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Noci, il rendiconto finanziario “illumina Delizia spa” La relazione dell'economista Francesco Lenoci

delizia libro

Il rendiconto finanziario illumina Delizia S.p.A.

di Francesco Lenoci

Docente Università Cattolica del Sacro Cuore – Milano

LA BROCHURE

La parte alta della brochure contiene 4 elementi chiave: Noci, Lenoci, Rendiconto Finanziario, Delizia S.p.A.

Come faccio ad assolvere il mio ruolo di conferenziere? . . . .Lo dichiaro subito . . . . creando tra i 4 elementi chiave ben 5 legami:

Lenoci a Noci,

Lenoci e il rendiconto finanziario,

Delizia e il rendiconto finanziario,

Lenoci e Delizia,

Delizia e Noci.

LENOCI A NOCI, LA CITTA’ DELL’ENOGASTRONOMIA

LA PRIMA VOLTA

È la seconda volta che parlo in un meraviglioso Chiostro di Noci. La prima volta, indimenticabile perché appunto la prima volta, è stata il 20 dicembre 2012, presso il Chiostro di San Domenico. Avevo al mio fianco il professor Piero Liuzzi, allora Sindaco di Noci, e il professor Antonio Salvi, all’epoca Docente presso l’Università Commerciale “Luigi Bocconi” di Milano. Chi di voi era presente?….

Parlai di “Ripristinare la normale erogazione di prestiti all’economia”.

Alla fine di quella relazione, l’allora mio nuovo libro “Nuova Centrale dei Rischi – come leggerla, rielaborarla e interpretarla”, Ipsoa, novembre 2012, ricevette dall’avvocato Elio Michele Greco, Presidente della Fondazione Nuove Proposte Culturali, il Premio “Ignazio Ciaia”.

LA SECONDA VOLTA

Dopo una simile prima volta, mi chiedo e vi chiedo perché mai ho fatto richiesta e perché mai mi avete fornito una seconda volta presso il meraviglioso Chiostro delle Clarisse?

È una domanda difficilissima per tutti i popoli della terra, ma non per noi pugliesi: l’unico popolo al mondo che crede nella straordinaria valenza della seconda volta, al punto tale da farne il ritornello di una celeberrima canzone.

Parto io con la prima strofa….. la seconda la fate voi in coro….va bene?

Quant’è bell lu primm ammore,

lu second è chiù bell ancor.

Devo parlarvi di “Educazione”….di educazione finanziaria, reale svantaggio competitivo del nostro Paese.

Un esempio per tutti. Il Sole 24 Ore dal 23 febbraio 2016 ha pubblicato, per 15 martedì, un “Corso pratico di educazione finanziaria”. Detta cosi, sembra una notizia positiva. Visto che siamo un popolo di ignoranti in materia finanziaria, ben venga un corso che colmi tali lacune.

No, le cose non stanno così. Il primo fascicolo del corso si intitola “Vincere le paure”. È un errore, un errore blu….me lo dicono la mia mente, il mio cuore e la mia anima.

Me lo dice la Cultura. Paura ha la stessa radice di pavimento: viene dal latino pavére. Pavère significa battere il terreno per allivellarlo. Terrore ha la stessa radice di terra.

Paura, quindi, è la conseguenza dell’essere battuto, dell’essere calpestato, dell’essere allivellato, dell’essere appiattito.

L’ho detto e lo ripeto. Quel titolo è un errore blu. Mai mai mai la parola “educazione” può essere associata alla parola “paura”.

Purtroppo, non è stato toccato il fondo. Il peggio ve lo racconto adesso. Le Paure, secondo Il Sole 24 Ore, sono quattro. Sapete qual è la quarta paura?

..Investimenti.

La terza paura?

..Pensione.

Mi viene da piangere, se penso ai giovani.

La seconda paura?

.Casa.

Povera Italia.

La peggiore di tutte, la prima paura?

..Banca.

Mi vengono i brividi, se penso che mi sono laureato in scienze economiche e bancarie a Siena.

