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Benvenuto Messia, 93 anni: star Il recente compleanno del decano dei fotografi di Martina Franca

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Di Franco Presicci:

Ero presente il pomeriggio in cui, in uno degli eleganti saloni del Comune di Martina Franca, Elio Greco fece distribuire un “Calendarietto” di Benvenuto Messia, la cui copertina è riapparsa in questi giorni su Facebook. In quell’occasione l’autore era seduto in terza fila e seguiva la cerimonia come se il protagonista non fosse lui. Da allora sono passati molti anni; e In questi giorni il celebre e amato “cicloamico” ne ha compiuti 93. Festa grande, dunque. Ben è una “star”.
Con il passar del tempo l’ho conosciuto meglio e ogni volta che sullo stradone o in via Ceglie, all’ingresso del suo studio, lo aspettavo osservavo con piacere la vetrina, dominata dalle foto della sua bici. Discutere con Benvenuto è sempre un piacere. Lo trovo sempre brioso, cortese, socievole, capace di trasformare sul volto dell’interlocutore il broncio in un sorriso. Sarà l’aria che respira pedalando, sarà l’atmosfera di Martina Franca, città sempre luminosa e ridente soprattutto quando il Signore la benedice con la pioggia, certo è che Benvenuto rende gradevoli i ritrovi. Di lui mi piacciono anche quel suo modo di parlare da filosofo socratico e quel suo modo di usare il dialetto; le sue movenze, le sue battute.; il suo sguardo.
Qualche anno fa quel conferenziere errante che risponde al nome di Francesco Lenoci lo portò con sé a Laterza, dove incollati sui muri delle strade campeggiavano manifesti con i nomi dello stesso docente della Cattolica, di Giovanni Nardelli e di Benvenuto Messia. L’appuntamento era alla masseria “Il Cappotto” di Giampiero De Meo, che aveva organizzato uno dei suoi momenti culturali e divertenti che avevano richiamato un pubblico numeroso. Lenoci tenne una “lectio magistralis” sul pane che si confeziona in quella città, centro che profuma di timo e signoreggia in un’oasi di bellezza sul “percorso delle Cripte e delle Gravine”. Tra pane e poesia c’è una certa parentela e lo dimostrò per primo Giovanni Nardelli, leggendo una sua “creatura”, che aveva forse già declamato in uno dei bar di Martina Franca, in cui soffia versi anche sorbendo un caffè. Infine toccò a Benvenuto, che impugnato il microfono, smosse subito l’uditorio, aggruppato in un cortiletto da tempietto greco, fatto forse apposta per quelle manifestazioni. Gli applausi scrosciarono elettrizzati, diffondendo il clamore per moltissimi metri, oltre un carretto sciancato ricoverato su uno spazio che doveva essere stata l’aia. Benvenuto sembrava la copia di Marcel Marceau; le sue rime sul “Capocollo” erano una miscela esplosiva. Stava per concludere quando improvvisamente comparve un prete e in Ben baluginò l’idea di modificare il finale includendo sapientemente il nuovo arrivato nella trama, gesticolando ritmicamente.
Benvenuto Messia è un personaggio ammirevole; ha una “vis” comica che coinvolge, trascina, fa gioire lo spettatore; sul palco s’impadronisce subito della scena. Non ci può essere un altro Benvenuto. Quante cose sa fare questo martinese geniale. Alla sua età va ancora in bici e chissà se si accoda ancora al Giro d’Italia che anche quest’anno ha attraversato … il paradiso. So che a 93 anni un signore di Milano suona il violoncello al Conservatorio, ma sta seduto su una sedia comodissima. Benvenuto viene ripreso dalle telecamere mentre fa il cicerone fra le strade di Martina: corre sulla bici che gli regalò il compianto notaio Alfredo Aquaro durante una passeggiata del plenilunio d’agosto con partenza da Villaggio In e destinazione una masseria, che veniva descritta anche nel suo aspetto architettonico da Nico Blasi. Inoltre fa l’attore di film ambientati in Puglia.
