rendimentogold

basilepiccolo

inPrimis per prenotazioni parrucchiere


Taranto: la bellezza del Galeso Ricordi

Screenshot 20250511 051159

Di Franco Presicci:

Quando avevo una decina d’anni con tutta la mia famiglia andavo al Cantiere Tosi a vedere il varo delle navi. La cerimonia mi  entusiasmava soprattutto quando la madrina lanciava la bottiglia di sciampagna contro lo scafo e la casa galleggiante scivolava verso il mare. Fu in una di quelle occasioni che mi accompagnarono in una visita al  Galeso, di cui avevo sentito tanto parlare. Una visita veloce, senza ciceroni impegnati in  citazioni storiche e letterarie. Con il passare del tempo lessi le pagine del Gissing (“Sulle rive dello Jonio”) e rimasi amareggiato, perché l’autore lo giudicava diverso da come se l’era immaginato.

Nei miei ritorni nella Bimare mi proponevo di andare sulla sponda di quel gioiello, uno dei tanti sparsi nella mia città, ma c’era sempre un imprevisto che mi distraeva. E al momento della ripartenza mi sentivo un innamorato infedele. Un po’ di anni fa mi decisi, ma dovetti tentare più volte, perché non riuscivo ad arrivarci: non c’erano indicazioni precise e chiedere a un passante era  impresa inutile: tutti mi rispondevano sorpresi, perché non ne sapevano niente, pur abitando nelle case vicine. Alla fine fu un pastore al comando del suo gregge ad illuminarmi. Una visione bucolica estranea all’ambiente

Ed eccolo l’amato Galeso, occupato da grosse barche cariche di mitili sotto un enorme telone. Guandai, ricambiato, gli uomini indaffarati sugli scafi, che qundo seppero che arrivavo  dalla Lombardia, vedendomi con la macchina fotografica in mano, dopo avermi dato il benvenuto, mi chiesero di puntare l’obiettivo verso di loro; e mi invitarono a brindare con acqua fresca. A far sbocciare la simpatia fu anche il dialetto che mi veniva spontaneo. Alla fine di una conversazione durata un’oretta, fatta di domande e risposte su Milano, sulla vita che vi si conduce, sulla nebbia, che oggi è rara, sul traffico, sulla gente che va sempre di corsa (non ne ho mai saputo il motivo). Poi mi vollero regalare un paio di chili di cozze, che volevo pagare, ma le facce risentite mi suggerirono di non insistere. Ci tornai con le foto da distribuire e dovetti mobilitare  nuovamente l’obiettivo, perché il gruppo era cresciuto.

Una sera al “Corriere del Giorno”, che allora era in un palazzo dei Beni Stabili, riferii le mie impressioni all’amico di sempre Vincenzo Petrocelli, redattore della terza pagina. Gli dissi che stavo leggendo il pensiero della scrittrice polacca Kazimiera Alberti, autenticamente entusiasta della nostra regione, da lei “praticamente scoperta nell’Ottocento”, come Benito Mundi scrive nella prefazione al libro “Viaggi novecenteschi in terra di Puglia” di Francesco Giuliani. “La Puglia è una regione molto antica, ricca di testimonianze che affondano nel silenzio e nelle tenebre della preistoria, aprendo un prezioso varco alla conoscenza…”. La Alberti definisce Taranto “una stella della Magna Grecia” e scopre con piacere i treni delle Ferrovie Sud-Est, che la portarono attraverso città e cittadine, villaggi, pianure e colline, per vigneti e frutteti… “Le Ferrovie svolgono una preziosa funzione turistica, economica, ma anche culturale… Più di novanta treni viaggiatori corrono, galoppano, trottano attraverso il calderone pugliese ed alla fine del giorno annotano una bella cifra: abbiamo percorso cinquemila chilometri, cosicchè ogni otto giorni facciamo il giro del mondo”.

Del Galeso non trovo traccia in queste pagine, e me ne dispiace. Visitando una città nata sul mare, vive sul mare e respira un’aria mediterranea, frizzante; vanta frutti di mare deliziosi e altre preziosità ovunque, allettando, come i suoi tramonti che infiammano l’orizzonte, un salto al Galeso avrebbe potuto farlo.

Comunque sono contento di essere nato qui, in questa meraviglia, che riscopro ogni volta nei miei approdi:  monumenti, tesori antichi raccolti nel Museo, il tessuto urbano, uomini dell’uno e dell’altro borgo, la Cattedrale, San Domenico, il lungomare, la Villa Peripato, il Castello Aragonese, il Mar Piccolo… Incontro anche tante persone gentili e ospitali, con la voglia d’insegnarsi per la città, di cui per colpa della mia diserzione  ho perso tante cose. Loro me le raccontano e io sono attento nell’ascolto. Nicola Giudetti, Antonio De Florio, Cataldo Sferra…, che celebrano Taranto  in versi e in prosa o con immagini che hanno il sapore dell’arte, sono per ne appassionati docenti.

