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Grazia Lillo


Benvenuto Messia Ricordi

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Di Franco Presicci:

Quella bici adesso sarà probabilmente appesa a un chiodo. Come un cimelio. Benvenuto Messia l’ha cavalcata per tanto tempo, da quando gliela regalò il notaio Alfredo Aquaro, di “Villaggio In”, al termine di una “Passeggiata del plenilunio d’agosto”. Quanti ricordi farà fluire, quella “due ruote”. Infiniti. Perchè così sono i chilometri che ha macinato Ben durante la sua lunga vita; e le attività in cui si è impegnato. Ricco di idee, di energia, di sensibilità, di umanità. Come fotografo era un principe, mestiere ereditato dal padre Eugenio, il primo maestro dell’obiettivo di Martina. E lui, Ben, non lo ha deluso. Era maestro dell’obiettivo, padrone del palcoscenico; quando dalle quinte usciva lui, la gente applaudiva da spellarsi le mani. Declamava i suoi versi con gesti ed espressioni da primattore, divertendo, emozionando. Negli sceneggiati televisivi ha sempre ben figurato. Ha lavorato con Lino Bandi, Luisa Ranieri, Sabrina Ferilli… Lo vidi per la prima volta in una scena e mi misi a battere le mani, stando seduto in poltrona.
E dominava il manubrio e i pedali. Ha cavalcato la bici per anni e anni. Ra sempre in sella. Tente volte sono andato a cercarlo in via Ceglie, dove aveva lo studio, accanto alla libreria, e se non lo trovavo mi fermavo ad ammirare la vetrina, in cui campeggiavano foto con lui in bici. La bici, una passione! Se stavo con un amico sullo stradone, lo vedevo comparire da via Taranto. Un giorno ero con Pappino Montanaro, già assistente del sindaco Ulderico Motolese e sentii un signore esclamare: “Ecco il mito di Martina”. Era lui Ben, conosciuto da tutti, amato, stimato. Scese dalla sella e si avvicinò a noi, con quel sorriso aperto, comunicativo, cordiale.
Da Milano gli telefonavo, anche per chiedergli qualche vecchia immagine per corredare un articolo e dopo dieci minuti la vedevo comparire sul mio computer., con la sua firma stampata. Quando lo pregai di pescarne, nel suo archivio,una di zio Martino Calianno, canonico penitenziere, per un articolo già confezionato, mentre la cercava mi fece un pezzo di storia dello zio prete, aggiungendo che era stato lui a battezzarlo. Non avevamo mai scavato nella vita di don Martino: quando stavamo nella sua campagna eravamo virgulti, mio cugino Enzo e io; poi, ancora minorenni, andavano a fargli visita per mezza giornata e rientravamo a Taranto mentalmente più ricchi.
Benvenuto conosceva tante storie e la storia della sua città, dei suoi palazzi, delle persone che li avevano abitati. Gli chiesi una foto del Chiancaro e me ne mandò anche una con “l’antica” fisionomia. Benvenuto aveva un grande cuore. Quando recensii il libro di Carmela Maria Ricci, “La nevicata del ‘56”, in pochi minuti mi accontentò. Provavo gioia quando mi mettevo a scrivere di lui, il ciclista appassionato di Martina, l’attore che non passava inosservato, il fotografo della luce.
Tutto questo e altro era Benvenuto Messia. Da Milano vedevo tutti i video di cui era protagonista: l’intervista rilasciata nello studio di Martina Chanell; l’inaugurazione di una mostra fotografica dedicata a lui; la sua passeggiata tra i vicoli e le “’nchiostre” raccontando la città, il suo passato e il suo presente avendo davanti una tivù; le serate a Palazzo Recupero nel salotto culturale di Teresa Gentile, detta la fata per la sua gentilezza.
Eccolo in piazza Duomo a Milano con Francesco Lenoci, con quel sorriso che coinvolgeva. Lo vedevo in tante altre foto su Facebook, postate da altri. Un pomeriggio Elio Greco mi invitò alla presentazione di un opuscolo di Ben e lo sfogliai subito, colpito da un’immagine che rimandava la mia mente ad altri tempi: il forno a legna. Era bello osservarlo, con le fiamme che danzano e crepitano per scaldare… la cupola.
Gli volevo bene e mi hanno commosso le parole di tanti martinesi affidate a facebook. Renzo Rubino ha scritto che gli mancherà leggere i commenti, ascoltare le poesie, i racconti e gli aneddoti del passato, di mio nonno, del paese…”. Carmela Maria Ricci ha redatto parole toccanti;: “Poichè eri un essere fuori dalla norma, immaginavo che la vita, oltre a donarti tanti talenti… ti avrebbe concesso anche l’immortalità…”. Anche le parole di Luca Pastore, titolare della masseria Chiancone, erano toccanti. Caro Ben, hai lasciato dietro di te tanto dolore. Carmela lo ha ringraziato anche per averle donato le immagini che corredano il suo bellissimo libro. Lenoci ha sicuramente pianto, gli era molto affezionato.