Forse nessuno sa che Benvenuto faceva come Totò: il principe De Curtis provava le sue battute prima con qualche conoscente, per vedere se avrebbero fatto effetto sulla ribalta (così mi riferì un operatore cinematografico, innamorato di “Cinema Paradsiso”); Benvenuto leggeva le sue poesie a Oronzo Carbotti, forse per lo stesso motivo. Magari lo ha fatto una sola volta, il giorno in cui c’ero anch’io nella campagna del maestro esperto di tradizioni popolari sulla via per Locorotondo. Ricordo quella mattina che provocò risate irrefrenabili nei bei trulli luminosi, spaziosi, accoglienti di Ronzino. Raccontò in sapidi versi la storia di un tale di fantasia che aveva sul capo un palco del miglior cervo visto nei boschi di montagna.
Giorni fa su Facebook ho notato una foto in cui il Messia parla al telefono e Lenoci, che sbellicandosi lo indica per dire “ma guarda un po’, mi ha rubato la cornetta”: dall’altra parte del filo c’ero io appena chiamato dalla sorella di Francesco per fare i complimenti a una serata a Palazzo Recupero. Come si fa a non voler bene al Messia? Spontaneo, schietto, poeta, attore, collega di Coppi o di Bartali, fa lo stesso, simpatico, brillante. Quando guardo le foto, in cui è con Luisa Ranieri, Lino Banfi, Sabrina Ferilli e altri vip dello spettacolo, mi dico che se avesse cominciato prima a vestirsi da prete per un film o a indossare i panni del nobiluomo con il testa il cappello a cilindro in un palco del teatro dell’opera, sarebbe oggi famoso come nonno Libero, che ha dialogato persino con il Papa.
Di persone come Ben ne ho conosciute, a Milano. Il grande pittore Ibrahim Kodra, per esempio, l’artista albanese che, vissuto alla corte di re Zogu, arrivato nel capoluogo lombardo e invitato a improvvisare un discorso di ringraziamento a Mussolini, non conoscendo una parola della nostra lingua e autorizzato a parlare nella sua, contò da uno a 100 intervallando con i termini duce, regime, fascismo, le uniche che sapeva. E i presenti lo subissarono di battimano. Bene, Kodra saliva su un velocipede alto due metri; correva tra i viali di Milano; si metteva in groppa a una balena di metallo creata da un fabbro veneto nella sua officina in un cortile di via Ascanio Sforza e varata nel Naviglio Pavese; andava a piedi da casa a Brera. Ma Ibrhaim era stato campione del lancio del disco a Tirana. Non tutti sanno di che cosa sono capaci questi ultranovantenni. Chi da una vita, cavalcando una bici, fa chilometri senza stancarsi può dare numeri ai giovanotti che alla bici preferiscono la cilindrata. Una volta la bici era l’amica di una vita, la si mostrava con orgoglio, la si custodiva come un’opera di Andrea Cascella. Ben non l’ha mai tradita, con la sua ne ha inghiottita, di strada.. Sulla bici ci si sente liberi, capaci di tranciare l’aria, di sfidare il vento. I ciclisti vanno veloci per conquistare la città. La velocità attirava i Futuristi. La bici ha ispirato Boccioni, Sironi, Depero e altri. Anche Toulouse Lautrec. Per tanti la bici è un mito, appenderla al chiodo è peccato. Non si può fare della due ruote un oggetto. La si può mettere in garage quando l’età avanza e non si hanno più le forze né la volontà; ma allora occorre sistemarla in un posto degno della sua gloria. La bici va trattata come un cimelio. Con amarezza al pensiero che un mondo si è chiuso e se n’è aperto un altro. Allora galleggiano i ricordi: delle strade battute, dei paesaggi goduti, dei paesi e delle città percorse, dei borghi, delle gite fatte con gli amici tutti in sella. Benvenuto Messia ha un ricordo in più: sul telaio della bici portò la figlia all’altare. “Vecchio” cacciatore d’immagini, come il padre Eugenio, ha immortalato la bellezza di Martina che affascina, ristora lo spirito, fz bene al cuore e all’anima.
Avevo 11 anni, quando cominciai a frequentare con stupore questo prodigio, ad amarlo. Mi beavo di fronte a un ciliegio, a un fico, a un ulivo, alle case con il tetto a cono di gelato. Oggi ne ho 91 e l’amo ancora. Cambio umore nel tratturo rimasto silenzioso. Ci venivo “cu ‘a Ciucculatère”, la locomotiva a vapore, che cambiava senso di marcia sulla piattaforma girevole, che giace semisepolta in uno spazio della ferrovia. Lì sono custoditi segretamente i miei sogni; lì nelle giornate estive allungo ancora verso Taranto, immaginando Madonna del Pozzo, San Paolo, Crispiano, Nasisi; ad ogni fermata un sussulto del cuore.

 

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