Di Pietro Andrea Annicelli:
Si è svolto questa mattina a Roma il funerale di Peppino Caldarola, scomparso due giorni fa dopo una breve malattia. Il giornalismo e la politica, vissuti in parallelo, sono stati i due elementi fondanti della sua vita. Redattore alla casa editrice Laterza e militante del Partito Socialista Italiano di Unità proletaria negli anni immediatamente successivi al ’68, diventa nella natia Bari il segretario del Partito Comunista Italiano fino al 1977.
Vicedirettore di “Rinascita”, fondatore e primo direttore di “Italiaradio”, è per due volte direttore de “l’Unità” nella seconda metà degli anni Novanta. Dopo lo scioglimento del Pci aderisce al Partito Democratico della Sinistra, per il quale diviene deputato nel 2001, riconfermato cinque anni dopo ne l’Ulivo. Lascia il Pds nel 2007 ponendosi in posizione critica alla fase costituente del Partito Democratico rispetto alla laicità e alla mancata adesione al Partito Socialista europeo. Vi aderisce quando diviene segretario Walter Veltroni, ma lo riabbandona quando viene decisa l’alleanza elettorale con Antonio Di Pietro.
Collabora dal 2002 al 2012 al quotidiano “Il Riformista” ed è direttore responsabile della rivista “ItalianiEuropei”. Collabora ad altre testate tra cui “il Giornale”, “Lettera 43” per la quale scrive la rubrica “Mambo”, “Formiche”, “Strisciarossa.it”. Nel giugno 2019 diviene direttore della rivista “Civiltà delle macchine” della Fondazione Leonardo.
Piero Ricci (presidente dell’Ordine dei Giornalisti della Puglia): «È stato un esempio e un maestro d’impegno civile, un’espressione di quella generazione di giornalisti che ha seguito la strada della professione militante. Ma ha sempre conservato un tratto di eleganza d’altri tempi anche nella polemica giornalistica. Era una persona molto gradevole, curiosa, di cultura, dalle opinioni delineate ma rispettose di quelle altrui. È una grave perdita per il giornalismo pugliese».
Valentino Losito (consigliere nazionale dell’Ordine dei Giornalisti): «Ci mancherà la sua vivida intelligenza, la sua lucidità nella lettura critica degli avvenimenti, la sua capacità di essere un giornalista e un intellettuale militante ma sempre con onestà e coraggio. È una grave perdita: non solo per il giornalismo e la politica, ma per tutta la comunità civile».
Luciano Violante (Presidente emerito della Camera, presidente della Fondazione Leonardo): «Peppino è stato un uomo libero. Ha attraversato la vita con la leggerezza di chi sa di poter lasciare un segno. Connetteva fatti lontani e rintracciava i fili che li univano scoprendo relazioni profonde e significati nascosti. È stato un giornalista creativo, mai burocratico, mai piegato alla convenienza, capace di guidare équipes e di motivare chi lavorava con lui; insegnava a guardare oltre il confine. Nella nuova serie di “Civiltà delle Macchine”, ha dato forse il meglio di sé, riuscendo a intrecciare l’estetica della forma con l’etica del racconto. Le sue doti lo hanno reso irrequieto, a volte irritante, spesso ribelle, come le persone che hanno genialità e coraggio. In un mondo di guelfi, era un ghibellino, con ali più grandi del corpo; forse l’ultimo ghibellino della sua generazione».
Beppe Vacca (già docente universitario, deputato del Pci, direttore e presidente dell’Istituto Gramsci, attuale presidente della Commissione scientifica dell’Edizione nazionale degli scritti di Antonio Gramsci). «La sua scomparsa è per me un grande dolore: lo consideravo un po’ come un fratello minore vista anche la vicinanza tra le nostre famiglie quando eravamo ragazzi della Sinistra a Bari. Abbiamo attraversato insieme le stesse avventure, o le disavventure, della politica e della Sinistra dalla fine degli anni Sessanta a oggi: gli stessi luoghi, le stesse stagioni. Eravamo insieme nel Pci di Reichlin, nel Pds di D’Alema. Bella penna, un uomo colto, bella persona: questo era Peppino».
Luciano Canfora (professore emerito di Filologia greca e latina, saggista, componente della Fondazione Istituto Gramsci e del comitato scientifico dell’Enciclopedia Treccani): «Terrò per me i ricordi personali che appartengono alla sfera del privato. Per quanto riguarda la persona pubblica, Caldarola è stato un giornalista di grande competenza che a un certo punto della sua esperienza politica si è distaccato dal Pci, da cui proveniva, per avvicinarsi a delle posizioni più vicine a quelle dei socialisti. È stato caratterialmente un’ottima persona e, in generale, un uomo di grande valore per la sua indipendenza critica».
