Di Franco Presicci:
Fu il direttore, Lino Rizzi, un galantuomo e un ottimo giornalista, a chiedermi di occuparmi di un bambino che spostava gli oggetti con il pensiero. Ebbi un attimo di perplessità e gli dissi: “Io non credo a queste cose”. “È proprio perché non ci credi ti dò questo incarico”. Aveva ricevuto una telefonata alle 5 del pomeriggio, quindi sapeva bene l’indirizzo e quello che vi succedeva. Quindi mi mossi subito. spinto anche dalla curiosità. Appena arrivai mi accorsi che quello era lo studio di di un professionista, in cui era stato invitato un pubblico alquanto numeroso. Individuai il padre del , lo chiamai da parte del fanciullo e gli dissi che per me quelo non era il luogo più adatto. L’uomo mi supplicò di dargli una mano, credendo che l’articolo sul giornale avrebbe “potuto far smuovere qualcosa”. Così fissammo un appuntamento alle 21 della sera dopo. Mi misi in macchina e andai alla via in cui abtava la famiglia. E cominciò per me un’esperienza memorabile, una specie di teatro dell’assurdo. Avevo letto pagine di studiosi sulla psicocinesi, ma una cosa è leggere e un’altra è vivere un evento. Comunque ero confortato dalla curiosità. Ero in compagnia del fotografo, Dante Federici, titolare di Day Studio con Stefano Cavicchi, notissimo in ogni ambiente. Dopo i convenevoli e i racconti dei fatti avvenuti, i genitori ci fecero entrare nella stanza del bambino, bello, intelligente, educato. Aveva 11 anni e il papà non lo portava più a scuola, per paura che potesse accadere un incidente. Dopo 40 anni non ricordo più l’ordine degli avvenimenti a cui assistetti, ma la sostanza sì. Ebbi un sussulto quando il piccolo, facendo schizzare le dita di una mano, gridò “Cassetta” e una musicassetta che stava vicino al computer schizzò via come un sassolino in un colpo di fionda. Rimasi come la moglie di Lot trasformata in statua di sale. Il papà ci invitò a sederci nel soggiorno: io su una poltrona; sul divano il padrone di casa, il bambino, che aveva un libro in mano, e Federici. La mamma restò il piedi appoggiata a una cristalliera, in assoluto silenzio. Il marito: “Stiamo rifacendo il bagno e l’altra mattina l’idraulico ha visto una sedia alzarsi e se n’è andato”. Un libro in edizione economica prese improvvisamente il volo dal tavolino verso la finestra. Subito dopo lo stesso tragitto toccò a una rivista di automobilismo. L’uomo s’infuriò, suggerendo al bimbo di andare a letto, “perché quando dorme non succede niente””. E subito dopo: “Passiamo molto tempo fuori di casa, andiamo a mangiare una pizza in un locale, per limitare i danni, anche se abbiamo tolto di mezzo tutto ciò che può essere pericoloso, quadri compresi. Il bambino rimaneva quasi indifferente, con un libro in mano “Mia cognata vorrebbe invitarci a casa, ma siccome è sposata da poco, teme i mobili, agitandosi possano rovinarsi”. Stiamo vivendo un incubo. “Un’altra volta una bottiglia di un litro e mezzo di acqua minerale si è sollevata finendo sulla testa del bambino. Un rumore forte proveniende dalla cxameretta del piccolo. La conversazione fu interrotta da un rumore forte proveniente dalla stanza del bimbo. Andammo a vedere tutti insieme: da una,mensola in alto era caduto l’unico oggetto che avevano lasciato al suo posto, un elefantino di metallo, che dopo aver frantumando i vetri di due quadri 80 per 80, adagiati sul lettino, continuando il percorso contro la tenda della finestra. I chiodi e i ganci non si erano mossi. Io e Dante eravamo esterrefatti. Pensai ad un essere invisibile, un ectoplasma; non ad un folletto, perché quello delle leggende popolari si fa vedere. Cercavo di scoprire un trucco, ma il mio impegno di investigatore temporaneo e improvvisato si concludeva con una domanda: “Perchè in quella casa si doveva inventare una situazione così complicata e inverosimile, per di più ai danni di un bambino”. “Guardi che mi cambia anche i canali della televisione senza