E allora? E allora, da mo’ vale. . . . questa sera parlo di educazione finanziaria a Noci….

LENOCI E IL RENDICONTO FINANZIARIO

Perché sono autorizzato a parlare di educazione finanziaria, di rendiconto finanziario che riconcilia banche e imprese…..La risposta è facile. . .(ce l’ha insegnato Padre Pio)….per il combinarsi delle combinazioni.

Quale nazione ha la paternità della partita doppia? L’Italia, con fra’ Luca Pacioli.

Quale nazione ha la paternità del rendiconto finanziario? Gli Stati Uniti d’America. …con un tal Mauriello.

Chi ha introdotto il rendiconto finanziario in Italia? Due ricercatori italiani inviati negli USA dalla Bocconi e dall’Università di Siena. Il ricercatore di Siena è stato successivamente il mio professore di Economia Aziendale e il mio relatore in sede di laurea.

Per il combinarsi delle combinazioni quando, nel 1983, sono stato assunto dalla società di revisione “Arthur Andersen”, ero uno dei pochi assistant capaci di redigere il rendiconto finanziario.

Per amor di verità quello individuale; il rendiconto finanziario consolidato mi insegnò a farlo un manager dell’Arthur Andersen un sabato notte a Treviglio, mosso a compassione dalla circostanza che, dopo 11 ore di tentativi, non ero riuscito a farlo quadrare. Come noto, il rendiconto finanziario è uno di quei prospetti per cui vale il detto “Io speriamo che me la cavo…. a quadrarlo”.

A Treviglio certificavo un gruppo fantastico, sia allora che oggi, la SAME Trattori, che predisponeva il rendiconto finanziario di capitale circolante netto, previsto dal principio contabile n. 2 dei CNDCR del gennaio 1977.

Predisponeva è un garbato eufemismo che sta per “Pubblicava”. In realtà lo facevo io.

Così è stato fino al rendiconto finanziario del 1985.

Con riguardo all’esercizio 1986 ho redatto il rendiconto finanziario come quello degli anni precedenti, ma al partner del job non è piaciuto. . . …

Perché? Perché il capitale circolante netto soffre di due gravi difetti. Il primo difetto è che alcune sue componenti (crediti e magazzino) esigibili entro 12 mesi, in realtà possono rivelarsi più immobilizzate delle immobilizzazioni.

Il secondo difetto è che le sue componenti sono soggette a valutazione, per cui se la valutazione la fa Antonio Salvi viene fuori un valore diciamo di 120, se la faccio io il valore scende a 100. Ovviamente, in un mondo che richiede sempre più precisione e accuratezza, questi gravi difetti non vengono più tollerati.

Torniamo al 1986. Al partner il rendiconto finanziario di capitale circolante netto da me predisposto non è piaciuto; lo ha riferito al manager del job che è venuto da me, allora senior, e mi ha detto “Fallo secondo un altro modello”. Ne ho allora predisposti 3 di liquidità, secondo i modelli previsti dai principi contabili dei CNDCR e di Assonime. …e per 3 volte il manager mi ha riferito che al partner piacevano di più rispetto al vecchio modello di capitale circolante netto, ma che eravamo ancora lontani dalla model solution.

Sull’orlo di una crisi di nervi, ho preso il coraggio a due mani, scavalcando il manager (ovviamente rischiando di ottenere un rating form pessimo) e sono andato a parlare con il partner.

Lui era spesso negli Stati Uniti d’America, per cui sospettavo che si fosse innamorato di qualche rendiconto finanziario visto oltre oceano.

