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Castellana Grotte: invecchiamento, scoperto un marcatore genetico Al "De Bellis" la ricerca. Chi lo ha nel Dna ha un rischio minore di ammalarsi di diabete, malattie cardiovascolari e tumori

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Di seguito un comunicato diffuso dai responsabili della ricerca:

La ricerca nel campo delle patologie collegate all’invecchiamento compie un importante passo avanti. All’IRCCS De Bellis di Castellana è stato infatti scoperto un nuovo marker genetico legato alla longevità. La ricerca, condotta per cinque anni dall’équipe del professor Cristiano Simone (con finanziamenti ministeriali e dell’AIRC – Associazione Italiana per la Ricerca sul Cancro) mette a fuoco il funzionamento della variazione di un singolo frammento – tecnicamente SNP del gene FOXO3 – tra i 3.5 miliardi che compongono il nostro codice genetico. “Abbiamo scoperto – spiega il prof. Simone – che le persone nate con questa caratteristica genetica hanno una potente arma in più per resistere allo stress cellulare e quindi invecchiare meglio, resistere meglio a condizioni sfavorevoli (clima, alimentazione ecc) e a varie patologie legate all’invecchiamento, dal diabete alle malattie cardiovascolari, al cancro. Inoltre i soggetti con questa caratteristica genetica potrebbero essere più resistenti anche agli effetti avversi delle terapie mediche e oncologiche, così come potrebbero avere minor probabilità di essere colpiti da malformazioni fetali in gravidanza, oppure diabete nella vita adulta”.
La ricerca di Simone e del suo staff – Valentina Grossi, Giovanna Forte, Paola Sanese, Alessia Peserico, Tugsan Tezil, Martina Lepore Signorile e Candida Fasano – è stata appena pubblicata su ‘Nucleic Acid Research’, la rivista scientifica di Genetica della Oxford University Press (UK). Prende le mosse da diversi studi condotti in tutto il mondo su 15mila persone di diversa età, etnia e stili di vita, in cui questa modifica genetica era stata semplicemente evidenziata come presente nell’80% dei centenari dell’intero pianeta.
Il benessere delle nostre cellule, infatti, dipende dall’interazione fra i nostri geni, il nostro DNA, e l’ambiente circostante; e soprattutto dalla capacità di resistere allo stress cellulare (caldo-freddo, riduzione di nutrienti, stress ossidativo), di eliminare i prodotti tossici e di riparare il nostro DNA. Dunque l’invecchiamento e molte patologie umane dipendono dall’accumulo di danni cellulari e del DNA nell’arco della vita. Nelle nostre cellule abbiamo alcune proteine e geni nucleari deputati a funzioni di protezione: lo studio delle loro variazioni – perlopiù ereditarie – è strategico perché può influenzare lo sviluppo delle patologie o la risposta ai patogeni e agli agenti chimici. In particolare “La nostra scoperta – continua Simone – si lega anche allo sviluppo di nuovi farmaci e alla diagnostica, in quanto consente di prevedere tramite screening l’effetto che può avere un farmaco prima della somministrazione”.
Insomma, “attraverso la caratterizzazione di questa singolo frammento della sequenza di DNA – conclude il prof. Gianluigi Giannelli, Direttore Scientifico del De Bellis – è stato individuato un meccanismo molto più ampio in grado di modificare il nostro stato di salute e l’aspettativa di vita. Riteniamo che questa caratteristica genetica potrà essere sfruttata come importante marker predittivo per valutazioni prognostiche e terapeutiche: un nuovo utile strumento per la medicina personalizzata e di precisione”.

(foto: il professor Cristiano Simone e il suo staff)

 




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