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Taranto: se vuoi guadagnare un euro lavora tre ore. In un call center, retribuzione di 33 centesimi all’ora Slc-Cgil, scoperto un nuovo caso di sfruttamento. Testimoniato dalle lavoratrici

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Trentatre centesimi di euro per un’ora di lavoro. È l’ignobilissima condizione denunciata dal sindacato Slc-Cgil di Taranto, in una conferenza stampa stamattina. Il call center i cui responsabili, secondo la denuncia, si sono resi protagonisti di un simile comportamento, si trova nel capoluogo ionico. Durante l’incontro con i giornalisti, nella sede sindacale, le testimonianze delle lavoratrici.

Di seguito il comunicato diffuso dal sindacato Slc-Cgil:

«Vent’anni fa fu pubblicato “Cira e le altre. Braccianti e caporali”, il libro cult che raccontava la situazione nei campi: da allora nulla è cambiato nel mondo del lavoro, tranne il fatto che ora c’è una legge e gli avvocati della Cgil hanno intenzione di utilizzarla nel settore del call center perché in una sorta di “Far West” dei diritti, a donne e uomini alla ricerca disperata di lavoro non venga più calpestata la dignità». Sono le parole con le quali Andrea Lumino, segretario generale di SLc Cgil Taranto, ha chiuso la conferenza stampa nella quale insieme a sette donne ha denunciato l’ennesimo caso di sfruttamento in un call center di Taranto. «Un annuncio – ha spiegato Lumino – sul sito Subito.it parla di una azienda di Lecce con sede a Taranto in Via Bari, che offriva ben 12mila euro all’anno, ma la realtà non solo era differente, ma superava di gran lunga la più macabra immaginazione». A raccontare la realtà sono state proprio le lavoratrici che hanno trovato nel sindacato il sostegno per rompere la gabbia nella quale erano state rinchiuse. Dopo un periodo di lavoro iniziato a metà ottobre e terminato a dicembre, hanno scelto di licenziarsi dopo aver avuto, non la busta paga, ma il primo allucinante bonifico allucinante di appena 92 euro per un intero mese di lavoro. Alle loro rimostranze, l’azienda ha risposto che se per 5 minuti si lascia il posto per andare al bagno si perdeva una intera ora di lavoro. Anche per un ritardo di tre minuti l’azienda non riconosceva alle lavoratrici la retribuzione oraria. «Ho calcolata l’effettiva paga oraria con la calcolatrice e quando ho visto il risultato di 33 centesimi di euro all’ora ho pensat di aver sbagliato. Ho rifatto il calcolo più e il risultato era sempre lo stesso. Non riuscivo a crederci». Durante l’incontro con la stampa Lumino ha chiarito che la vertenza assume ora un valore pubblico della tutela dei diritti delle lavoratrici da una condizione di palese sfruttamento: «abbiamo già interessato i nostri legali che hanno valutato la possibilità di collegare questa situazione alla legge contro il caporalato». Subito dopo la conferenza stampa è stato preparato un esposto denuncia delle lavoratrici e del sindacato da inviare alla Procura della Repubblica, ma anche al Sindaco, al Presidente della Provincia e al Prefetto. «Siamo certi – ha aggiunto Lumino – che vorranno intervenire su una vicenda come questa schierandosi a tutela dei diritti delle persone e del lavoro». Ma per Slc Cgil Taranto si tratta di un tema da sottoporre a tutto il mondo politico istituzionale: all’assenza di regole certe si aggiunge anche l’assenza di etica da parte della committenza e talvolta coinvolge anche lo Stato dato che lavoratori sottopagati sono stati individuati anche nei call center che operavano per conto dell’Inps. Per Lumino «quello del call center è un settore “malato”: leggi sfavorevoli, aziende che andrebbero controllate addirittura dall’antimafia e dove i grandi committenti, come ad esempio Fastweb, pensano solo al massimo risparmio disinteressandosi dell’ovvio e conseguente sfruttamento di chi lavora che è l’anello più debole della catena. Noi continuiamo a stare al fianco di questi anelli deboli e se Fastweb non interverrà immediatamente lo riterremo corresponsabile di questa situazione: quello che hanno subito queste donne non deve essere considerato lavoro e questi call center vanno chiusi. Le istituzioni si schierino al nostro fianco e firmino il protocollo sulla legalità per i call center che abbiamo proposto lo scorso mese: non è più in ballo solo il rispetto di un contratto, ma la dignità di esseri umani e di una intera comunità. Queste donne sono state trattate allo stesso modo in cui sono state trattate le lavoratrici nei campi e quindi, come prima cosa, lotteremo perché la legge che punisce i caporali possa finalmente essere estesa anche al settore dei call center».




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