Di Martino Abbracciavento:
Collaboratori, attività part-time, lavoratori a termine. Sono i più a rischio di scivolamento di povertà assoluta che attualmente riguarda cinque milioni di italiani, secondo una ricerca del Censis-Confcooperative. In povertà relativa (quelli cioè a rischio di diventare poveri assoluti) sono 8,7 milioni di persone. A rischio anche le imprese e, tanto per cambiare, la situazione più difficile si registra al sud.
L’Italia si conferma come la nazione dove c’è più povertà educativa, più abbandono scolastico e scarsa formazione post-diploma. A segnalarlo è l’ultimo Rapporto OCSE “Education at Glance 2022”, che mostra lo stato dei sistemi d’istruzione di 38 Paesi membri.
Nel Rapporto di evidenzia che nel 2021 la quota di italiani tra i 25 e i 64 anni con un livello di istruzione terziaria (laurea) si ferma al 20%, un valore pari alla metà della media dei Paesi dell’OCSE (41%); un risultato che ci fa rientrare l’Italia tra i 12 Paesi col rendimento più basso.
Da segnalare inoltre che il 43% degli adulti ha raggiunto un livello di istruzione secondario superiore o post-secondario, ovvero il diploma o una specializzazione post-diploma, mentre il restante 37% non ha conseguito neanche un titolo di studio secondario superiore.
Se ci si concentra invece sulle fasce più giovani, i dati cambiano, in particolare la quota di laureati sale: nel 2021 erano il 28% della popolazione tra i 25 e i 34 anni, con un tasso di crescita notevole nell’ultimo ventennio, partendo dal 10% del 2000, per passare al 21% del 2011, fino ad arrivare al dato del 2021. Resta però il fatto che il ritmo con cui cresce il nostro Paese è nettamente più lento del resto del gruppo: a livello di area OCSE, tra il 2000 e il 2021, la percentuale di giovani tra i 25 e i 34 anni con un livello di istruzione terziaria è aumentata in media di 21 punti percentuale.
Il Rapporto sottolinea inoltre il dato relativo a chi interrompe gli studi molto prima del consigliato; in Italia infatti si rileva che quasi 1 giovane su 4 abbandona prima del diploma di maturità o di altri titoli assimilabili.
Si analizza anche la situazione occupazionale in relazione al titolo di studio, e a tal proposito il portale Skuola.net, ha rilevato che nel 2021 il tasso di occupazione dei 25-34enni laureati è stato di 6 punti percentuali superiore rispetto a coloro che possedevano un titolo di studio secondario superiore o post-secondario non terziario e di ben il 20% superiore a quello di coloro di che avevano un titolo di studio inferiore al secondario superiore (terza media).
Si segnala inoltre che nell’area OCSE, in media, i lavoratori tra i 25 e i 64 anni con un livello di istruzione secondaria superiore o post-secondaria non terziaria guadagnano il 29% in più rispetto ai lavoratori con un livello di istruzione inferiore a quello secondario superiore, mentre quelli con un livello di istruzione terziaria guadagnano circa il doppio. L’Italia, invece, naviga sotto media, infatti, nel 2018, i lavoratori con un titolo di studio secondario superiore guadagnavano il 27% in più rispetto a quelli con un titolo di studio inferiore al secondario superiore, mentre quelli con un titolo di studio terziario hanno guadagnato il 76% in più.
Tra le cause di tutta questa situazione, sono sicuramente in pochi investimenti in istruzione, università e ricerca. Tutti i Paesi dell’OCSE destinano una quota consistente del loro prodotto interno lordo agli istituti di istruzione: nel 2019, ultimo dato disponibile, la spesa media ammontava 4,9% del PIL. In Italia, invece, ci si è fermati 3,8%.
Dal Rapporto, si evince, che in Italia, le discipline artistiche e umanistiche, sono quelle più diffuse tra le scelte dei nuovi iscritti, con una percentuale del 20%. Mentre nella maggior parte dei Paesi dell’OCSE, le discipline più popolari sono economia, gestione e giurisprudenza.
Inoltre, nonostante la crescente necessità di competenze digitali e le buone prospettive occupazionali, per gli studenti laureati in tecnologie dell’informazione e della comunicazione, solo una piccola parte dei neo-iscritti all’istruzione terziaria sceglie questi indirizzi. Così, nonostante questo settore offra molta occupazione, infatti in Italia l’88% dei 25-64enni con una qualifica terziaria nel campo delle tecnologie dell’informazione e della comunicazione abbia un lavoro, gli studenti di tali discipline rappresentano solo il 2% dei nuovi iscritti alle università.