Di Franco Presicci:
Si fa fatica a credere che la stazione ferroviaria di Martina compia 100 anni.
Se non fosse stato per la piattaforma girevole semisepolta sotto un binario antidiluviano fornito di balcone, sarebbero in tanti a pensarla come il sottoscritto. Io la frequento da ottant’anni, sin da quando ragazzino salivo sui vagoni tirati dalla gloriosa locomotiva a vapore per venire nella città dei trulli, sul Chiancaro. Bisognava alzarsi presto per prendere la prima corsa, che partiva dal binario morto dello scalo di Taranto e faceva la prima sosta a Nasisi.
La stazione di Martina è la principessa dei miri ricordi. Ancor oggi ci vado solo per vederla: mi seggo su una panchina e vedo i convogli che ruggiscono già prima del fischio dell’uomo con il berretto rosso. E quella campanella che suona per segnalare arrivi e partenze mi dà emozioni e mi fa tornare a tempi di 80 anni. Quando lasciavo lo scompartimento, mi fermavo sul marciapiede per vedere “’a Ciucculatère” dirottare su un altro binario e a marca indietro raggiungere la “ruota”, che spinta da alcuni addetti cambiava il senso di marcia.
“’A Ciucculatère” mi affascinava per la sua sagoma, “p’a cemenère” che sbuffava mandando fumo che l’avvolgeva, per il “ciuf ciuf” che faceva durante il suo cammino. Ha divorato migliaia e migliaia di chilometri e in qualche parte del Paese lo fa ancora (si pensi al trenino del Bernina).
Anni fa organizzarono un treno express Bari-Martina, con a bordo orchestre e servizio di specialità locali per i turisti. Qualche settimana prima dell’evento chiesi a Dario De Simone, dell’Aisaf di Bari, se finalmente sarebbe stata tirata fuori dal deposito, una locomotiva a vapore, ma c’erano dei problemi e il treno arrivò a Martina tirato da un locomotore del ‘50. Che delusione!
Nel centenario (100 anni sono tanti), una comparsa alla macchina che sputa fumo potrebbero fargliela fare. In alcuni paesi della Lombardia l’hanno eletta a monumento e collocata in una piazzetta sulla strada, in modo che tutti gli automobilisti possano vederla, come testimonianza del passato. E che gioia soprattutto per i ragazzi sarebbe, se la “ruota” venisse dissepolta, restaurata e usata come base di una “Ciucculatère” rimessa a nuova.Un monumento. Comunque la stazione di Martina Franca è un mio luogo del cuore. In quello spazio ho visto andare e venire tante generazioni di treni. Non so quante volte ho fotografato il cartello con la scritta “Martina Franca” e i vagoni antichi parcheggiati su un binario morto, subito a sinistra dell’entrata. Quando lo scampanellio segnala che un treno proveniente da Lecce o da Bari è in arrivo lo sento sferragliare già appena sbucato dalla Galleria. A volte lo aspetto appoggiato alla sbarra del passaggio al livello. Mi immedesimavo da giovane nel conducente, che pur impegnato nel dare energia alla macchina, poteva ammirare le bellezze di quel tratto di Puglia, attraversando paesi splendidi. Una volta, come oggi, il viaggio da Milano a Martina e viceversa, lo facevo in treno; e non dico l’emozione che provavo quando sfrecciavano gli ulivi, le vigne, i campi ben pettinati, qua e là l’aratro in movimento, le case basse e infine i trulli di Martina, e la stazione. A Bari avevo tempo di scendere a respirare aria di Puglia. Poi ammiravo il capostazione, con la mano sospesa in alto prima di far vibrare il fischio.
Adesso lo scalo di Martina compie 100 anni. Alla notizia, faccio i conti con la mia età: 92. E rivedo cose e persone che sono morte o cambiate. Martina per me è la terra della tranquillità, della luce, delle linee architettoniche suggestive. La sua stazione non è soltanto il luogo dei saluti, degli abbracci, delle attese. Ma sotto quella pensilina si snodano i ricordi.
