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Taranto: reato contestato al medico, omicidio colposo. Ma il paziente non è morto. Il racconto di un avvocato di Martina Franca: riforma della giustizia, queste sono cose da cambiare "Una sommessa considerazione" ma non solo: lo sconcerto per quello che gli è capitato

francesco terruli

Scrive Francesco Terruli (foto) avvocato di Martina Franca:

Al Prof. Cassese ed ai giornalisti del Corriere della Sera, Dott. Buccini e Dott. Mieli, in relazione ai loro articoli sulla riforma della Giustizia.

Nei giorni scorsi ho letto con attenzione gli articoli pubblicati sul Corriere della Sera da un autorevole ed eccellente giurista (Prof. Sabino Cassese), oltre che da firme prestigiose del giornalismo italiano (Dott. Goffredo Buccini e Dott. Paolo Mieli) in relazione alla tanto auspicata riforma della giustizia.

Mi ha colpito la riflessione del Prof. Cassese nel suo articolo dal titolo “I punti deboli di un Paese” (sanità, scuola e giustizia) ed, in particolar modo, la considerazione sulla giustizia e sul “corpo degli addetti alla giustizia” che, con qualche eccezione, come scrive l’autore, “si è comportato come se la situazione non lo riguardasse, come se non potesse, con maggiore impegno, almeno compensare il costo dei disagi patiti dagli utenti”.

Il Prof. Cassese conclude la sua riflessione con la condivisibile affermazione che “le disfunzioni mostrate dalla prova da sforzo, imposta dalla pandemia e dalle chiusure che sono seguite, vanno al di là di un piano di sei anni, indicano cedimenti strutturali, che richiedono anche altri interventi, di più lungo periodo”.

Il Dott. Buccini (Corriere della Sera, 25.07.2021) ha evidenziato che “è difficile non vedere come qui l’interesse generale sia velocizzare il sistema e non perdere il treno europeo, pena la bancarotta del Paese”; ed ancora il Dott. Mieli (Corriere della Sera, 30.07.2021), ha riflettuto sul comportamento del “cento per cento dei magistrati che si sono fin qui pronunciati sulla riforma Carabia”, esprimendo il loro dissenso.

Il dovere di sintesi, ormai immanente non soltanto a tutto il sistema processuale (con buona pace dei principi costituzionali di cui agli artt.24 e 111 Cost.), impone al sottoscritto di limitare il contenuto del presente scritto ad una sommessa considerazione su un punto qualificante dell’intero dibattito sulla giustizia, ovvero su quello che, davvero, un operatore del diritto, che frequenta quotidianamente i Tribunali, è costretto ad assistere impotente, ai destabilizzanti comportamenti di alcuni magistrati e dei funzionari di Cancelleria, a dimostrazione della verità del destino riservato a noi uomini da Bernardo Cluniacense, quando ci avverte che “nomina nuda tenemus”.

Questi i fatti.

Nel mese di ottobre 2017 viene presentata direttamente dinanzi alla Sezione di Polizia Giudiziaria di una Procura della Repubblica una denuncia-querela per violazione dell’art.590 sexies c.p. (responsabilità per lesioni personali in ambito sanitario).

Nella prefata denuncia-querela, la persona offesa denunciava che, a seguito di una colonscopia per la rimozione di un polipo nella parte alta dell’intestino, riportava una infezione intestinale dovuta a perforazione, tant’è che gli stessi medici disponevano un intervento chirurgico d’urgenza per “Perforazione retto jatrogena stato settico”.

Nella suddetta denuncia-querela, la persona offesa eleggeva domicilio per ogni comunicazione (richiesta di proroga delle indagini e di archiviazione della notizia di reato), presso lo studio del sottoscritto difensore.

A distanza di un anno (ottobre 2018), veniva notificata al sottoscritto difensore richiesta di archiviazione da parte del P.M. per “infondatezza della notizia di reato come da consulenza in atti”. Questa la lapidaria motivazione del P.M..

Alla suddetta richiesta di archiviazione la persona offesa, a mezzo del sottoscritto difensore, proponeva opposizione.

Ebbene, dalla data del deposito dell’atto di opposizione (id est: 16.11.2018), il relativo fascicolo veniva trasmesso dal P.M. all’Ufficio del Giudice delle indagini preliminari che doveva decidere sulla proposta opposizione, dopo quasi SEI MESI e solo dietro formale sollecito del sottoscritto difensore.

Il GIP, a seguito dell’udienza camerale del 15.09.2020 (la precedente udienza del 26.05.2020 era stata rinviata per COVID), in accoglimento della proposta opposizione, disponeva “ulteriore attività d’indagine”, fissando per il compimento delle nuove indagini il termine di 90 giorni dalla comunicazione del provvedimento.

In data 17.03.2021, essendo decorsi abbondantemente i termini concessi dal GIP, il sottoscritto difensore depositava a mezzo PEC alla Procura ed Ufficio del GIP, agli indirizzi di posta elettronica indicati nelle varie circolari, istanza ex art.335 co.3-ter per chiedere lo stato del prefato procedimento.

La suddetta istanza non è stata mai riscontrata, anzi, come si dirà di seguito, non risulta neanche inserita nel relativo procedimento penale.

Adesso viene il bello! In cauda venenum.

In data 17.07.2021 viene notificato dalla Polizia Municipale personalmente alla persona offesa presso la sua abitazione (e non presso il domicilio eletto), l’avviso della richiesta di archiviazione.

