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Militare della Marina morto per amianto o perché fumava? Tar Lecce: ancora (almeno) dieci mesi per decidere Il decesso nel 2013, la commissione medica di Taranto aveva riconosciuto il tumore totalmente invalidante ma all'istanza dell'erede si oppone il ministero della Difesa. Pneumologo incaricato di valutazione

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Di Francesco Santoro:

Spetta al direttore dell’Unità operativa complessa di Pneumologia dell’ospedale “Vito Fazzi” di Lecce il compito di analizzare tutta la documentazione relativa alla morte di un marinaio avvenuta il 10 ottobre 2013 a causa di un adenocarcinoma al polmone sinistro, per determinare se sia stata causata dall’esposizione all’amianto e dall’utilizzo di pitture, antiruggine e diluenti a bordo delle navi della Marina militare italiana. Lo ha disposto il Tribunale amministrativo regionale di Lecce su istanza di un erede della vittima, che ha chiesto ai giudici l’annullamento del decreto con cui il ministero della Difesa ha negato la correlazione tra il decesso e l’attività lavorativa svolta per oltre 30anni, anche all’estero, dall’aiutante nocchiere respingendo, di conseguenza, la richiesta di liquidazione del risarcimento.
Il Tar vuole accertare se il decesso «possa, sul piano causale o concausale», essere ricondotto all’aver respirato «amianto e altre sostanze indicate nel ricorso-scrivono i giudici-, con specificazione se nell’ambiente di lavoro vi potesse essere, almeno potenzialmente, materiale idoneo a provocare asbestosi e se, dalla documentazione medica, possa risultare quest’ultima e/o» un’affezione «pleurica a carico» del marinaio. E ancora, intende chiarire se la circostanza che il militare «fosse» un «ex fumatore possa da sola escludere l’insorgenza della patologia in questione, pur in presenza dei suindicati fattori di rischio». Lo specialista in malattie dell’apparato respiratorio avrà 90 giorni di tempo per completare l’indagine.
Il tumore invalidante al 100 per cento era stato riconosciuto ufficialmente dalla Commissione medica dell’ospedale militare di Taranto. Il Comitato di verifica per le cause di servizio, però, aveva determinato che la patologia non era «dipendente da causa di servizio, in quanto “non risultano fattori specifici potenzialmente idonei a dar luogo ad una genesi neoplastica”». Secondo la tesi dell’Avvocatura dello Stato, che difende le ragioni del ministero della Difesa, «“in tema di danno biologico subito dal lavoratore nello svolgimento delle proprie mansioni, per l’affermazione del collegamento –causale o concausale– dell’esposizione all’amianto con l’insorgenza di un tumore polmonare, è necessario dimostrare l’effettiva ricorrenza delle condizioni di polverosità da asbesto dell’ambiente di lavoro, dovendosi escludere la rilevanza causale (o concausale) della suddetta esposizione rispetto alla malattia, in assenza di asbestosi o di affezione pleurica e in mancanza della prova del superamento del valore limite di esposizione all’amianto (fissato dall’articolo 254, comma 1, d.lgs. 81/2008), essendo scientificamente accertata la dose dipendenza del carcinoma polmonare rispetto all’esposizione all’amianto” (Cassazione Civ., sez. lav., 30/07/2013, n. 18267)”». E, inoltre, «“la conformazione del carcinoma polmonare, per come accertato, non permette di escludere la sua plausibile e logica derivazione dal fumo delle sigarette e, pertanto, non c’è sufficiente logicità per poterlo escludere a vantaggio della sola attività lavorativa”».

Prossima udienza nel contenzioso amministrativo fissata per il 23 aprile 2021.

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