Di Franco Presicci:
Ero da poco arrivato a Milano e avevo già voglia di conoscere la città e di avvicinare i miei corregionali. Avevo incontrato il martinese Guido Le Noci, titolare della Galleria d’arte i”Apollinaire” in via Brera, il più prestigioso e famoso mercante d’arte europeo – amico di Pierre Restany, papà dell’”art nouveau” – editore di volumi elegante e interessanti, uno dei quali dedicato alla Valle d’Itria, scritto da da Cesare Brandi.
Ero giovane, disorientato, una grande nostalgia per Taranto, ancora indeciso se rimanere o tornare, quando decisi di andare a cercare alla Mondadori, che allora aveva la sede in viale Regina Giovanna, Domenico Porzio. Mi faceva esitare l’altezza del personaggio, così importante, capo ufficio stampa della casa editrice e assistente del presidente. Ma mi feci coraggio, salii sul pullman e via. Non dovetti aspettare molto per essere ammesso alla presenza del capo. Mi sorrise e mi dette il benvenuto. “Siediti. Hai l’onore di appoggiare il tuo fondoschiena dove hanno adagiato il proprio Kerouac, Soldati, Nabokov e tanti altri”. La rivelazione accrebbe il mio imbarazzo. Io scrivevo sulla “Tribuna del Salento”, periodico di Lecce, e su “Sette Giorni”, di Bari. Gli chiesi se poteva concedermi un’intervista per questi giornali. “Perchè no! Tu fammi le domande e io risponderò” E così gli chiesi dei suoi primi giorni a Milano, come fosse riuscito a fare quella brillante carriera, se ogni tanto pensasse alla sua terra d’origine… Gli chiesi anche che cosa consiglierebbe a un giovane approdato da poco nel capoluogo lombardo. “Di non credere di poter fare il lavoro in qualche maniera o a mezza giornata, di non dire di saper fare tutto e di non pronunciare mai la parola sfortunato”. Parlava piano, con un leggero sorriso incoraggiante e aggiunse che Milano amava i giovani intelligenti e volenterosi.
Era nato a Taranto, sin da giovane provava la passione per il giornalismo, ma il padre lo voleva medico. E lui non lo deluse. Studiò con impegno e a laurea conseguita gli disse: “Papà, tu hai voluto per me la laurea in medicina, io te la consegno, ma voglio fare altro: amo la carta stampata”. E cominciò il suo percorso con zelo,, continuò gli studi letterari, seguiti dalla pubblicazione di libri importanti, tra cui quelli su Borges. Divenne amico di Montale, Marco Valsecchi, critico d’arte del quotidiano “Il Giorno”, e di tantissime altrie personalitò. Per sapere della loro vita e della loro attività, basta leggere il volume “Primi Piani”, edito da Mondadori. Mi parlò a lungo di Mario Soldati, che amava telefonargli da qualunque parte del mondo si trovasse, per dirgli quello che faceva, le persone che incontrava, addirittura il ristorante in cui andava a pranzare, l’albergo in cui alloggiava. Io poi ebbi il piacere di parlare al telefono con l’autore di “Vino al Vino”, “Le due città”, “America primo amore”… Gli telefonai nel suo studio, in via Cappuccio, e lui mi parlò di tante cose: di Milano, del Premio Bagutta, da lui vinto nel ‘59, dei giardini di Milano, dei suo palazzi storici, di “Le petie boaurgeois”, di Balzac e della sua ammirazione per Milano, “cette jolie Capitale”, della sua casa di Tellaro… Parlare con lui era entusiasmante, non ti lasciava spazio, ma tutto quello che diceva era da assorbire. Anni dopo lo rividi in una riunione al Circolo De Amicis.
Mi si perdoni il dirottamento. Capita quando si hanno tante cose da dire. E io non voglio fare torto a Domenico Porzio, persona squisita, che non ha mai dimenticato la sua città natale. E ogni volta che lo invitavo a una manifestazione letteraria o a far parte della giuria in un Premio che aveva per tema Milano non diceva mai di no. Fu presente anche a quella intitolata “Le Porte dei Milano”, che furono assegnati ad Alberto Dall’Ora e a Silvio Garattini, il quale colse l’occasione per tenere un lungo discorso sulla ricerca, alla presenza di un’ottantina di giornalisti con signore e di numerose autorità, a cominciare dal sindaco e dal presidente generale della Coorte d’Appello, Beria di Argentine.
