INTERVISTA A DON FRANCESCO FRUSCIO, RETTORE E ARCIPRETE DELLA CONCATTEDRALE DI BARLETTAIn preparazione alla festa patronale dei santi patroni Maria SS. dello Sterpeto e San Ruggero
Don Francesco, cosa significa per Barletta celebrare la festa patronale?
Cosa ci spinge ancora oggi, in un tempo di frenesia e distrazione, a fermarci per fare festa con i nostri santi patroni? Forse proprio il bisogno profondo di sentirci parte di qualcosa di più grande, di una storia che ci unisce e ci plasma. La festa patronale è l’abbraccio più profondo e autentico tra il popolo e i suoi patroni. È il momento in cui una città intera si riconosce attorno a una fede, a una promessa, a un legame spirituale. Per Barletta, celebrare i suoi Santi Patroni — la Madonna dello Sterpeto e San Ruggero — significa ritrovare il cuore pulsante della propria identità. È un’occasione per dire: “Noi non siamo solo cittadini di una città, ma figli di una Madre e discepoli di un Pastore”. La festa ci restituisce radici e visione.
Un cenno storico sull’icona della Madonna dello Sterpeto. Dove si venera oggi?
L’icona della Madonna dello Sterpeto ha una storia affascinante e profondamente radicata nella devozione popolare. Secondo la tradizione, l’immagine fu rinvenuta in epoca medievale tra i rovi — “sterpi”, da cui il nome — nella campagna barlettana, forse durante uno scavo agricolo . Alcuni studi la datano tra il XIII e il XIV secolo, riconoscendo nell’opera una forte influenza bizantina, con tratti iconografici tipici della Theotókos Odigitria, la Madre di Dio che indica la via, ovvero Cristo.
La devozione si consolidò nel corso dei secoli, in particolare durante momenti di carestie, pestilenze e invasioni, quando i barlettani si rivolgevano a Lei come a un rifugio sicuro. L’attuale Santuario dello Sterpeto, sorto nel luogo del ritrovamento, divenne ben presto meta di pellegrinaggi. Lì, ancora oggi, si custodisce l’icona, che viene solennemente traslata ogni anno nella città per la festa patronale. Colei che non ha mai lasciato il suo popolo e che continua a camminare con lui.
E per quanto riguarda San Ruggero?
San Ruggero, vescovo e confessore della fede, è una figura storica di enorme rilevanza per la nostra terra. Originario di Canne — l’antica città episcopale famosa per la battaglia tra Annibale e i Romani — Ruggero visse nel XII secolo e fu vescovo della sua città natale. Uomo di grande zelo pastorale e profondità spirituale, si distinse per l’amore verso i poveri e per l’impegno nella riorganizzazione della vita ecclesiale in un tempo di forti tensioni tra poteri civili ed ecclesiastici.
Dopo la distruzione della città di Canne a causa delle incursioni saracene e normanne, il culto di San Ruggero si trasferì gradualmente a Barletta, che ne accolse con venerazione le reliquie. A partire dal 1276, grazie all’intervento del Capitolo della Cattedrale e del clero locale, il corpo del Santo fu solennemente traslato e collocato nella chiesa di Santo Stefano, che in suo onore prese successivamente il nome di chiesa di San Ruggero.
La sua festa liturgica cade il 30 dicembre, ma nella celebrazione patronale di luglio, San Ruggero viene festeggiato in unità con la Madonna dello Sterpeto, come segno della complementarietà tra maternità spirituale e guida pastorale.
Nel tempo, San Ruggero è divenuto patrono della città insieme alla Madre di Dio, a testimonianza di un’identità religiosa che unisce la protezione celeste della Vergine Maria e la sapienza di un Vescovo-Pastore.
Perché i Santi Patroni vengono portati in Cattedrale? Qual è il significato di questo gesto?
La traslazione in Concattedrale è un gesto significativo. È come se il popolo intero dicesse: “Vieni nella nostra casa, resta con noi, cammina in mezzo a noi”. Dal punto di vista spirituale, è una visita della Grazia, una forma concreta della “tenda di Dio” che viene a piantarsi tra gli uomini. Dal punto di vista ecclesiale, è un segno di comunione tra il santuario e la Chiesa madre della città, tra la pietà popolare e la liturgia, tra fede vissuta e fede celebrata.
In questo senso, risuona forte il documento dei Vescovi di Puglia sulla pietà popolare (n. 14), che ci invita a valorizzare le espressioni della fede del popolo come “cammini di evangelizzazione”, evitando ogni forma di folklorizzazione svuotata di senso. E proprio il nostro Arcivescovo, Mons. Leonardo D’Ascenzo, in un suo intervento, ci ha ricordato che “la festa patronale non è semplicemente una bella tradizione: è una forma di Chiesa che si raduna attorno ai suoi Santi per rileggere la propria storia e rilanciarsi nella missione”.
Si parla molto di cammino sinodale nella Chiesa universale. Come si può vivere la sinodalità nella festa patronale?
Sinodalità significa “camminare insieme”. E quale momento migliore della festa patronale per viverlo? Sinodalità è coinvolgere tutti: fedeli, confraternite, autorità civili, giovani, associazioni. È ascoltare le attese della gente, dare voce anche a chi normalmente non parla. La festa patronale può essere un laboratorio sinodale se diventa occasione per costruire ponti e non solo eventi. Se la festa unisce e non divide, se crea corresponsabilità e non solo spettacolo, allora siamo sulla strada giusta.
Ogni festa ha anche un volto folcloristico. Chi organizza questa parte della festa?
L’aspetto folcloristico, che comprende le luminarie, i concerti, la banda, il tradizionale mercato, è curato dal Comitato Feste Patronali, con il sostegno delle autorità comunali e di tanti volontari. È importante che questo aspetto non venga visto come “meno sacro”: la festa popolare è un’espressione di gioia, di appartenenza, di identità. L’armonia tra sacro e folclore è un segno maturo di una comunità viva.
Don Francesco, ogni anno lancia un appello ai barlettani a restare in città per la festa patronale. Perché questo invito?
Perché una città che abbandona i suoi santi è una città che perde il contatto con la propria anima. Restare in città non è solo “non andare al mare”, è fare memoria, fare famiglia, fare comunità. Il mio invito nasce dal desiderio di dare alla festa un carattere profondamente comunitario, dove la preghiera condivisa e l’aggregazione tra le persone diventino il cuore pulsante delle celebrazioni. Invito a restare per accogliere la Madonna e San Ruggero non come spettatori, ma come figli e cittadini responsabili. La festa patronale non si “assiste”: si vive, si onora, si costruisce. Restare è un atto d’amore verso la nostra Barletta.
Don Francesco, vuole rivolgere dei ringraziamenti finali?
Il primo ringraziamento lo rivolgiamo a Dio, che ci ha donato il dono più grande: la fede ricevuta nel giorno del Battesimo, e insieme ad essa testimoni autentici che ci aiutano a crescere ogni giorno nel cammino cristiano. Ringrazio il nostro Arcivescovo Mons. Leonardo D’Ascenzo per la sua presenza, per le celebrazioni che presiederà e per le sue riflessioni sempre capaci di stimolare il senso di comunità viva e operante. Ringrazio tutti i sacerdoti che, con la loro dedizione, accompagnano spiritualmente la nostra comunità. E infine un grazie sentito alla sinergia tra il Sindaco Cosimo Cannito e il Comitato Feste Patronali, perché quando istituzioni civili e religiose collaborano con rispetto e unità, la festa si trasforma in un segno concreto di bene comune.
Grazie don Francesco.