L’avviso è datato 19.11.2020, cioè ben 8 mesi prima della notifica alla persona offesa; lo stesso avviso riporta la data del 15.04.2021 per rilascio copia conforme all’originale (la copia appunto notificata il 17.07.2021, cioè dopo 3 mesi dal rilascio della copia conforme) e, incredibile dictu, dal suddetto avviso si evince che dalla iniziale contestazione dell’art.590sexies c.p., viene attribuito dal P.M. l’ipotizzato reato di cui all’art.589 c.p. (omicidio colposo).

Inoltre, sempre nel suddetto avviso, viene riportato l’avvertimento “che nel termine di dieci giorni dalla notifica del presente avviso” si ha facoltà di prendere visione degli atti e presentare opposizione (SIC!).

L’art.408 c.p.p., invece, prevede che il termine per la persona offesa per proporre opposizione è di VENTI GIORNI (art.1 co.31 ex lege 23.06.2017 n.103, in vigore dal 03.08.2017).

Ma non è tutto.

Il sottoscritto difensore in data 19.07.2021 (lunedì successivo alla notifica avvenuta il sabato) ha trasmesso, a mezzo PEC, alla segreteria del P.M. ed alla segreteria della Procura, agli indirizzi appositamente indicati nelle varie disposizioni dello stesso Tribunale e Procura, richiesta di appuntamento per estrarre copia degli atti per valutare una eventuale seconda opposizione.

Non avendo ricevuto riscontro alla suddetta richiesta, in data 21.07 c.a., il sottoscritto ha telefonato direttamente alla Dirigente (per fortuna le eccezioni ci sono sempre), la quale, ha creato direttamente tra il sottoscritto e la segreteria del P.M. interessata, un contatto telefonico nel quale, la stessa segretaria del P.M. ha affermato di non aver ricevuto la PEC del 19.07.2021 (nonostante l’avvenuta ricezione della PEC di consegna) ed ha invitato il sottoscritto ad inviare una nuova PEC di fissazione appuntamento alla quale avrebbe risposto in giornata.

Il sottoscritto ha inviato, immediatamente, a mezzo PEC, agli stessi indirizzi di posta elettronica, la seconda richiesta di appuntamento e, non ricevendo ancora alcun formale riscontro, nella tarda mattinata sempre del 21.07 c.a. ha telefonato nuovamente alla segreteria del P.M. per sollecitare la fissazione dell’appuntamento.

L’Assistente giudiziario, stupita, ha affermato di aver già risposto al sottoscritto con una PEC inviata all’indirizzo PEC dello studio, riferendo di aver comunque fissato l’appuntamento per il giorno lunedì 26.07.2021 ore 10.00.

Il sottoscritto difensore recatosi il giorno 26.07 u.s. in Tribunale per la visione degli atti – non senza sorpresa e sconcerto – ha scoperto che, anzitutto, dell’istanza ex art.335 co.3-ter non vi era traccia nel fascicolo e, udite, udite, la PEC che la segretaria del P.M. ha affermato di aver inviato allo studio del sottoscritto per fissare l’appuntamento del 26.07, in realtà risulta inviata all’indirizzo PEC della “segreteriapmprocura”, cioè allo stesso ufficio della Procura (senza parole!).

Il contenuto della suddetta comunicazione PEC è il seguente “Avv.to Terrulli (anche il cognome è sbagliato, ndr), leggo la sua richiesta di appuntamento e le comunico che potrà consultare il fascicolo richiesto lunedì 26 p.v. ore 10.00, nella sede dedicata al piano terra di questo Tribunale” F.to Dott.ssa Omissis (Assistente giudiziario) (SIC!!).

Viene omesso il nome dell’Assistente giudiziario per carità cristiana.

Conclusivamente e, volendo evitare che i destinatari della presente possano rivolgersi al sottoscritto alla maniera di Cicerone verso Catilina …, se è vero che l’obiettivo della riforma è costituito dalla necessità di operare una riduzione dei tempi del processo penale, è anche vero che, se non si interviene drasticamente e radicalmente su tutti gli aspetti della “macchina giustizia”, ma soprattutto sulla mentalità e sull’impunità anche di quei magistrati che, come nella specie, trattengono il fascicolo con la richiesta di opposizione per ben 6 MESI sulla propria scrivania, senza passarlo al GIP (i cui Uffici fisicamente si trovano al piano inferiore rispetto a quello della Procura), oltre che sul personale stesso che opera nei vari uffici dei Tribunali richiamandolo ai propri doveri di responsabilità e diligenza, rendono qualsiasi riforma inutile e finta.

Si provi a telefonare al centralino di qualche Tribunale o a qualche numero diretto delle varie Cancellerie, non risponde mai nessuno e, se il diretto della Cancelleria risulta occupato è perché il telefono viene messo fuori posto “per non essere disturbati”, come verificatosi recentemente per un’altra vicenda giudiziaria in altra Procura della Repubblica.

Oltre 70 anni fa Gino Bartali diceva “l’è tutto da rifare”.

Sono passati 70 anni, ma nulla è cambiato ed ora, grazie al Covid19, come giustamente rileva il Prof. Cassese, “il corpo degli addetti alla giustizia, con qualche eccezione, si è comportato come se la situazione non lo riguardasse”. Viva il Covid19, viva lo smart-working tanto amato dai dipendenti pubblici. “E io pago” diceva il Principe De Curtis.

Ovviamente nomi e cognomi saranno fatti alla Sezione Disciplinare del CSM ed al Ministero della Giustizia, unitamente ad altri anomali e gravi fatti che si sono verificati anche per altre vicende, con un apposito esposto anche se (Palamara docet), vale ancora oggi l’antico brocardo latino “Canis canem non est”.

Con stima.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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