Di Franco Presicci:
Il Premio “Principe Placido Poggio Imperiale” è stato assegnato a Michele Focarete, attento, scrupoloso, poliedrico cronista inviato del “Corriere della Sera”, autore di coraggiose inchieste anche all’estero, conoscitore della malandra organizzata di Milano, Lombardia e oltre. Il Premio gli è stato assegnato appunto per il suo valore professionale e per aver tenuto saldo il legame con la terra dei suoi nonni e dei suoi genitori: Poggio Imperiale, un bel paese tranquillo fatto di gente laboriosa, che sorge in Puglia, a un tiro di fionda da San Severo, i cui contadini un tempo lo raggiungevano a piedi.
Il Premio è nato con lo scopo di rendere merito alle personalità di ogni settore che hanno tenuto alto il nome di questa terra con il loro percorso professionale o per singoli episodi esaltanti. E Michele Focarete si è distinto quando frequentava per lavoro la Milano “by night”, raccontandola con garbo, serietà e puntualità di grande cronista sul “Giorno”, poi sul quotidiano del pomeriggio “La Notte” diretto da Cesare Lanza, entrando poi nel tempio del giornalismo: “Il Corriere della Sera”. Qui si è occupato anche di “nera”, esplorando l’ambiente dei “boss” e dei gregari, che miravano al dominio della città, tentando di espandersi anche fuori. Focarete è stato un esempio di cronista in prima linea, avido di notizie, cacciatore infaticabile, abituato a consumare scarpe e nutrirsi di pane e polvere per agguantare la chicca. Inoltre non ha mai dimenticato la “culla” in cui hanno emesso i primi strilli i suoi nonni e i suoi genitori; e ne parla in modo toccante, facendo intuire che le sue radici sono più solide di quelle dell’ulivo e della quercia.
“Nessuno può dimenticare il luogo delle proprie origini. In famiglia ho ascoltato le storie di questa terra e io stesso da bambino passavo le mie vacanze estive a Poggio e trovavo molte persone che avevo conosciuto soltanto nei ricordi; e proprio i ricordi corrono veloci alla fine degli anni 50, quando mio padre, Giovanni Candido Focarete, mi portava a Poggio Imperiale una volta all’anno. Una grande avventura che sapeva di magia. Partivano dalla Centrale di Milano di mattina per arrivare a destinazione a mezzanotte. Ad attenderci c’era mio nonno Michele, meglio conosciuto come Michelucc. Un’immagine surreale ai confini con la realtà. Era seduto sul carretto (barrocc) trainato dal suo inseparabile asino, che si chiamava Matteo. Michelucc vestiva con una camicia pesante a quadroni, con maniche arrotolate sui gomiti che mettevano in mostra la maglia della salute, tassativamente di lana, in testa una coppola grgio-scura. Quando ci vedeva i suoi occhi diventavano lucidi e l’abbraccio con mio padre era poderoso, infinito, A me dava una carezza con le sue mani ruvide da contadino, che mi facevano sentire protetto. E poi come nelle più classiche delle favole a lieto fine mi faceva tenere le brigie. Due chilometri come un cow boy fino ad arrivare a casa, in via Focarete”.
Lo ascolto, Michele, con interesse e nostalgia, perché le sue parole ridestano tante mie memorie, compresa quella della conferenza da me tenuta proprio nella chiesa di Poggio Imperiale sul genetliaco di Papa Pio XII, quando frequentavo il liceo classico Matteo Tondi di San Severo. La missione mi era stata affidata da don Giuseppe Stoico, rettore del seminario, in una giornata di neve alta quasi mezzo metro.
Ha ragione Michele: il tuo paese rimane nel cuore per sempre, lo ami, lo sogni, lo porti sempre con te, ovunque tu vada, con le case, le persone, i momenti vissuti: un viatico dell’anima.
“L’altro nonno – riprende Michele – Giuseppe Sarra – faceva il macellaio e lo chiamavano “Chiancarell”, da chianca (l’asse di legno su cui in passato si tagliava la carne e sul quale veniva esposta per la vendita”. Ancora oggi lo ricordo, a distanza di un secolo, perché ha insegnato il mestiere a tutti i macellai del posto e dei paesi vicini”. Nonno Giuseppe, uomo di poche parole, ma dal grande cuore, ebbe 14 figli, tra cui mia madre Lucia, che si innamorò di Giovanni Camillo Focarete, mio padre, che faceva il sarto con l’hobby della musica. Per comprargli la tromba mio nonno vendette un pezzo di terra. Ma il lavoro e la banda del paese a Camillo andavano stretti e così come tanti uomini del Sud, emigrò a Milano, trovò una casa in affitto e aprì una sartoria in viale Romagna, davanti alla Casa dello Sudente. A 29, quando pensò di essersi sistemato, mio padre scese a Poggio Imperiale e disse a Lucia: “Domani ritorno su, vieni con me e ci sposiamo”. E così fu. Nel gennaio del ‘47 nacque mia sorella, Anna, in via Carlo Forlanini, all’Ortica, e nell’agosto del ‘51 nacqui io, in via Pietro da Cortona, a un centinaio di metri da piazzale Susa. Milanesi di nascita, terroni di origini”. Terrone, che bella parola! Terra, contadino (arte nobile), zappa, raccolto, nutrimento, fatica, quanta fatica.
