Di Augusto Ressa*:
Della storia antica di Taranto restano poche testimonianze all’interno del tessuto urbano, risparmiate dalla furia distruttrice che caratterizzò i primi anni della edificazione della città post unitaria, seguita poi dalla massiccia speculazione edilizia negli anni 60 e 70 del secolo scorso. I resti del tempio dorico del VI secolo a.C. in Piazza Castello costituiscono l’esempio architettonico più rappresentativo ed evidente della Taranto greca, mentre altri importanti resti sono inglobati all’interno di edifici di epoca successiva (vedi ad esempio i resti di un tempio greco del V sec. a.C. al di sotto della chiesa di San Domenico, le tante tombe a camera all’interno di edifici del ‘900, la Domus nel cortile di un condominio di via Nitti) o sono collocati all’interno di parchi archeologici (Collepasso, Parco delle Mura Greche), consistenti qui in strutture prevalentemente interrate, scarsamente distinguibili dall’esterno perché poco affioranti dal piano di campagna. Altri resti archeologici, di varia provenienza, sono sparsi in aree pubbliche in maniera quasi casuale (villa Peripato, Giardino Caduti del Lavoro) , in attesa di opportuna valorizzazione, privi di apparati didascalici.

Di questa importante opera di età imperiale si conservano in città cospicui resti delle murature di sostegno in opus reticulatum sulle quali si impostavano gli archi del tratto emergente dal terreno. Inseriti in aiuole che fanno da spartitraffico lungo il Corso Italia, da via Ettore d’Amore a via Liguria, questi importanti lacerti murari sono quasi invisibili, nascosti dalle auto che parcheggiano su entrambi i lati dell’aiuola che li contiene, e per i pochi che ci fanno caso, sono percepiti perloppiù come delle fastidiose rovine che determinano un inutile restringimento della carreggiata, in una città disegnata e cresciuta, fin’ora, a misura, appunto, di auto.

*architetto







