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Ilva di Taranto, impossibile sapere le città di residenza dei lavoratori. L’azienda oppone la privacy Una risposta ai limiti dell'incredibile

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Domanda, prima esposta a un sindacato: si riesce ad avere una statistica sulle città e sui paesi di residenza di chi va a lavorare all’Ilva di Taranto? Il sindacato: no, va chiesto all’azienda.

Stessa domanda, allora, esposta all’azienda: sarebbe necessario, per completezza di informazione, sapere la suddivisione della forza lavoro al siderurgico di Taranto, secondo le residenze dei dipendenti. La domanda è stata posta, da qui, perché c’è ovviamente un motivo. Riguardando, la vertenza Ilva che è difficilissima, le rappresentanze istituzionali locali coinvolte dai sindacati, è giusto che i sindaci e le comunità sappiano in quanti vanno a lavorare, lì al siderurgico, da dove.

La risposta alla nostra richiesta, da parte dell’ufficio comunicazione dell’Ilva in amministrazione straordinaria, è stata cortese. Con molta cortesia, ci viene detto: si tratta di dati sensibili e per la privacy, niente suddivisione per residenze.

Letta una seconda volta, questa risposta. Per capire se si fosse intesa male. Invece era proprio questa. 

Allora: basti prendere la prima voce che compare su google, senza cioè avere dato la tesi in Giurisprudenza, per conoscere la connotazione dei dati sensibili. Dunque: “I “dati sensibilisono quei “dati personali idonei a rivelare l’origine razziale ed etnica, le convinzioni religiose, filosofiche o di altro genere, le opinioni politiche, l’adesione a partiti, sindacati, associazioni od organizzazioni a carattere religioso, filosofico, politico o sindacale, nonché i dati personali”. Ora, di grazia, cosa c’entra con i dati sensibili la richiesta di informazioni di tipo generale, riguardante quattordicimila persone? Mica abbiamo chiesto dove abiti Mario Rossi, o Paolo Bianchi, o Giuseppe Verdi, o Tizio, o Caio, o Sempronio. Abbiamo chiesto la possibilità di dare un quadro completo, di tipo comunque generale, perché sia a disposizione del territorio alle prese, inevitabilmente, con i problemi dell’Ilva. Perché, devono sapere all’Ilva, anche un posto di lavoro in meno, uno solo, se lo piange, perfino in maniera diretta, la comunità in cui risiede il licenziato, o il lavoratore in esubero per dirla meno brutalmente. Perché deve erogare sussidi, inevitabilmente. Attenzioni. Contributi. Eccetera. 

L’Ilva, che nel territorio, dal punto di vista gestionale, è vista da molti più o meno come il rosso visto da un toro, magari dovrebbe avere l’interesse di favorire una comunicazione, assolutamente analitica e dunque non di tipo polemico. Invece che fa, va a cacciarsi in questo imbuto. Anzi, in questo cul-de-sac. L’Ilva ha provocato di programmare la spesa di enormi capitali pubblici (cioè di tutti: è stato chiesto il permesso a qualche cittadino di un qualsiasi angolo d’Italia, magari nel rispetto della sua privata, intima, indisponibilità a pagare il disastro fatto da altri?) per tentare di sistemare il territorio tarantino e della provincia. E non può proprio permettersi di parlare di privacy, che non esiste. Cari amici dell’Ilva in amministrazione straordinaria, tirate fuori quei dati sulle città e i paesi di residenza dei lavoratori del siderurgico tarantino, date il doveroso contributo alla conoscenza della situazione e rialzatevi immediatamente da questo scivolone.

Agostino Quero




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