Mi affascina questa storia, che Michele snocciola anche nei particolari, manifestando amore per Poggio e per la sua gente, per il campanile che con il suo ritmo richiama i fedeli alle funzioni e scandisce le ore. Michele è come se fosse nato a Poggio, un tessuto urbano stretto in un atto di affetto caloroso.
Il cronista inviato che ha inseguito con impegno e passione la notizia; che ha vissuto la Milano dei sequestri, dei regolamenti di conti, delle rapine clamorose, riceve un premio che probabilmente non si aspettava. Che emozione, vero Michele? Con il pensiero va ai giorni in cui scendeva dal predellino del treno alla stazione di Poggio Imperiale, inaugurata il 25 aprile del 1864, insieme alla tratta Ortona-Foggia e attiva fino alla chiusura, nel 2000. La stazione, luogo di incontri, di fervore, di attese, di persone che vanno o vengono tra i fischi del locomotore., che parte lento come una lumaca e poi corre come il vento.
Non trascura nulla, Michele Focarete. Giornalista dall’80, ha spesso trattato argomenti legati all’infanzia maltrattata e al traffico degli esseri umani. Nel 2009 arrivò secondo al prestigioso Premio Vergani e l’anno successivo lo vinse come migliore cronista lombardo per il reportage in Romania sulla tratta dei bambini rubati negli orfanotrofi e gettati sui marciapiedi a prostituirsi, pubblicato su “Sette”, il “magazine” del “Corriere della Sera”. Si è occupato per lungo tempo della vita notturna milanese e dei suoi cambiamenti, “quelli che gli americani chiamerebbero ‘nighter’”. Ha scritto tre libri (“Milano ad ogni ora”, “Il mio nome è Lara” e “Milano by night – quando lo spogliarello era un’arte”). Dal 2013 al 2017 ha ricoperto l’incarico di consigliere e vicepresidente della commissione Cultura dell’Ordine dei giornalisti… Attualmente collabora a diversi quotidiani nazionali e settimanali. E ha inanellato un bel po’ di Premi, tutti importanti, per il suo lavoro di giornalista, che non guardava l’orologio e quando era sul teatro di un avvenimento osservava con cura senza mai lasciarsi sfuggire nulla. Un cronista di altri tempi pronto a tutto pur di portare in redazione il carniere pieno. Bene hanno fatto dunque il sindaco di Poggio lmperiale, Alessandro Liggieri, e il consiglio comunale a riconoscere il talento di Michele Focarete, dandogli il Premio ispirato alla figura di Placido Imperiale, “che fondò nel 1759 il nostro paese e fu conosciuto come esempio di ‘principe illuminato’ per la sua visione e per le sue azioni mirate al miglioramento delle condizioni di vita e alla valorizzazione dei territori”.
La cerimonia di consegna si è svolta il 10 agosto in una serata musicale con protagonista l’orchestra fiati “Apulia” diretta dal maestro Antonello Ciccone e con la partecipazione del soprano Ripalta Bufo nel concerto “Ennio Morricone, la leggenda del ‘900.
Mi congratulo con Michele Focarete, collega e amico, gentiluomo, alla mano, schietto e ironico. L’ho sempre seguito fin da quando veniva al “Giorno” a portare i suoi articoli sui locali notturni, ambienti che conosceva alla perfezione. Pochi altri conoscono Milano come lui, di notte e di giorno, la Milano tormentata dalle bande criminali e la Milano che si compiace delle sue mille attività culturali. E ama, Michele, ripeto, il suo paese. Al tempo in cui Giovanni Focarete salì al Nord i viaggi erano un inferno, vagoni affollati anche nei gabinetti e la gente li conquistava attraverso i finestrini, perché le piattaforme erano intasate. Tempi di emigrazione, di salasso del Sud. Quello era il treno della speranza. E per molti la speranza si è concretizzata.