Ricordi di cent’anni, perché lo scalo venne inaugurato il 20 settembre del 1925, presenti il ministro dei Lavori Pubblici Giuriati e il sottosegretario Panunzio, con le autorità delle province di Lecce, Taranto, Bari e Martina e a una gran folla e la banda. Quindi un corteo partì dallo scalo per raggiungere il municipio. Per la cronaca, il 14 agosto del ‘24 fu battezzata la stazione di Ceglie, il 5 aprile del ‘25 quella di Cisternino. Questa linea passava per Ceglie, proseguendo per Francavilla e Lecce.
Francesco Moro, dipendente comunale e autore di vari libri su Ceglie (una specie di Francesco Ogliari, che in Lombardia scrisse tra l’altro un’enciclopedia dei trasporti), è prodigo di informazioni sull’argomento. E risponde a tutte le domande; a volte le anticipa. Lo cogliamo mentre è sull’autobus diretto all’aeroporto per un volo per Malta, dove consulterà alcuni volumi nella biblioteca. E’ gentile, disponibile, Moro. Entra anche nei dettagli, spiegando che lo scalo di Martina Franca fu aperto al traffico il 24 dicembre, giorno della vigilia di Natale. Poi i binari si allungarono per comprendere Locorotondo. Nel ‘30 furono collegate Martina e Taranto, e fu un anno di gioia. La trasmetteva anche quel colosso con la pipa che attraversava parte delle bellezze della Puglia.
Quanti percorsi non solo al Sud (al Nord circola ancora). Fino agli anni ‘60, nelle mie rimpatriate, la vedevo, solenne, superba, parcheggiata come un’opera d’arte nella stazione di Mungivacca, a un tiro di schioppo da Bari. E fluivano ancora i ricordi. E leggevbo le opere dei poeti e degli scrittori che la osannavano o semplicemente la citavano. Nei vagoni di terza classe i sedili erano di legno e il treno era definito “carro bestiame”. Ma non c’era cattiveria nella frase. Mi ci sono acculato per quattro anni per andare da Bari a Taranto e viceversa. Tornando indietro nel tempo con Francesco Moro, “Il traffico era gestito dalla società Ferrovie anonime salentine della famiglia Bombrini di Genova, che stava in Puglia per la costruzione dell’Acquedotto Pugliese. In origine la linea doveva interessare Francavilla, Ceglie, Martina, Locorotondo, ed esplosero polemiche da parte degli abitanti di Cisternino, legati al progetto originario”. Polemiche e discussioni anche a Martina sul luogo in cui collocare la stazione, prevedendone addirittura due, come a Ceglie. Il direttore di questo giornale, Agostino Quero, aggiunge che il Comune di Martina nel 1880 deliberò uno stanziamento di mille lire all’anno per 40 anni per l’infrastruttura ferroviaria.
La linea telefonica qui a Martina, in campagna, singhiozza e Francesco Moro è costretto a chiamarmi più volte. Poi è salito sull’aereo.
Nella mia memoria continuano a scorrere ricordi. Durante la guerra, una notte ci svegliò un tuono e dal trullo del Chiancaro vedemmo fiammeggiare l’orizzonte. Il giorno dopo con mio padre andai a Taranto per vedere se la nostra casa in piedi. La sera riprendemmo la “Ciucculatère”, affollatissima come sempre. Due uomini conversavano, ma le loro vedute si scontrarono, emettendo scintille e uno disse all’altro: “Che vuoi sapere tu, che hai appena lasciato la zappa”. Eravamo stretti come olive in vasetti di vetro e forse questo impedì il peggio, oltre all’intervento di altri viaggiatori.
La locomotiva continuò a sbuffare, a fischiare, arrivando a Crispiano, quindi Madonna del Pozzo. Quanta nostalgia per quei viaggi. Chissà quante migliaia di viaggiatori ha avuto negli anni la locomotiva a vapore. Quante volte ha vibrato la campanella della stazione! Quante volte il berretto rosso ha sovrastato la gente in attesa. Eppure quella stazione è ancora bella, non mostra per nulla i suoi anni. Ed è anche una specie di museo, per i vecchi vagoni che sostano sui binari morti. Con la mia adorata piattaforma girevole.