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Taranto: al MarTa in esposizione i reperti recuperati dai carabinieri "Memorie trafugate"

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Di seguito un comunicato diffuso dai responsabili del museo archeologico nazionale di Taranto:

C’è anche una testa in marmo della dea Athena, un esempio di arte monumentale riferibile al periodo dalla fine del III al II sec. a.C. con ancora visibile l’incavo che originariamente ospitava l’elmo di marmo o bronzo, tra gli oggetti che il MET Metropolitan Museum di New York ha restituito all’Italia, dopo un’operazione di intelligence condotta dai Carabinieri Tutela Patrimonio Culturale. Ancora nella cassa, servita per il trasporto, il prezioso reperto che potrebbe essere stato collocata all’aperto, come monumentale immagine votiva della dea guerriera nel suo ruolo di protettrice di una città, piuttosto che all’interno di un tempio come statua di culto, appartiene ad un lotto di restituzioni assegnati dal MIC al Museo archeologico nazionale di Taranto e che da oggi sarà possibile ammirare in parte nella mostra “Memorie trafugate. I reperti recuperati dal Comando Carabinieri TPC”.

Venti circa gli oggetti in esposizione e in attesa di ulteriori studi analitici e approfondimenti: oltre la testa monumentale della dea Athena, anche una pregevole pittura parietale con scene forse di un “simposio”, fibule (325 – 300 a.C. e IV e II sec. a.C.), anelli (VI sec. a.C.), ornamenti in bronzo con innesti in oro, rilievi in  terracotta e pietra tenera e addirittura un falso accertato, ovvero una riproduzionedi epichysis  (piccola brocca) apula nello stile “di Gnatia”. A presentare quello che per il Museo archeologico nazionale di Taranto e il Comando Carabinieri di Taranto, definiscono un vero e proprio regalo di Natale per gli appassionati di storia, arte e archeologia, erano presenti questa mattina in conferenza stampa la direttrice del MArTA, Stella Falzone e il Comandante dell’Arma di Taranto, colonnello Antonio Marinucci. “La perdita del contesto archeologico che spesso accompagna i reperti frutto di scavi clandestini e traffico illegale è la vera sfida di un Museo che come il nostro dovrà tornare a dare dignità e identità a questo patrimonio di inestimabile valore – dice Stella Falzone, direttrice del Museo archeologico nazionale di Tarantoperché noi oggi accogliamo reperti di varia natura, spesso rimaneggiati per ragioni meramente estetiche e che oggi invece, dovranno ritornare a parlarci della cultura dei popoli a cui sono stati violentemente sottratti. Per questo dobbiamo ringraziare le autorità giudiziarie coinvolte, il nucleo Tutela Patrimonio Culturale dei Carabinieri, il Ministero che ci ha indicato come museo di riferimento per l’analisi e lo studio di tali reperti, ma anche il Metropolitan Museum di New York che in un costante rapporto di diplomazia culturale negli ultimi anni non solo ha rivisto il suo sistema di acquisizioni ma ha cooperato pienamente per far si che questi reperti tornassero a casa“. I reperti esposti fanno parte di una serie di oggetti antichi confluiti nella società inglese in liquidazione Symes Ltd, appartenuta al celebre trafficante di antichità Robin Symes. Il suo nome, infatti, è tra i più noti del XX secolo nell’ambito del mercato illegale delle antichità, molte delle quali furono poi vendute ai maggiori musei del mondo, spesso ignari della loro provenienza illecita. Il rimpatrio è avvenuto grazie all’impegno congiunto del Ministero della Cultura e del Comando Carabinieri per la Tutela del Patrimonio Culturale, che, a seguito di complesse indagini e procedure giudiziarie iniziate negli anni 2000, hanno consentito il rientro in Italia, fino ad oggi, di circa 750 reperti. Questa restituzione, pur significativa, pone una serie di sfide interpretative. I reperti sono privi di documentazione sul contesto di provenienza e spesso presentano manomissioni o restauri impropri,elementi che non consentono una ricostruzione immediata del loro percorso né di attribuirli con certezza a un territorio specifico, che non è necessariamente riconducibile all’area tarantina. Solo alcuni manufatti, infatti, mostrano affinità evidenti e coerenti con materiali conservati nelle collezioni del Museo, mentre per altri qualsiasi ipotesi rimane prematura. Alcuni reperti consentono invece prime valutazioni di cronologie e contesto di appartenenza, come la testa in marmo o i frammenti di pittura, sempre in attesa di ulteriori verifiche scientifiche. Per tali ragioni, si è scelto di non proporre una mostra tradizionale basata sull’illustrazione dei singoli reperti, ma di impostare l’esposizione come un percorso metodologico, che spieghi il lavoro di analisi necessario per restituire identità e significato a oggetti privi del loro contesto originario. L’inventariazione e la documentazione preliminare permettono di registrare morfologia, stato di conservazione e caratteristiche tecniche. Il confronto tipologico e iconografico fornisce prime coordinate culturali, mentre le analisi materiche e archeometriche indagano composizione, tecniche produttive,alterazioni e interventi moderni, contribuendo a individuare restauri ingannevoli e possibili falsificazioni. Lo studio dell’autenticità, inoltre, integrato dall’esame delle manomissioni, consente di distinguere ciò che appartiene originariamente al manufatto da ciò che è stato aggiunto per finalità commerciali. Le sezioni della mostra approfondiscono inoltre alcune delle problematiche più frequenti nei materiali provenienti da traffici illeciti. Si tratta della presenza di falsi e copie moderne, delle criticità conservative dovute a modalità di recupero traumatiche e delle tecniche di restauro invasive che talvolta compromettono irrimediabilmente la leggibilità delle opere. La mostra intende restituire al pubblico la complessità del lavoro archeologico su materiali privi di provenienza e spesso alterati da interventi moderni, mettendo in evidenza la responsabilità scientifica e istituzionale nel trattare testimonianze fragili e problematiche. Attraverso un metodo rigoroso e multidisciplinare, i reperti del sequestro Symes possono progressivamente recuperare una dimensione interpretativa, ritrovare voce e valore, e mostrare come lo studio rappresenti il primo, indispensabile passo per restituire dignità e identità al patrimonio trafugato.


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