Bobo Craxi (già sottosegretario agli Esteri, socialista storico): «Caldarola è stato un intellettuale vivace, uno spirito critico nella Sinistra italiana pur partendo da una posizione di limpida tradizione comunista. Non si fece incantare nei tempi recenti dalle sirene del populismo facile e ha sempre mantenuto un atteggiamento coerente circa le responsabilità che gli eredi della tradizione del movimento operaio dovevano mantenere nei confronti delle istituzioni e degli interessi generali del Paese. Fu amico di noialtri socialisti: era un’amicizia che andava al di là del rispetto personale perché esprimeva una consapevole e matura riflessione sul tratto comune che univa e unisce la Sinistra italiana pur nelle differenze che appartengono alle diverse tradizioni. Abbiamo duellato sulla questione mediorientale molte volte, ma con la simpatia che fu reciproca perché egli fu un uomo pieno di verve e di umanità. È stato un italiano e un pugliese eccellente: non lo dimenticheremo».
Lino Viola (docente di Economia aziendale all’Università del Salento, socialista storico): «Un intellettuale profondo, un grande giornalista, una persona di notevole sensibilità. Non sempre ho condiviso le sue posizioni, ma ho apprezzato la sua capacità di rivederle, quando ha ritenuto di farlo, in un contesto aperto di dialogo con gli avversari politici. L’equilibrio, anche nei rapporti personali, era un suo tratto distintivo. Quell’equilibrio mancherà a tanti».
Marco Ferrante (giornalista, scrittore, dirigente Mediaset): «Peppino Caldarola è stato un giornalista politico cresciuto in un tempo che non c’è più. Era una persona competente, acuta, colta, gentile e ironica. Sempre pronto a suggerire un’interpretazione, una chiave di lettura, uno spunto. Era anche un pugliese affettuoso e disincantato. Dispiace che se ne sia andato, e con lui un altro pezzetto della nostra memoria giornalistica e politica».
Marcello Veneziani (giornalista e scrittore, intellettuale storico della Destra): «È stato parte di un’epoca, quella in cui dirigeva l’Unità, in cui per me erano possibili dialoghi eretici anche con chi veniva dal Partito Comunista Italiano. E lui era uno dei pochissimi giornalisti di sinistra che sapeva dialogare con apertura e onestà intellettuale. Abbiamo avuto occasione di polemizzare e di essere d’accordo su diverse questioni, ma sempre con rispetto e attenzioni reciproche. Faceva parte di quella civiltà del dialogo che ora non c’è più».
Pietrangelo Buttafuoco (giornalista e scrittore, vice direttore di “Civiltà delle macchine”): «Tutta la sua vita di comunista è stata nella struggente dolcezza di un vissuto speciale, specialissimo. Se la sinistra reclama per se stessa – come la nonna col rosario in mano – la superiorità antropologica a dispetto di tutti, il comunismo dei comunisti invece no, s’immerge nella vita degli altri, come quella dello zio buono di Peppino, il suo zio fascista.
La sinistra adotta il pensiero unico dell’inquisizione liberale e il comunismo del Pci – “come luogo di rottura di coglioni con funzionari privi di sorrisi, donne brutte e militanti carichi di odio”, così scriveva Peppino in quel suo libro – prende comunque i rivoli degli imprevisti.
Inaspettati cambi di registro esistenziali, sono quelli dei comunisti, tutti aperti, plurali, dialettici nel rispetto proprio dell’etimo: tesi, antitesi e sintesi all’infinito, al punto di sradicare la malapianta della coerenza e così – come diceva di se stesso Caldarola – “mentire senza mai mentire”.
Comunisti, al modo di Peppino, come quelli del mio paese – ad Agira – che quando dovettero sbarazzarsene del ritratto di Palmiro Togliatti, correva l’anno 1989, mi dissero: “Conservalo tu”.
Non doveva dunque toccare a me, al tempo, la gioia di leggere il libro di Peppino?
E da questa colonna di Civiltà delle Macchine, il tuo più smagliante lavoro – la tua eredità culturale ed editoriale in cui mi hai voluto al tuo fianco – non tocca adesso a me, Peppino caro, chiamare “il presente!”, quello dovuto agli zii dalle altre vite?».