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Siderurgico di Taranto, le imprese dell’indotto non vedono il piano B Confindustria

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Di seguito un comunicato diffuso da Confindustria Taranto, elaborato da aziende dell’indotto del siderurgico:

Se la siderurgia è asset strategico del sistema industriale italiano, quale Stato è quello che attende passivamente che la Magistratura chiuda comparti essenziali di un suo stabilimento, senza programmare per tempo, al di là delle dichiarazioni di principio, un piano di transizione che tuteli la sopravvivenza dell’intera economia di un territorio – produzione, imprese e lavoratori – e, insieme, l’ambiente?

 

Quale Stato è quello che aspetta in silenzio un disastro da lungo tempo annunciato, senza aver predisposto un’alternativa efficace? Un disastro annunciato, lo ribadiamo, che si potrebbe riversare anche sulla bonifica dell’area, con buona pace del green deal.

 

Va bene la green economy. Va bene la blue economy. Va bene qualsivoglia modello di sviluppo in grado di tenere assieme i temi economici con quelli relativi alla qualità media delle nostre vite. Va bene diversificare i processi finanziari partendo dalle leve turistiche e culturali (la manifestazione del Sail Gp ne è un esempio per il quale ci complimentiamo con il sindaco Melucci e la sua Amministrazione). Va bene, anzi benissimo, la diade salute e lavoro: approccio non più rinviabile, come ci ha insegnato la pandemia, per tutte quelle società che si suole definire civili e democratiche. Ma attenti a non smarrire l’identità produttiva di Taranto che era – e resta – una città a vocazione industriale. Che impiega 7000 residenti della sua provincia nella fabbrica siderurgica. Che annovera 300 microimprese dell’autotrasporto che, volente o nolente, operano nel sito industriale dell’ex Ilva garantendo posti di lavoro e stabilità sociale.

 

Assistiamo, pressoché inermi, al recente tour nella nostra provincia di Ministri e persino del Presidente di Confindustria nazionale, ma nessuno di loro ritiene opportuno parlare con le imprese dell’indotto, con una filiera industriale, metalmeccanica, dei trasporti, della chimica e dei servizi che da un giorno all’altro potrebbe essere letteralmente cancellata a seguito della imminente sentenza del Consiglio di Stato sulla chiusura dell’area a caldo dello stabilimento. Letteralmente, nessuno di loro! Che accadrà del lavoro, del reddito, dei traffici del Porto di Taranto che ancora si regge, nel bene e nel male e pure sotto il profilo infrastrutturale, sullo stabilimento ex Ilva?

 

Nel Pnrr (Piano nazionale di ripresa e resilienza) c’è scritto che l’Europa, con i suoi lauti trasferimenti di denaro, dovrà finanziare nei prossimi anni la produzione di acciaio green in Italia. Bisognava scrivere in altro modo. Le parole sono pietre, vanno trattate con sapienza. Bisognava precisare che ad essere finanziato sarebbe stato l’acciaio green da produrre nell’ex Ilva di Taranto.

Noi che teniamo i piedi per terra, che rifuggiamo dal pensiero magico del “si vedrà”, noi che manteniamo le nostre famiglie e che ogni mese dobbiamo pagare tasse, fornitori e stipendi a migliaia di persone, vogliamo conoscere ora le intenzioni del Governo e del Ministro dello Sviluppo Economico, vogliamo ascoltare il pensiero del Presidente Bonomi. Pretendiamo risposte immediate, perché la crisi ex Ilva e le questioni giudiziarie non sono una pandemia inaspettata o un cigno nero, ma un processo che va avanti da troppi anni, fra le voci e le grida d’allarme inascoltate dell’apparato produttivo locale.

 

Venga oggi, qui e immediatamente, lo Stato a dirci qual è il piano B per Taranto e per le sue imprese.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 




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