Gli ho chiesto “Dottore, lei ha in mente un modello di rendiconto finanziario che le piace particolarmente, vero?….Chi l’ha fatto?” …Non voleva dirmelo …. “Dottore, se non mi dice il nome della società, io non riesco a realizzare quello che lei conosce e io no”. Si è convinto. Si vergognava a dirmi il nome perché quella società era certificata da un’altra società di revisione. Gli ho promesso che fino alla fine del secolo non avrei rivelato il nome della società e allora lui ha tirato fuori da un cassetto il bilancio di quella società. Conteneva, per la prima volta nella storia della contabilità, il rendiconto finanziario di flussi di liquidità. L’ho studiato e ho rifatto il rendiconto finanziario del Gruppo Same Trattori del 1986 secondo il modello dei flussi di liquidità.

La società che l’aveva inventato nel 1986 era la General Electric. L’anno dopo, nel mese di novembre 1987, quel modello divenne uno US GAAP, il FASB 95. È incredibile a dirsi, ma io lo avevo già adottato in Italia un anno prima.

Tutte queste conoscenze in materia di rendiconto finanziario potevo tenermele per me, oppure diffonderle. Scelsi la seconda strada e nel 1990 pubblicai per Ipsoa il libro “I modelli di rendiconto finanziario”. L’Arthur Andersen taggò tante copertine di quel libro e le inviò a tutti i suoi uffici nel mondo. Era troppo bello sentirsi dire dai colleghi: “Ho visto il tuo libro a Chicago, a Eindhoven….”.

Perché vi ho raccontato tutto questo? Perché sul rendiconto finanziario ho pubblicato 4 libri, nel 1990, nel 1997, nel 2001 e nel mese di febbraio 2016 (gli ultimi 3 in collaborazione di Enzo Rocca che ha inter alia realizzato il software di calcolo).

Perché vi ho raccontato tutto questo?… Perché nei 26 anni che separano il primo dal quarto libro, ho insegnato a fare il rendiconto a genitori e figli.

Ovviamente, il quarto libro della serie è più ambizioso degli altri e lo si capisce immediatamente dalla dedica. Nel primo la dedica è “A mia madre e mio padre”, nel secondo non c’è, nel terzo al figlio di Enzo Rocca di cui sono padrino di battesimo e di cresima, nel quarto la dedica è “Al miglioramento del rapporto Banca-Impresa”.

IL RAPPORTO BANCA IMPRESA

Il rapporto banca-impresa….da sempre conflittuale per una serie di motivazioni tecniche (asimmetria informativa, asimmetria negoziale…) di cui non voglio parlare in un Chiostro. In questo Chiostro voglio che il ragionamento arrivi a voi e in voi rimanga a lungo. Per farlo devo menzionare la parola che rende il rapporto banca-impresa conflittuale. È una parola lunga, cattiva, infame, brutta….anzi, come dicono gli Svizzeri, brutta, brutta, brutta. La parola è “Incomunicabilità”.

Brutta, brutta, brutta cosa l’incomunicabilità. Occorre evadere, occorre comunicare.

Comunicare significa condividere, mettere qualcosa in comune con gli altri: nel mercato finanziario la comunicazione è l’insieme delle strategie e degli strumenti utilizzati per rendere fruibili informazioni di carattere economico-finanziario ad investitori e parti terze, tra cui le banche per quanto concerne le imprese.

Il processo di trasformazione del puro dato numerico in informazione inizia da una fase di interpretazione dei risultati aziendali che vengono analizzati e valutati. Questo processo consente l’efficacia comunicativa dell’informazione.

Tuttavia, la presenza del ricevente non implica necessariamente l’assunzione completa dell’informazione. Ciò dipende dall’efficacia del canale ma, soprattutto, dal risultato dell’interpretazione del messaggio da parte del ricevente. È a tal fine che risulta di fondamentale importanza l’Educazione Finanziaria, tallone d’Achille nel nostro Paese.

Nel libro ci sono 5 casi di educazione finanziaria: Caseificio Delizia, Biscottificio Di Leo, Biscottificio Campiello, Panealba, Gruppo Panealba – Campiello.

Dobbiamo fare adesso un rapidissimo corso di educazione finanziaria.

DELIZIA E IL RENDICONTO FINANZIARIO

Facciamo riferimento ai dati del Caseificio Delizia al 31 dicembre 2014.

