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Un ricordo di Franco Battiato Il musicista morto oggi

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Di Agostino Convertino:

Alla fine degli anni ‘60 – quelli della mia generazione avevano 12-13 anni – si usava addobbare le camerette dei ragazzi con bellissime cartoline a colori degli eroi del “Cantagiro”, popolare kermesse televisiva itinerante dell’epoca. Se si scendeva a comprare uno di quei severi quaderni dalla copertina nera e orrende righe rosse e rimaneva una 10 lire di resto ci buttavamo a capofitto su quelle immagini  patinate che ci trasportavano in un fantastico mondo  parallelo, appena presago della grande rivoluzione culturale ormai in atto. A 50 anni di distanza ho ancora davanti agli occhi – impossibile dimenticare – la cartolina più brutta dell’intero lotto:  il 24enne Franco Battiato da Jonia provincia di Catania, ritratto con un abbigliamento difficile da inquadrare in qualunque degli slang estetici dell’epoca (i lustrini dei Beatles, le camicie a fiori e le tute metalliche dei primi Rokets), che presentava al Disco per l’Estate 1969 la leggerissima ballata Bella Ragazza in pieno mainstream dell’epoca.  A quel tempo due erano i must: la cartolina super-kitsch del futuro “Maestro Battiato”  e la figurina Panini di Maddè del Milan, praticamente introvabile. L’articolata premessa è utile per far comprendere la longevità della carriera del Maestro ma soprattutto il passo evolutivo incessante che lo ha accompagnato fino al suo ultimo giorno di vita. Fino a ad assurgere a punto di riferimento della musica colta contemporanea ed essere capace di rivolgersi ad almeno 5 generazioni di “consumatori” della musica. Che non è facile. Franco Battiato, a ciascuno il suo. Il mio è quello delle prime due fasi artistiche:  la svolta ecologista, l’approccio alla bio-etica  e il viaggio nella  cultura mediterranea di cui fu felice battitore libero in virtù delle sue origini dal crogiuolo di culture della terra d’origine.  Una striscia di album notevoli per l’epoca che lo inserivano, di diritto, nella premiata ditta culturale di demolizioni della canzone popolare italiana che sarebbe passata alla storia come “rock progressivo”.  L’impegno sociale della musica  di Battiato lo proiettò, rara avis, nell’agone politico con una candidatura (1976) alla Camera nelle liste del Partito Radicale che, fortunatamente per la musica, non coronò il suo impegno.  Fu sempre e comunque un personaggio scomodo per lo star-system, totalmente impermeabile alle critiche che talvolta gli piovevano addosso per l’ondivago percorso della sua filosofia, perennemente in lotta con le convenzioni e i preconcetti. Franco Battiato, l’araba fenice. Ogni volta che Battiato mutava pelle, l’esperienza artistica lo scaraventava in crisi abissali sulla cui risalita nessuno avrebbe scommesso un centesimo.  Eppure ogni volta tornava più forte ed autorevole, quasi compiaciuto di sparigliare le idee del suo pubblico: quelli che fino ad allora lo avevano amato cominciavano ad odiarlo per il cambio di rotta mentre nuove orde di fans prendevano a piene mani della rinnovata creatività. Quella volta che imbucò il raffinato percorso della musica colta contemporanea, artisticamente esoterico e commercialmente ascetico, arrivò alla pari coi mostri sacri cui dava, ricambiato, del tu. Ma quella fase sembrava il punto d’arrivo del Maestro che aveva tagliato tutti i ponti col passato e lo faceva assomigliare ad un altro prezioso souvenir di Trinacria, il mitico Francesco Zappa detto Frank originario di Partinico, golem massacratore del costume americano. Battiato tifava Stravinsky (il cui ologramma incontreremo passeggiando sulla canzone “Prospettiva Nevsky”) mentre Zappa ammirava Edgar Varese. Da uno così ti aspetti che riesca a tenere lontano perfino il Tristo Mietitore ma quando arriva il momento di lasciare ti rendi conto che perfino la morte è scesa a patti con lui perché la scomparsa terrena è l’epilogo della sua ultima fase artistica. Una volta partito a testa bassa il Cinghiale Bianco, il Maestro ha dato la stura a nuovi anfratti dell’anima consacrandosi pop star in costante levitazione.  Non c’è stata steppa interiore che non abbia spalancato, ha scatenato tutti i dervisci rotanti del suo immaginario, ha sfruculiato Platone e  Ejzenstein, ha passeggiato, senza passaporto, nei giardini del misticismo orientale. E più la sua espressione si faceva alta più il suo popolo lo amava. Fino al testamento morale – La Cura – che oggi assume il suo vero significato.  Purtroppo non ci sono più cure.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 




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