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Austerity: cinquanta anni fa la prima domenica a piedi. Nell’Italia che doveva risparmiare stop anche all’auto del presidente della Repubblica Il 2 dicembre 1973 la misura più drastica per il Paese che scoprì una necessità nuova e la visse con rispetto

Vada Austerity

La foto tratta da Wikipedia documenta Vada, frazione di Rosignano Marittimo in Toscana. Tavolino in mezzo alla strada non perché fosse la pubblicità del Cynar con Ernesto Calindri ma perché in fondo, sempre contro il logorio della vita moderna era. È segnato novembre 1973 ma era il mese del decreto e le prime misure. Non quella di maggiore impatto, che arrivò all’inizio del mese successivo.

La domenica, da quel 2 dicembre 1973, bisognava andare a piedi o in bicicletta o in monopattino purché non a bordo di veicoli a motore alimentato da prodotti petroliferi. Il decreto del governo, datato 22 novembre 1973, era quanto di più restrittivo possibile perché l’Italia, al pari di numerosi altri Paesi occidentali, doveva risparmiare nell’acquisto di petrolio. I Paesi arabi alzarono i prezzi a dismisura e la crisi petrolifera fu pressoché mondiale.

Dunque, restrizioni pesantissime da quella riunione del Consiglio dei ministri: immediatamente esecutive. Fra queste un prevedibile forte aumento del prezzo dei carburanti, l’obbligo di ridurre la pubblica illuminazione del 40 per cento e l’obbligo di tenere spente le insegne e le scritte pubblicitarie. Bar e ristoranti dovevano chiudere al massimo a mezzanotte ed i locali di pubblico spettacolo dovevano chiudere entro le 23 come alle 23 cessavano i programmi televisivi. La velocità sulle strade venne limitata a 100 chilometri orari sulle strade extraurbane e 120 sulle autostrade.

Poi il divieto di circolazione dei veicoli nei festivi. Le domeniche degli italiani vennero stravolte. Nessuno poteva andare in auto né usare velivoli a motore né natanti ed il divieto riguardava così tanto tutti che perfino la vettura del presidente della Repubblica doveva rimanere ferma. In caso di stringente necessità sarebbero stati usati mezzi militari che al pari di quelli delle forze di polizia e quelli dei vigili del fuoco erano in deroga dal divieto così come le vetture del corpo diplomatico, i veicoli dei servizi sanitari, del trasporto pubblico, dei servizi postali, dei servizi per il trasporto della stampa quotidiana, dei sacerdoti (che però dovevano rimanere nel territorio comunale).

Le sanzioni per i trasgressori erano pesantissime: fino ad un milione di lire di multa, cifra enorme, con sequestro immediato del veicolo.

I cittadini venivano inoltre invitati, con una campagna di comunicazione pubblica, a coibentare gli impianti dei termosifoni. Quello che oggi chiamiamo efficientamento energetico era necessità mezzo secolo fa.

La prospettiva di un ritorno a chissà quale civiltà preindustriale fu verosimilmente eccessiva ma la popolazione ne fu colpita. Ed in quell’autunno-inverno del 1973 gli italiani, capendo il momento delicatissimo per il Paese, vissero l’austerità anzi l’austerity con il massimo del rispetto. Tutti a piedi o in bicicletta la domenica, ennesima testimonianza del fatto che per andare avanti è talvolta necessario fare un passo indietro. I comportamenti di una società che andava affacciandosi alla frenesia dovettero cambiare e non ci fu nessuno a dire “ne usciremo migliori” come quattro anni fa quando la catastrofe del corona virus costrinse a lungo il mondo a casa. Cinquanta anni fa non era necessario incoraggiare. Era così, che piacesse o meno, e gli italiani, capendolo, rispettarono in pieno. E vissero pure meglio, appunto come una comunità nazionale ed una comunità di persone che tutte insieme dovevano superare il momentaccio. Terrapiattisti vari, no quello e no quell’altro, altri strani individui, non c’erano e se ci fossero stati, se la sarebbero cantata e se la sarebbero suonata da soli, come si suol dire.

La primavera 1974 portò un primo allentamento: da aprile targhe alterne nei festivi. Una domenica le targhe pari, l’altra le dispari. Ma continuare ad andare in bici, famiglie intere e gruppi di persone, o coppie, bambine o bambini, ragazze o ragazzi, adulte o adulti, anziane o anziani, soli, a vivere le nostre città con quella meravigliosa lentezza, era diventata un’abitudine che resistette ancora un po’. Poi siamo diventati bravi e pseudo-ricchi, industrializzati ai massimi livelli, e quel valore della calma, del silenzio, dell’essere tutti ma proprio tutti uguali, è andato. Fino a quando un essere minuscolo, nel febbraio 2020, è tornato a ricordarcelo. Ma in maniera, come detto, catastrofica. E senza, a quanto sembra, che se ne sia usciti così migliori.


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