Il Caseificio Delizia quanto ha di capitale investito al 31 dicembre 2014: 15 milioni di euro.

È in equilibrio patrimoniale? No, perché il patrimonio netto più il passivo MLT di 6,0 milioni di euro (il 41% del totale finanziamenti) non copre l’attivo immobilizzato (6,9 milioni di euro).

Con quel capitale investito e quei finanziamenti, quanto ha fatturato nel 2014? 28 milioni di euro.

È in equilibrio reddituale? Certo che si, perché ha una risultato operativo che è l’1,6% del fatturato (ROS) e il 3,1% del capitale investito (ROI).

Capiamoci. Cosa significa che è in equilibrio patrimoniale? Pensate a una macchina di formula 1, alla Ferrari. Significa che ha un buon telaio.

Cosa significa che è in equilibrio reddituale? Significa che ha un buon motore.

Qual è l’obiettivo del telaio e del motore? Far correre il più velocemente possibile la vettura sulle sue quattro gomme. Le quattro gomme sono quindi decisive per il conseguimento dell’obiettivo….debbono andare in temperatura il prima possibile…debbono deteriorarsi il più tardi possibile…diventa strategicamente importante quando sostituirle….

A cosa possiamo paragonare le gomme?….al più importante degli equilibri aziendali…all’equilibrio finanziario.

Qual è il prospetto contabile che mostra la situazione finanziaria dell’impresa? È il rendiconto finanziario.

Cosa dice il rendiconto finanziario di Delizia nelle parti basse? Delizia all’inizio dell’anno in oggetto ha Disponibilità liquide pari a 137 mila euro. E a fine anno? Le disponibilità liquide sono diventate 20.000 euro. Passando da 137 mila a 20 mila si è verificato un decremento di 117 mila euro. Sarebbe molto interessante sapere perché c’è stato un decremento di 117 mila euro? Ma come si fa? Semplice, basta risalire dalle parti basse alle parti alte del rendiconto finanziario.

L’attività di finanziamento ha assorbito liquidità per 1,4 milioni di euro. L’attività di investimento ha utilizzato liquidità per 800 mila euro. Se Delizia ha rimborsato i finanziamenti e ha investito abbastanza (2,2 milioni di utilizzi in totale), come ha fatto a diminuire la liquidità di soli 117 mila euro? Semplice, con la gestione reddituale che ha generato liquidità per 2,1 milioni di euro.

Concludendo, Delizia gode di scarso equilibrio patrimoniale, buon equilibrio reddituale e finanziario. . . .Volendo continuare il paragone con la formula 1 ha un telaio così così, un motore che gira bene e delle gomme performanti.

Questo è il giudizio che ne da’ un professionista, un direttore amministrativo, un direttore finanziario, un dottore commercialista.

Vengo alla domanda imbarazzante, anche la banca da’ un giudizio altrettanto buono?

Quanti si….

Quanti no…..

Riformulo la domanda, dopo aver fornito un chiarimento. La Banca, quando dà un giudizio sul bilancio di un’impresa, un giudizio quantitativo, pensa sempre in maniera negativa. Considera la cosiddetta probabilità di default, ossia la probabilità che l’impresa salti, diventi insolvente nel corso di dodici mesi.

Lo sappiamo tutti che, mentre la vita media degli esseri umani è aumentata in maniera significativa, la vita media delle imprese e degli artigiani si è drammaticamente accorciata.

Ciò porta inevitabilmente la banca a considerare l’impresa come entità a rischio e il rischio è rappresentato dalla circostanza di non riuscire più a recuperare il capitale che ha prestato e gli interessi che sono maturati.

Ripeto la domanda. Il rischio relativo a Delizia, una banca lo considera basso o alto?

Basso…..

Alto…..

La risposta esatta è basso. Evviva, Evviva, Evviva.