Quante ore ho passato a meditare sugli scritti di Alfredo Lucifero Petrosillo, di Diego Marturano, di Alfredo Nunziato Maiorano, di Claudio De Cuia, di Diego Fedele. di Giacinto Peluso, di Nicola Caputo… purtroppo scomparsi. Li amo tutti, come amo Taranto, i suoi mari, i vicoli della città vecchia, “le strìttele”, il Galeso. a cui mi auguro abbiano ridato la dignità che merita.

Ricordo i versi “… tu guidi le sonanti acque e fresche/ acque per dolce clivo, alla tranquilla/ spera del mar tra floridi giunchetti/ fiume Galeso”. Dissi al pittore Filippo Alto, che da Bari in tempi lontani si trasferì a Milano, conservando  la sua roccaforte a Figazzano, nei pressi di Martina Franca: “Un giorno tu e io andremo sulle sponde del Galeso, dove trascorsi momenti di gaudio. Io lo vedrò scorrere all’ombra degli alberi giganteschi e tu lo coglierai con la tua tavolozza”. Filippo amava il paesaggio e i suoi angoli più deliziosi. Amava anche lui il fiume che coglieva il fischio delle navi quando slittavano in acqua. Non si può non amare il Galeso. Così come non si può non amare Mare Piccolo, con le barche all’ormeggio e il profumo del pesce fresco appena sbarcato. Taranto, dolce Taranto. Tu culli i miei sogni, m’incanti, m’inebrii. Quando sono a Milano un venticello fresco e ristoratore mi porta il tuo profumo. Inimmaginabile la gioia che provo quando salgo sul treno che si prepara a ingoiare chilometri di binari, uscendo dal grande ventre della stazione Centrale di Milano. E’ sempre affollato, quel treno. Domando qua e là ai viaggiatori dove sono diretti: chi a Foggia, chi a Bari, molti a Taranto, a baciare la sua terra. Il mio cuore batte forte ai racconti di chi lasciò la culla per venire al Nord a guadagnarsi il pane. “Ricorda il Galeso?”. “Certo che lo rirordo”. Mio padre lavorava al Cantiere Tosi”, “Il mio a Buffoluto”,  “il mio all’arsenale”.

I racconti s’intrecciano. Si sa come vanno lo cose negli scompartimenti dei treni. Alcuni non hanno voglia di parlare, altri sonnecchiano, ma chi non riesce a prendere sonno si lascia andare. E nel mio ultimo viaggio di ritorno non mi sono neppure accorto del tempo  che passava. Un tale che aveva lasciato la terra per salire nel capoluogo lombardo cambiando mestiere aveva nostalgia e tanti ricordi del Galeso. Un altro, seduto proprio di fronte a me, sosteneva che il Galeso se lo portava nel cuore; e ricordava I sospiri di Orazio “per le dolci acque del  Galeso, caro alle pecore avvolte nelle pelli, e i fertili campi che furono di Falanto, lo Spartano….”. Cose antiche, adesso andate a vedere com’è.

Qualcuno osserva che il degrado è una cosa, la bellezza del fiume un’altra. Il degrado è colpa dell’uomo e non c’entra con la bellezza del luogo. Ascoltavo le opinioni, che si moltiplicavano, mentre il convoglio sussultava. E tutto quello che attraversava, cascine, animali, contadini alla guida del trattore, correva scomparendo come un fulmine. E io pensavo a Stazio, Marziale, Virgilio e agli altri che hanno osannato il Galeso. A questi la mia mente ricorre ogni volta che incontro qualcuno che sputa sentenze su questa gloria della nostra città. Anch’io trovai i suoi fianchi umiliati, ma il mio lamento marciò verso quelli che dovevano intervenire e non lo facevano. E adesso? Hanno restituito dignità al fiume, che pure in letteratura non è sempre stato esaltato come le pecore che pascolavano ai margini del falanteo Galeso, come lo chiama Vito Forleo?

Io adoro il Galeso e adoro Taranto. Se c’è qualcosa che non va , volto pagina. Non voglio sentirmi dire: “Ma tu chi sei? Te ne andasti oltre un secolo fa , ritorni e salti in cattedra?”. Me lo dissero una volta e a dirmelo fu proprio un amico: “Chi parte lasciando Taranto non può più considerarsi figlio di questa città”. Amico mio, il cuore batte sempre per la Bimare. Non si possono soffocare i sentimenti. E poi, il Galeso conserva sempre la sua attrattiva: se è trascurato lo si deve  a chi ha il dovere di averne cura. Ma neppure su questo metto lingua. Nutro soltanto la speranza che il Galeso, qualche secolo fa chiamato dai contadini Gialtrezze, senza averlo mai visto e senza sapere neppure dove scorresse,  ha avuto i suoi detrattori anche da parte di alcuni viaggiatori dei secoli passati. Tra questi l’inglese vittoriano George Gissing nel suo libro “Sule rive dello Jonio”. Tra l’altro scrisse: “Fiume? Sarà lungo appena mezzo miglio….”. La bellezza per lui si misurava con il metro.

(foto: De Florio)

 

 


eventi a napoli




Articoli correlati

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *