalieri di Malta, costruttori del Castello. In quello studio Marsella creava i suoi quadri e ogni tanto riceveva la visita di Aimo. Un’amicizia solida, la loro, tanto che quando Aimò andò in Cina si portò un’opera emersa dalla ricca tavolozza di Emilio.

Una sera l’artista invitò un amico giornalista e sua moglie a una cena in quello studio che si era arredato con le sue mani avendo fatto da giovane il garzone di un falegname. Prima di mettersi a tavola, il commensale si sentì male e cadde a terra. Marsella, preso dal panico, corse a chiamare Aimo, che accorse immediatamente: era stato un malore senza conseguenze.
Il questore Vito Plantone, di Noci, appassionato di arte culinaria, parlava del ristorante di via Montecuccoli con entusiasmo. C’era stato più volte e alla fine della cena si era intrattenuto a parlare con il grande ristoratore, che tra l’altro era una persona buona, disponibile, facile a parlare della cucina toscana e della sua storia, della sua tradizione.
E’ passato oltre mezzo secolo da quando Aimo e Nadia si conobbero a Milano e si innamorarono. Era il 1960. Trovarono lavoro in un bar-tabaccheria, sognando il ristorante, il suo profumo, magari con un’aria romantica.
Il quotidiano “Il Giorno” ha pubblicato un ottimo, lungo articolo in cui ha fatto in sintesi la storia del locale e dei suoi titolari, ricordando che quando quel sogno si concretizzò e cominciarono a muovere i primi passi vollero far conoscere i piatti del loro paese in provincia di Pistoia. Con il passar del tempo comparve nei loro menù la cucina di altri luoghi d’Italia e in seguito si proposero di “rivoluzionare l’idea dell’alta cucina italiana. Il loro divenne il santuario degli odori, delle prelibatezze oltre che dell’eccellenza nell’ospitalità.
Negli anni 90 ai genitori si associa la figlia Stefania, sviluppando programmi di pubbliche relazioni che danno impulso alla conoscenza di questa cucina in Italia e all’estero. L’anno scorso il Comune di Milano ha assegnato alla coppia l’Ambrogino d’oro. “Il luogo di Aimo e Nadia, caratterizzato da un progetto che unisce arte, cultura e cibo, che diventerà la cifra distintiva del sodalizio”. Non si contano su google i commenti di chi voleva bene a questi principi della cucina, del buongusto in un ambiente signorile. I clienti non potevano non manifestare sentimenti di cordoglio per questi due artisti dei fornelli.

Screenshot 20251011 045923Un tale ricorda una cena di anni fa, durante la quale “vissi sapori e maestria in un luogo straordinario”. Il professor Lenoci dice la sua: “Chef eccezionale, con la predisposizione a trasformare il mestiere in arte. Dava ai piatti i colori del pittore Emilio Marsella, deceduto qualche mese fa. La prima volta che ci sono andato mi ha chiesto di dove fossi e quando gli ho detto che sono di Martina Franca mi ha risposto. “Ah, le fave e cicoria, molto buone, mi auguro che ricevano un riconoscimento mondiale’”.
Aimo ea una persona affabile, semplice, alla mano. Tutti riconoscevano queste sue doti e gli volevano bene. Aveva inventato gli spaghettoni al cipollotto. Parlare con lui era un vero piacere. Era un campione nell’ospitalità. Quando da lui entrava un cliente gli brillavano gli occhi. La sua amabilità, la sua socievolezza era nel volto”.
Un giorno Marsella mi portò da Aimo per mostrarmi le sue opere appese al muro, come in una mostra permanente. Apparve Aimo con il suo abito bianco da lavoro, mi fece accomodare e mi offrì un caffè. E mentre sorseggiavo la bibita, mi fece domande sulla mia città, Taranto, invitandomi a descriverla. Potevano essere le 15. “Di Maruggio so quasi tutto, me ne ha parlato Emilio, ma mi piacerebbe sapere ddella Bimare e dei suoi tramonti. So che è una bella città e produce cozze famose in tutto il mondo e ha un monumento ai Caduti eseguito dallo scultore Francesco Paolo Como”. Ne sapeva quasi più di me. Gli dissi che anche il suo paese, Pescia, in provincia di Pistoia, aveva le sue attrattive ed era ricca di vivai. E aggiunsi: “Io apprezzo molto le sue ricette: sono semplici, ma che gusto!”. Mentre conversavano intravidi gli chef Alessandro Negrini e Fabio Pisani.

Fu l’unica volta che lo incontrai, ma ne ho sempre sentito parlare. Da colleghi e amici che amavano cenare o pranzare al suo ristorante, di cui erano note l’eccellenza e la ricerca di novità. Aimo Moroni, nato nel ‘34, e Nadia, nel ‘44, i loro frequentatori li facevano sentire a proprio agio, come se fossero a casa loro. Massimo Bottura ha detto: “La loro cucina come la bandiera italiana”.
Erano due personaggi diversi, ma sapevano trovare un punto d’incontro: lavorare in perfetta armonia, architetti della ristorazione. Due cuori e una cucina. A
Aimo Moroni è scomparso a un paio di mesi di distanza dal suo amico Emilio Marsella, che ha voluto essere sepolto nella nella sua Maruggio. Aveva dipinto il suo paese, le case, i bambini, le processioni, le spiaggia con le dune, oltre alle donne. Emilio e Aimo, due amici scomparsi quasi contemporaneamente.

 


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