DELIZIA, NOCI, LENOCI

Come è riuscito il caseificio Delizia (dal 2010, prima caseificio D’Ambruoso) a diventare molto di più di un’impresa con tutti gli equilibri a posto, come afferma un dottore commercialista, o con un profilo di rischio basso, come dice un addetto ai fidi?

La risposta va ricercata, oltre che nel suo patrimonio tangibile, nel suo meraviglioso patrimonio intangibile.

Delizia lavora esclusivamente latte crudo pugliese raccolto quotidianamente direttamente con i suoi mezzi, dagli allevamenti della Murgia barese e tarantina, che ha selezionato per qualità della loro produzione e per la ricchezza dei pascoli.

Siamo di fronte al plurimenzionato Km 0, ma in chiave innovativa….Delizia non procede come un’azienda….Delizia si muove e si muoverà sempre di più come Distretto.

Delizia prepara le cagliate manualmente. Il connubio fra la tradizione artigianale, grazie all’antico metodo di produzione mediante siero innesto, e l’utilizzo di moderne tecnologie per garantire il rispetto dei protocolli di certificazione, ha consentito a Delizia di conquistare una posizione prestigiosa nella produzione di mozzarelle, fiordilatte, burrate e altri prodotti caseari a marchio “Deliziosa”.

Grazie a procedure computerizzate, Delizia è in grado di assicurare ai consumatori un prodotto lavorato e distribuito giornalmente da una moderna e capillare rete distributiva in grado di assicurare un’assoluta freschezza.

Lo slogan di Delizia: “Dalla terra all’Uomo, dalla tradizione Pugliese alla tavole di tutto il Mondo”.

Tutto il mondo….quale città nel 2015 ha avuto il mondo dentro? …Milano, grazie a EXPO 2015.

Io non so come sono riuscito a non cadere per terra quando ho letto, sul lato superiore dell’ingresso della Metropolitana di Cairoli, “Caciocavallo Deliziosa stagionato in grotta, un piacere tutto pugliese”. Sono sceso al Duomo e c’era la stessa scenografia….era dappertutto, in tutti gli ingressi della metropolitana milanese.

Dovevo conoscerli…e così è stato…il 4 maggio 2015 è avvenuto l’incontro a TuttoFood di Milano, ma io ero anche stato al Vinitaly di Verona.
Ebbene, mi ci sono volute 5 settimane per combinare il matrimonio tra il caciocavallo stagionato in grotta di Delizia e il Madrigale del Consorzio Produttori Vini di Manduria. Non l’ho solo combinato quel matrimonio….l’ho anche celebrato il 13 giugno a Milano. In prima fila, tra gli invitati, c’era Ciro Tortorella.

16 giorni dopo, il 29 giugno 2015, Delizia è stata capace di qualcosa di incredibile. Nel pomeriggio ha affidato i suoi prodotti allo chef messicano Mario Espinosa, presso il meraviglioso padiglione del Messico e, a cena, alla chef portoghese Elsa Viana e allo chef stellato piemontese Walter Ferretto presso il Padiglione dell’Angola.

Tanto per capirci, la cucina messicana è patrimonio dell’Unesco. . . .e noi abbiamo spiegato a loro che l’origine della parola “formaggio” si deve ai Greci. L’etimologia deriva dal greco formos che indicava il paniere di vimini dove si poneva a riposare la cagliata, che ha poi dato origine al formaggio. Questo termine divenne in latino formaticum e poi formaggio in italiano e fromage in francese. In età romana, però, prima epoca d’oro del formaggio, era indicato come caseus da cui derivano gli italiani casaro e caseificio, oltre che il tedesco kase. Lo stesso termine “cacio” deriva dal caseus latino.

Il 18 agosto 2015 ho visitato il laboratorio e le grotte di Delizia a Noci, vedendo di persona tante cose che avevo intuito. In quella circostanza sono riuscito a convincere Giovanni D’Ambruoso a superare il tabù che attanaglia tante imprese del settore alimentare (sia pugliesi che nazionali): la diffusione dei dati di bilancio.

