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Il presepe, gli zampognari Ricordi

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Di Franco Presicci:

Quando ero un soldo di cacio chiedevo a mio nonno: “Quando arriva Natale?”. E lui: E’ ancora lontano, mancano tre mesi”. Il mese dopo glielo chiedevo nuovamente. Non domandavo mai notizie della Befana, perchè quella da me non veniva mai. Il nonno mi diceva che era diventata troppo vecchia e non ce la faceva ad andare in tutte le case. E io, vedendo i vicini con tanti giocattoli, pensavo che il nonno non fosse informato, dato che la Befana aveva la scopa volante e non andava a piedi. Poi seppi che entrava nella case calandosi dal camino e mi convinsi che non ce l’aveva con me: non mi portava i giocattoli, perché quell’impianto non ce l’ avevamo. Con il tempo capii che il motivo vero era la mancanza di denaro. La mia famiglia non navigava nell’oro.
Ma io mi ero già affezionato al Natale anche perché in quel giorno una piccola mancia l’ottenevo mettendo la letterina sotto il piatto di mio padre, promettendo che da quell’anno sarei stato più bravo. Il Natale e la viglia erano i giorni più amati, della felicità. In casa dei nonni si spargeva un profumo delizioso, così intenso che arrivava sulla strada, dove suonavano gli zampognari: erano le pettole e “le sanacchiùtele”, che sfrigolavano nella padella. A tavola, alla viglia, signoreggiavano gli spaghetti con i frutti di mare e il capitone. Il panettone non si conosceva, mentre a Milano, sì, e tanto. Una delizia, alla quale dette una spinta Angelo Motta, nato a Gessate nel 1890. Per la cronaca, quel dolce era scaturito da un errore (almeno così racconta una leggenda): un fornaio alle prime armi aveva lasciato l’impasto nel forno più del necessario e quello si gonfiò come un cappello a cilindro. Ma, soffice com’era, condito con uvette e canditi, risultò il dolce più apprezzato e richiesto, tanto da diventare uno dei simboli di Natale.
In casa mio padre faceva il presepe: un’architettura semplice, che però aveva tutti gli elementi: le colline, gli antri, i sentieri, il finto scorrere dell’acqua, ottenuto con qualche passata di tempera bianca, la grotta… E le statuine fatte di gesso dalla mia mamma collocate ovunque, anche davanti alla grotta della natività. La grotta, come in tutti gli altri presepi di ogni dimensione e fattura, era in bella vista. Allora il Bambinello vagiva sulla paglia scaldato dal bue e ldal’asinello, sotto gli occhi affettuosi di Giuseppe e Maria. Oggi invece nasce in un condominio, tra un mucchio di case, addirittura in un trullo o in una conchiglia o un guscio di noce.
La nonna il pargoletto lo teneva nascosto in un cassetto del comò. Cinque minuti prima di mezzanotte dava un segnale alla zia, che spegneva la luce, la vecchina, che era martinese, lesta deponeva Gesù Bambino, la luce si riaccendeva e noi estasiati urlavamo al miracolo e cantavamo “Tu scendi dalle stelle” e qualche altro canto sacro che ci avevano insegnato in parrocchia. La voce più godibile era quella di mio cugino Enzo, che ora non c’è più.
Io il presepe lo accendevo ogni giorno e lo ammiravo. Nella sua modestia mi affascinava. Non aveva una policromia: una sola lampadina illuminava ogni angolo, nascosta tra rami di un pino vero raccolti a Praia a Mare, sulla via di San Vito e trascinato lungo tutto quel tragitto fino a casa. Io avevo l’incarico del rifornimento, all’età di 14 anni. Ero il più intraprendente dei cugini e non mi tiravo mai indietro.
Il presepe restava in piedi fino alla fine di gennaio e oltre. E quando lo si smontava bisognava imbiancare la stanza, perché mio padre usava l’argina sciolta in un secchio d‘acqua e quando copriva lo scheletro di legno con quel materiale per fare sentieri, grotte, prati… inzaccherava le pareti interessate. Costava fatica, il presepe! Eppure portava gioia.
Da grande quella scenografia ho cominciato a realizzarla io: di sughero. Mi diverto a corredarlo con fichidindia (le pale con i semi di zucca e i frutti con il riso, poi colorati di verde, rosso, giallo, bianco), Gli alberi fatti con muschio sintetico incollato su un rametto, la neve con gesso sparso qua e là; acqua, farina e sale impastati per tappare i buchi che si possono formare tra un pezzo e l’altro dii sughero, Ogni piano costruito su un palchetto, la prospettiva rispettata rigorosamente, anche con i personaggi collocati a seconda della grandezza, fino a meno di un centimetro; il fondo ottenuto con una delle cartoline acquistate anni fa a Tunisi, i muretti e le tegole fatti con l’argilla, che mi regalava il compianto grande ceramista Giuseppe Rossicone…

