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Trentotto anni fa il rapimento di Aldo Moro e l’assassinio dei cinque uomini di scorta Alcune verità forse cancellate, altre forse costruite ad arte. E in mezzo tanta retorica di uno Stato che non sa scavare nei suoi lati oscuri

aldo moro

Di Mauro Mari:

Oggi si commemora il 38esimo anniversario del rapimento di Aldo Moro. Il 16 marzo 1978 in via Fani, a Roma, un gruppo di uomini armati blocca la Fiat 130 su cui viaggia il leader della DC. Sono più o meno le 9:00 del mattino. In soli 4 minuti il commando uccide 5 uomini della scorta, sequestra Moro e le sue inseparabili ventiquattrore poste nel bagagliaio e fa perdere le proprie tracce. Il sequestro durerà 55 giorni. Il corpo di Aldo Moro verrà ritrovato esanime il 9 maggio successivo in via Caetani, a metà strada dalla sede della sua DC e quella del PCI.

Dopo cinque processi i brigatisti coinvolti nei fatti sono tutti morti o arrestati, tranne uno, Casimirri, rifugiatosi in sud America. Ma le indagini non si fermano perché tutta la verità non è ancora venuta a galla.

A chi divenne adulto dopo il 1978 e gli fosse venuta voglia di capire chi era Aldo Moro e perché fu rapito, ha due possibilità: accontentarsi della retorica patinata o rimboccarsi le maniche e mettersi a leggere le milioni di pagine scritte sull’argomento. E qualora ne venisse a capo con qualche dato certo, coltiverà in sè il legittimo sospetto che non sia buono nemmeno quello. Perché in questa storia molte verità sono state cancellate. Ma molte altre sono state costruite ad arte per soffocarne delle altre.

Si dice spesso attacco al cuore dello Stato: fosse stata solo una questione di Stato contro Brigate Rosse non ci sarebbe nient’altro da scoprire. Invece nel rapimento Moro lo Stato, e cioè persone che per esso stesso lavoravano, sono idealmente sullo stesso banco degli imputati dei brigatisti.

Una commissione bicamerale d’inchiesta oggi indaga sulla vicenda Moro. Tra le novità scoperte a 38 anni di distanza c’è che lo stesso Moro, dodici ore prima dell’arresto, chiese aiuto ad un funzionario della PS. E che quel funzionario partì per via Fani mezz’ora prima dell’agguato. E che almeno un mese prima un emissario di Moro in Palestina gli aveva riferito di un possibile atto terroristico in Italia.

Altre informazioni, che vanno ad aggiungersi e confondersi con quelle giá emerse finora. Ma se sul piano giudiziario le veritá emerse sono solo parziali, é soprattutto la ricostruzione storico-politica ad assumere importanza. Se lo Stato non è riuscito in trentotto anni a fare chiarezza lo deve soprattutto alla complicità di molti suoi uomini e apparati. Piuttosto che di tronfie commemorazioni, buone solo a riempire di sbadigli le cerimonie ufficiali, oggi i rappresentanti istituzionali di quello stesso Stato dovrebbero scavare dentro il suo passato oscuro e chiedere umilmente scusa. Ai parenti delle cinque vittime della scorta in primis, e ai cittadini italiani poi. O almeno a coloro che considerano quella retorica l’altra faccia dell’omertà.


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