MI AVVIO ALLE CONCLUSIONI

Come ne veniamo fuori da un mondo in cui gli antichi valori sono andati giù, in cui il mare ha inghiottito le boe, sicure e galleggianti, cui attraccavamo le imbarcazioni in pericolo?

Un mondo pieno di paure, come non perdere i risparmi di una vita a causa di un investimento sbagliato, non riuscire a ottenere una pensione decente, reperire le risorse per comprare o prendere in affitto una casa, trovare una banca che prenda e in seria considerazione un progetto imprenditoriale e lo finanzi.

La risposta, come ha indicato un maestro–testimone, vescovo–poeta, profeta–prossimo Santo, don Tonino Bello, è che non basta più enunciare la speranza: occorre organizzarla.

La risposta è che occorre far pervenire tanti messaggi di coraggio e operatività ai giovani capaci di dar vita ad attività imprenditoriali, vale a dire alla punta più avanzata di organizzatori della speranza, per sé e per gli altri.

Chi sono i giovani? Sono le persone capaci di coltivare degli ideali per i quali valga la spesa battersi, a prescindere dal numero degli anni vissuti.

Chi è l’imprenditore? È una persona che – sapendo, sapendo fare e facendo sapere – è capace di creare valore aggiunto, tanto valore aggiunto, vedendo quasi sempre il bicchiere mezzo pieno.

Chi ha dato la più bella definizione di attività imprenditoriale. . . . di sempre. ….Papa Francesco.

L’attività imprenditoriale è una nobile vocazione orientata a produrre ricchezza e a migliorare il mondo per tutti.

L’attività imprenditoriale può essere un modo molto fecondo per promuovere la regione in cui colloca le sue attività, soprattutto se comprende che la creazione di posti di lavoro è parte imprescindibile del suo servizio al bene comune”. (Cfr. Laudato si’129).

CONCLUDO

Il formaggio ha conosciuto momenti bui, quando con il boom economico a fine anni cinquanta veniva prodotto in tanti casi con latte pastorizzato. In quegli anni, purtroppo, i sapori si omologavano, i profumi erano quasi inesistenti, la ristorazione non aveva nulla a che fare con il formaggio e, come se non bastasse, la medicina considerava il formaggio un problema per la salute.

Oggi le cose sono cambiate: la ristorazione è sempre più alla ricerca di formaggi di qualità, connotati di identità, testimoni del territorio di appartenenza.

C’è un solo modo per esprimere questo concetto al meglio ed è quello di ricorrere ad una poesia, ovviamente in dialetto.

Muzzarĕddẹ de Nŏuscẹ

(di Giovanni Nardelli)

Jẹ’ ca sŏntẹ sciùcaróulẹ

vŏgghjẹ dẹscẹrẹ dò paróulẹ,

sòp’a mŏzzarĕddẹ dẹ Nóuscẹ

ca tanta piacère a mè m’annóuscẹ.

Muzzarĕddẹ bẹrafattẹ,

c’agnẹ rịgghjẹ jẹ’ t’accattẹ,

bianca bianchẹ bĕdda lucĕntẹ,

tŭ mẹ tinẹ u córẹ cuntĕntẹ.

Te sẹntẹ mŏrbẹdẹ e succóusẹ

m’addẹfrišchẹ tŭttẹ i móusẹ,

nu mùzzẹchẹ tẹ stóc’azzĕcchẹ

póurẹ u ‘nzẹddẹ tẹ stóc’allĕcchẹ.

Bĕdda tŏnnẹ ‘ssẹ’ pẹrfĕttẹ

sòpẹ a tawulẹ ‘ssẹ bẹnẹrĕttẹ.

Fióurẹ dẹ lattẹ fióurẹ dẹ pannẹ

tŭttẹ quantẹ tẹ vònẹ acchiannẹ,

sijẹ lẹ jrannẹ ca lẹ pẹccẹnnẹ

tŭ accuntintẹ tŭttẹ u mŭnnẹ.

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