Nel ‘76 Domenico Porzio fu tra i primi ad arrivare al Cida (Centro informazioni d’arte), in via Brera, ad una serata pugliese con Vincenzo Buonassisi, gastronomo e inviato del “Corriere della Sera”, il direttore dell’”Europeo Giovanni Valentini e l’inviato dello stesso settimanale, Salvatore Giannella, entrambi baresi. Tema: “I trulli che vanno in rovina”. C’erano oltre 400 persone. Le Noci per l’occasione aveva appeso alle pareti alcuni quadri e fece proiettare un documentario sulle tarantolate di Galatina. Non mancava Giacomo Lezoche, che era presidente dell’Associazione regionale pugliesi, e Nino Palumbo, autore tra l’altro di “Mare Verde” (pugliese di Trani, da Milano trasferitosi in Liguria, ma sempre pronto a rispondere all’appello). Quella sera, invitato a prendere la parola, Domenico Porzio parlò di una sua recente visita a Taranto e la descrisse sinteticamente, ma con efficacia
In via Brera Lambros Dose, gestore del Cida, lesse l’introduzione al libro di Massimo Fumarola, “A passeggio per la Valle d’Itria”, scritta da Paolo Grassi e si accesero gli applausi per il grande uomo di teatro. Qualche tempo prima di morire, a Cortina, Porzio era stato nuovamente nella città dei due mari e il fotografo Carmine La Fratta lo aveva seguito passo passo anche nella città vecchia, dove lo scrittore volle passare sotto la casa in cui era nato., si fermò a scambiare due parole con la gente e proseguì sulla scia del profumo del Mar Piccolo.
Domenico Porzio era un gran signore. Pur essendo un personaggio di alto rilievo, ascoltava e apprezzava, senza mai intervenire se non richiesto. Lo ricordo in una sua conferenza su San Nicola al Circolo della Stampa a Palazzo Serbelloni. La Sala Montanelli affollatissima, tutti lo seguivano con grande attenzione, mentre il pittore Filippo Alto prendeva nota. Alla fibe Porzio mi regalò gli appunti, che conservo.
Era un bell’uomo, cortese, dal sorriso comunicativo, dai modi garbati. Giorni fa ho ripreso a leggere “Primi piani” e ancora una volta mi ha affascinato il modo con cui fa il ritratto di quegli scrittori che aveva conosciuto anche perché molti pubblicavano per la sua editrice: Dimo Buzzati che “adorava i cani, convinto che la loro faccia fosse una delle poche e convincenti prove di Dio. F Piero Chiara da Luino , lacustre di nascita, ma siculo-nornmanno di stirpe (gli avi valvassori sulle Madonie con greggi e pascoli nel contado di Polizzi Generosa), governa con le sue favole quattro milioni di lettori. Ha pubblicato anche “Elogio della libertà”, “Incontri e scontri col Cristo, “Conoscere Picasso” e le sue pagine su Borges. Era uno scrittore profondo, godibile. Da giovane diresse riviste con Oreste del Buono. La prefazione a “Primi piani” è di Enzo Biagi, che dice: “Mi piacciono gli articoli di Porzio perché non si è adeguato all’ultima moda. Ci sono dei miei colleghi che fanno venire in mente certi film di Buster Keaton; Io e la vacca;. Si sentono in qualunque circostanza i protagonisti; Io e la palla. Domenico Porzio si accontenta invece della parte più modesta di testimone E più avanti assicura che anche Domenico Porzio ha ovviamente le sue curiosità, e vuole sapere, m l’animo è più disposto a capire che a condannare.
Lo vidi l’ultima volta seduto, le braccia incrociate poco distante dal tavolo riservato ai dirigenti della Rizzoli, in occasione della presentazione di un libro del giallista Renato Olivieri, “Largo Richini”, con Arnaldo Giuliani, capocronista del “Corriere della sera”, che imperava intervistando ben cinque questori venuti da diverse città (Mario Iovine da Roma. Vito Plantone da Catanzaro, Putomatti da Sondrio…) su episodi particolari della loro vita professionale. Poi l’età dei premi per me si concluse e Domenico Porzio non ebbi più occasione per incontrarlo, Lo ricordo spesso, quel signore discreto, rispettoso, cordiale, dalla cultura immensa, che non amava essere alla ribalta. Sapevo sue notizie da Mario Oriani, che aveva una propria casa editrice in va Chiossetto, a pochi passi dal laboratorio storico del ceramista Giuseppe Rossicome (purtroppo comparso da qualche mese) e pubblicava cinque riviste importanti, tra cui “Aqua”, e poi “Storia illustrata”.
Erano esaltanti quelle serate in un ristorante ai margini della città affollato di giornalisti, autorità, dal sindaco Carlo Tognoli al prefetto Vicari. Vi si consegnava i prempi e gli applausi scrosciavano.