Tanti anni fa montarono un palco di fronte alla chiesa del Carmine, di fianco ai giardinetti. Arrivai in ritardo e rimasi in piedi per tutto lo spettacolo. Mi stancai un po’, ma quando uscì Benvenuto con il suo passo lento e cominciò a recitare una sua poesia, mi sentii invaso da una sorte di festosità.
Lo conobbi una quarantina di anni fa nella campagna sulla via per Locorotondo di Oronzo Carbotti. Bussò mentre stavo andando via e Oronzo mi chiese di fermarmi perché stava per presentarmi un personaggio unico. Era Ben: mi strinse la mano trasmettendomi calore. Ci sedemmo e lui, con una “verve” da attore brillante, ci fece ascoltare una sua poesia con protagonista un uomo che si era ritrovato con il capo pesante per un oggetto ramificato che non fa certo onore. Sapevo già della garbata ironia di Ben: un gentiluomo. Un giorno lo intervistai nel suo studio di via Ceglie e fra le altre cose mi disse che aveva portato all’altare la figlia in bici. Mi sembrava incredibile, pur credendogli, e allora lui mi mostrò la foto. Mi disse del padre Eugenio, grande fotografo – il primo a Martina – che gli aveva lasciato in eredità l’arte d’immortalate oggetti e persone e paesaggi. Me lo disse con semplicità e senza enfasi. E mi disse anche la ragione del nome Benvenuto: lo avevano atteso per anni, quindi per la gioia papà e mamma decisero di dargli il nome ispirato dall’attesa e dalla contentezza dell’arrivo.
Adesso Benvenuto non c’è più. Se ne è andato un giorno di ottobre. Un brutto giorno. Brutto, perchè quando scompare un amico, l’orizzonte si oscura. E Benvenuto era amico di tanti, di una città intera. Martina Franca, la città dello splendore, delle linee architettoniche suggestive, del belcanto ha perso uno dei suoi figli migliori.
Dal giorno in cui è esplosa la notizia, trascorro ore a guardare facebook e a leggere la tristezza dei suoi concittadini che lo hanno amato e apprezzato. Era un uomo diverso, con tanti meriti, tante capacità, tanta intelligenza e passione; che sapeva donare “con quel tacer pudico che accetto il don ti fa”.
La memoria, che placidamente come acqua di fiume, mi fa scorrere i ricordi , mi restituisce quello del pomeriggio in cui seguii Lenoci, Giovanni Nardelli e Ben a Laterza, dove il docente era atteso per una conferenza sul pane. Al termine del suo intervento il microfono passò a Ben e lui, con la sua voce accompagnata da una gestualità da mattatore tirò fuori tutta la sua carica di sana ironia; e a un certo punto fece il suo capolavoro: non atteso entrò un prete e lui improvvisò alcuni versi per il nuovo venuto, incastonandoli così bene nel testo originario che il pubblico si alzò in piedi applaudendolo. Poi un fotografo ci invitò a metterci vicino a un carretto azzoppato, testimonianza della civiltà contadina, per uno scatto. Mentre tante donne della struttura erano indaffarate ad infornare focacce. Lui, Ben, vestito di scuro e il “farfallino” sul collo, accerchiato da uomini e donne che lo bombardavano di domande.
Sorrideva, Ben: il sorriso rifulgeva sempre sulle sue labbra. Era amabile, dolce, rasserenante, quel sorriso. Metteva subito l’interlocutore a suo agio, lo sollevava, lo metteva di buonumore. Grande, Ben. Divertiva divertendosi. Quando il Giro d’Italia passava da Martina, lui si accodava, ma non per sentirsi Coppi o Maspes, ma per gioco. Ogni volta che riceveva da me un articolo che parlava di lui mi ringraziava con una battuta di spirito, mai banale mai fuori posto. Era spontaneo, schietto, rispettoso. Amava la vita e i doni che sa dare. Amava la sua Martina, questa terra deliziosa. Non posso non cogliere il pensiero di Francesco Lenoci: “Proporrò che gli venga dato il ‘Patriae decus’, perché, con suo padre e suo zio, ha immortalato i momenti più belli ed esaltanti di Martina, dagli anni cinquanta”. E ha sintetizzato la poliedrica attività di Benvenuto, ricordando le migliaia di foto da lui scattate e apparse su giornali, riviste, libri, calendari, e le tantissime manifestazioni culturali a cui partecipava. Io, dilettante, lo fotografai al Castello Aragonese di Taranto durante una mostra di immagini di Matera e poi alla commemorazione di Elio Greco a Martina.
Le foto di Benvenuto hanno inondato Facebook. Martina Zaccaria ha postato un video di una festa in cui si brindava al poeta, attore, che pedalava perché la bici è libertà, gioia, velocità, sport. E lui era un ragazzo che correva. Anche quando aveva 93 anni. Martina Franca lo piange. Anche se lui correrà ancora sulle strade di quel paradiso. Strappa le lacrime il video che lo coglie mentre in sella percorre una via aperta fra le nuvole.

 

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