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Carcere di Lecce: poliziotte ancora senza mascherine, protesta Sappe Cia Puglia: servono i dispositivi di protezione individuale per gli agricoltori

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Di seguito un comunicato diffuso dal sindacato di polizia penitenziaria Sappe:

Ancora una volta l’inadeguatezza delle Istituzioni nell’affrontare delicate questioni sanitarie, stanno penalizzando dei servitori dello Stato i quali invece di essere tutelati in questa battaglia al coronavirus, oltrechè essere costretti a combattere senza alcun mezzo di difesa, vengono pure abbandonati al loro destino. I fatti: in data 12 Marzo u.s. presso il carcere di Lecce una detenuta si sente male avvertendo i sintomi del coronavirus, la stessa portata in carcere qualche giorno prima insieme alla figlioletta, viene subito soccorsa dal personale di polizia penitenziaria femminile e dal personale medico. Alla stessa viene immediatamente fatto il tampone ed in data 13 Marzo viene ricoverata presso l’ospedale di Lecce poiché dichiarata positiva. Non hanno avuto la stessa fortuna le poliziotte che sono venute a contatto con la detenuta, le quali sono state messe in quarantena a casa loro a contatto con i familiari senza sapere se sono state contagiate o meno. A questo punto l’efficiente macchina sanitaria che ha permesso alla detenuta di ricevere tutto e subito, si è ingrippata nel momento in cui doveva assistere le poliziotte che chiaramente erano molto preoccupate della situazione. Così in data 19 Marzo( dopo sei giorni dall’evento) finalmente alle lavoratrici si provvedeva a fare il tampone per verificare la positività o meno al virus. Oggi 26 Marzo(dopo 13 giorni) le poliziotte in questione non conoscono ancora la loro situazione sanitaria, poiché non hanno ricevuto ancora alcun esito. Il SAPPE sindacato autonomo polizia penitenziaria ritiene vergognoso quanto accaduto e presto presenterà una denuncia alle autorità competenti, poiché è inaccettabile che prima si costringano i poliziotti a lavorare senza alcuna protezione, eppoi ci si disinteressa della loro sorte. Proprio il SAPPE nei giorni scorsi aveva chiesto al Capo della protezione civile pugliese ed alle ASL di effettuare il tampone a tutti i poliziotti penitenziari in servizio nelle carceri della regione, considerata la delicatezza di una situazione penitenziaria molto tesa, e con i detenuti pronti a prendere al balzo qualsiasi contagio per chiedere premialità di tutti i tipi(amnistia ,condono, detenzione domiciliare ecc.ecc.) . Un assaggio è avvenuto alcune settimane fa con carceri devastate ed evasioni di massa, ma quello che potrebbe accadere in caso di focolai all’interno dei penitenziari potrebbe scatenare l’apocalisse. Invece nessuna prevenzione, nessuna dotazione adeguata di DPI per consentire ai poliziotti di lavorare con più sicurezza anche nell’interesse dei detenuti. Abbiamo notizia poi che l’amministrazione penitenziaria in pompa magna ha pubblicizzato la manifattura presso il carcere di Lecce di mascherine per cui viene utilizzato del normale tessuto per fare vestiti, ma è normale tutto ciò? Uno Stato serio in un momento così tragico e delicato, si può permettere di giocare con la salute di chi in prima linea rischia la vita? Sia chiaro che in caso di eventi tragici(rivolte, devastazioni, ecc.ecc.) oltre all’amministrazione penitenziaria che è in completo default, dovranno pagare anche i responsabili politici e sanitari regionali che si sono completamente disinteressati di cosa avviene nelle carceri pugliesi pur sapendo della gravità e delicatezza della situazione.

Di seguito un comunicato diffuso da Cia Puglia:

Una mascherina al giorno per 1.300.000 agricoltori italiani: questo il fabbisogno dei lavoratori autonomi e dei loro dipendenti che non possono fare smart working ma vogliono continuare a produrre cibo sano e fresco assicurarlo a tutte le famiglie del Paese.

Per essere messi in condizione di farlo, Cia-Agricoltori Italiani chiede al Governo e alla Protezione Civile chiarezza sui canali di approvvigionamento dei dispositivi di protezione per le imprese agricole e la certezza che le modalità di distribuzione non siano rallentate da pratiche burocratiche farraginose.

La primavera è arrivata e la produzione agricola si è innescata e non c’è Coronavirus che tenga: si deve coltivare e poi raccogliere per conferire all’industria alimentare. In molte colture, anche in campo aperto, non è facile rispettare la distanza interpersonale di sicurezza, come pure in altri luoghi di lavoro lungo la filiera: dai magazzini agli spogliatoi, alle lavorazioni di confezionamento dei prodotti.

Gli imprenditori sono quotidianamente impegnati a seguire le procedure e le regole di condotta necessarie a garantire la salute dei lavoratori nelle attività agricole che, per le loro caratteristiche, rendono particolarmente complessa la gestione dell’emergenza; senza i dispositivi tutto questo è di difficile attuazione.

Molti agricoltori si stanno dotando autonomamente di mascherine, ma troppo spesso il mercato non è in grado di soddisfare la domanda che sarà destinata a aumentare nelle prossime settimane, con l’arrivo della stagione di raccolta di molti prodotti.

Cia chiede, dunque, di tenere in considerazione le esigenze del settore agroalimentare nella ripartizione dei dispositivi, dopo avere assolto alla domanda prioritaria di ospedali e presidi sanitari; senza mascherine, guanti, tute, occhiali, cuffie non sarà possibile garantire la fornitura di materie prime indispensabili per il Paese e si rischia di bloccare tutta la filiera, lasciando vuoti gli scaffali dei supermercati.

 

 

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