Screenshot 20251123 032111Per fare il presepe occorrono idee e passione. Mentre depongo le statuine nei vari ambienti, penso ai pastori che mentre curavano il gregge videro l’Angelo che portò loro la lieta notizia della nascita di Gesù e loro subito, insieme ad altri, partirono per Betlemme per inginocchiarsi davanti alla mangiatoia.
Che festa, il presepe! Lo si trova in letteratura, in poesia (Gozzano, Pascoli, Valeri…), in pittura. Soprattutto è nei nostri cuori. Il presepe è luce, calore, fiaba (ne ha il sapore), storia, leggenda, fascino. “E un canto invase allora i cieli: “Pace”/ Sopra la terra…”, scrive Giovanni Pascoli. E davanti al presepe l’osservatore si sente aperto al mondo, fratello di tutti. Il presepe è anche amore, emozione, serenità. Guardando la grotta qualcuno pensa a quello che accade oggi nel mondo. Il prodigio invita alla pace definitiva. Che la fiamma del focolare, che rinveniamo in tutti i presepi, bruci l’odio che avvampa in tanti cuori. Mi è venuto spontaneo questo richiamo, questo anelito alla concordia. Il presepe, questo panorama dettato dal cuore, suscita, amore per il prossimo, armonia, fratellanza. Vorrei essere uno di quei pastori più vicini all’evento o il vecchierello canuto che va a passo lento dove lo porta la stella, guida dei Re Magi. Sì, mi immagino, se non un pastore, un suonatore di flauto che con le sue note celebra Gesù appena nato; o il guardastelle, che è la figura presente in ogni presepe, come la lavandaia (l’acqua simboleggia la purificazione), il fornaio, (il cfuoco la rinaascita) il pizzaiolo, che dal presepe napoletano ha raggiunto tutti gli altri, anche al Nord, come il pescivendolo.
Seguo i presepisti, autentici artisti, su facebook. Fanno nascere Gesù in costruzioni meravigliose, in cascina con le ringhiere addobbate con pomodori appesi, provole, salsicce, mozzarelle, eseguiti da artigiani dalle mani d’oro. La culla del Bambinello nella stalla di una struttura rurale ha il suo incanto. Il presepe ha la sua magia. Ne ho visti tanti anche al Museo del Presepe di Dalmine. Vengono da ogni parte del mondo e richiamano migliaia di spettatori. Tra i presepi più osservati, quello napoletano, che è straordinario. Come tutti sanno, via San Gregorio Armeno, a Napoli, è il regno del presepe. Sono esposti anche sulla strada, come le statuine, che sono autentiche sculture: verosimili le espressioni, gli atteggiamenti. Anche in altri centri si eseguono figure interessanti, meravigliose, con abiti sovrapposti in tessuto. A Cutrofiano, in provincia di Lecce e nello stesso capoluogo. A Brescia, a Bergamo. A Milano, ceramisti bravissimi, Manuela Artuso e Vincenzo Seregni, nel loro laboratorio “La Stele”di viale Certosa 91, creano, oltre a presepi e Madonne di altezza naturale che vanno in tutto il mondo, statuine di stucco milanese settecentesco (12 polveri minerali naturali mescolate con acqua con essenze di origini orientali). Eseguono anche un presepe monumentale alla stazione ferroviaria Nord. Seregni ha avito come maestro il grande Carlo Borroni.
A Martina Franca, fino a poco tempo fa Michele Sforza elaborava un presepe enorme nella chiesetta dii fronte alla basilica di San Martino. Poi prese a farli all’aperto quasi sotto le scale della stessa basilica, attorniato da turisti e concittadini incuriositi. Adesso la natività è scomparsa da quella piazzetta. Il suo gruppo, “I soliti ignoti”, si è sciolto.
Ad insegnarmi a costruire il presepe fu, quando avevo vent’anni, Raffaele D’Addario, che dopo aver fatto lo scenografo a Cinecittà, era rientrato a Taranto per insegnare disegno. Abitava in via Cataldo Nitti. Era un pittore egregio e frequentava il laboratorio dei Mazzarano della “Casa del presepe”, vicino al Palazzo del Governo. I suoi presepi Raffaele li esponeva nella vetrina della drogheria del padre in via D’Aquino, dove all’angolo c’era la Dreher. Usava il sughero e dal sughero passò alla carta. Raffaele era un’ottima persona, generosa, disponibile. Lo incontrai nello studio del fotografo pittore Salinari in via Di Palma, di fronte all’edicola di Zappatore. Con lui c’era Claudio De Cuia, un altro grande, che mi aiutò a tradurre in dialetto alcuni miei versi, appunto sul presepe, dedicati a una ragazza in cui vedevo il volto bellissimo di Tecla, discepola di San Paolo o della giardiniera Fiore.
Tra pochi giorni sarà ancora Natale, Nelle strade di Milano arcate di luci incrementano la luminosità delle strade; le vetrine dei negozi sono sfarzose; qualche Babbo Natale, rigorosamente grassottello, sorride ai bambini; da qualche parte si avverte il suono delle cornamuse: le mamme e le nonne tengono pronte l’olio, la farina, le uova e la padella. E i cuori cominciano ad esultare. È Natale.

 


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