avere in mano il telecomando. Che devo fare, me lo dica lei”. “Io sono il meno indicato, quindi le posso solo consigliarle di rivolgersi a qualche esperto. “Per passare il tempo fuori passiamo da un bar ad un altro o andiamo dalla nonna. La casa ci sta crollando addosso. Mi ha telefonato un giornalista di un giornale rosa e ho rifiutato di riceverlo”. Chiedo al bambino, che non appare preoccupato: “Tu riesci a pilotare questi spostamenti?. Si porta le mani sugli occhi, si concentra, ma sullo scherma rfimane l’immagine da dandy di Christian De Sica. “Abbianmo chiamato una specie di fattucchiera e quella, facendo oscillare un pendolo su una foto di mia madre, ha sentenziato che fosse lei la causa di tutto. Poi abbiamo fatto intervenire un esorcista, che ci ha spiegato che probabilmente si trattava di un fenomeno di psicocinesi: a far muovere le cose – disse – erano energie incontrollate sprigionate dalla mente del bambino. Poi passa. “Insomma, le stiamo tentamdo tutte e non sappiamo più a che santo rivolgerciE’ ormai mezzanotte e abbiamo visto abbastanza. E mentre siamo ai saluti, una delle quattro sedie sistemate con le gambe in aria sul tavolo, cadde senza aver subito alcuna sollecitazione visibile. I nostri sguardi si incrociarono. Pensai alle marionette del teatro san Carlino i cui fili sono manovrati da mani invisibili. Solo che questo era un dramma. “Se a ballare fosse soltanto una sedia non sarebbe un problema”, disse il padre del ragazzino. Alla fine la signora parò: “Passiamo più giornate fuori che a casa”. Ah, dimenticavo. La stessa sorte degli altri oggetto l’aveva fatta anche lo stereo. E lì il bambino lanciò un altro grido, invocando il padre. Insomma questa famiglia viveva nell’angoscia.
I genitori e lo stesso bimbo vollero scendere con noi e ci fermammo per le ultime considerazioni nel cortile., anche se era il 21 gennaio e faceva freddo. E quando meno ce lo aspettavamo, una pietra, fortunatamente piccola , si alzò nel punto in cui vialetto svirgola verso sinistra sfiorò la mia pancia, che ai tempi era protuberante, e si fermò contro l’auto del fotografo, segnandola. Per caso io avevo sguardo rivolto al punto di partenza del sasso e lì non c’era nessuno. Il mio problema nacque il giorno dopo: come cominciare il pezzo? Come trattare l’argomento? Sicuramente avrei avuto delle critiche, sarebbero arrivate chissà quante lettere. Mi rassicurai: ero un giornalista e raccontavo ciò che avevo visto. E non avevo certo visto po di prestigio. Il pezzo uscì, ricevetti telefonate dalla televisione nazionale, dalle querlle private e anche da una giornalista corrispondente di un noto settimanale tedesco. Ma non era finita. Dopo qualche sera mi chiamò la titolare di una trattoria vicina a casa della famiglia coinvolta per dirmi che nel locale stavamo succedendo eventi surreali. Ci andai e la trovai seduta dietro alla cassa. “Sto ancora tremando, stavo i piatti quando visto bottiglie e piatti che si sollevavamo. Mai vista una cosa così. Mi avvicinai a un gruppo di uomini che cenavano e commentavano. Erano tipografi di un giornale che avevno deciso di trascorrere una serata insieme i armoniaChiesi che cosa avessero visto e confermarono la versione della proprietaria. Dante Federici mi comfidò che il bambino gli aveva chiesto che cosa ci borsone che si era portato appresso e lui aveva temuto che si danneggiassero gli obiettivi e una macchina fotografica. Alcuni anni fa ho chiamato il capofamiglia, ma non rispondeva nessuno. Ho riprovato, ottenendo lo stesso risultato. Volevo sapere se avessero riconquistato la normalità e ricomposto la loro casa. Come giornalista ho assistito a tante, mi hanno anche detto di bambini che con il pensiero avevano dato fuoco all’abitazione; ma -ripeto – quandoe, quando vivi personalmente un fatto così straordinario, difficilmente lo dimentichi. E io non l’ho dimenticato. E ho capito lo stato d’animo di quelle persone.