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Roma ladrona, non più. Regioni del sud, le più tartassate Federalismo fiscale, effetti non auspicati

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Di Benedetta Dentamaro:

 

Fino a qualche anno fa l’espressione “Roma ladrona” era usata per indicare che le tasse pagate dai cittadini di tutta Italia finivano nelle casse dello Stato centrale, e venivano redistribuite alle regioni in modo non soddisfacente. Nel 2009 entrarono in vigore le prime misure di federalismo fiscale, fortemente voluto dalla Lega Nord per garantire che una parte dei tributi rimanesse nelle regioni dove venivano raccolti. La legge Calderoli introdusse la possibilità per le regioni e gli enti locali di variare le aliquote fissate dallo Stato e la riforma del 2013, quella di creare nuovi tributi locali.
La riforma aveva tra i suoi obiettivi la responsabilizzazione dei governi regionali e locali, l’equità del sistema fiscale e la redistribuzione delle risorse tra Nord e Sud.
Gli effetti non sono tardati, ma non sono quelli auspicati. Infatti, in base ai rilevamenti annuali del Centro Studi Unimpresa, la tendenza costante è l’accentuarsi del divario tra Nord e Sud.
Negli ultimi anni, i contribuenti delle regioni meridionali sono stati i più tartassati, sia in termini assoluti che in percentuale.
I tributi presi in considerazione dalla “Mappa del fisco locale” di Unimpresa (che rielabora dati dell’Agenzia delle Entrate, della Corte dei conti e del Dipartimento Finanze) sono le variazioni alle aliquote scelte da regioni e comuni per Irap, Irpef, Imu e Tasi, che incidono sulle imprese e sul bilancio famigliare (casa, auto, utenze).
Volendo stilare una classifica, si possono suddividere i capoluoghi di provincia in tre categorie. In quella più onerosa troviamo Napoli e Campobasso (insieme a Roma, Torino, Genova, Bologna, Ancona), dove tre su quattro tributi locali sono basati sulle aliquote più elevate.
Al secondo posto, Bari, Potenza, Catanzaro e Palermo (con Firenze, Perugia e Trieste).
Nella categoria con i tributi meno pesanti le uniche città del sud sono L’Aquila e Cagliari (a fianco a Milano, Aosta, Trento e Bolzano). Il capoluogo più virtuoso è Venezia, sola città dove le aliquote rimangono sempre al di sotto dei massimi fissati dallo Stato.
Se guardiamo ai valori assoluti, un contribuente con un reddito annuo di 36 mila euro si ritroverà a versare un’addizionale regionale Irpef diversa a seconda della regione di residenza: la più salata è quella del Lazio, dove pagherà 849 euro. Seguono il Molise (789 euro) e la Campania (731 euro). Risulta più conveniente pagare le tasse nel Nord Est e in particolare in Friuli Venezia Giulia (363 euro). La forbice si allarga con l’aumentare del reddito, per cui chi ha un reddito molto elevato può arrivare a risparmiare nel Nord Est fino a 3000 euro.
Questo andamento è confermato dalla relazione sulle “Economie regionali” pubblicato dalla Banca d’Italia in agosto, che
analizza un paniere più ampio (le addizionali regionali e comunali Irpef, l’addizionale regionale sul metano e sulla benzina, la tassa sui servizi indivisibili, la Tasi, la Tari, l’imposta provinciale sulla Rc auto, e sulle trascrizioni).
Tra il 2016 e il 2017, la pressione fiscale locale complessiva è aumentata maggiormente in Puglia (+3,2%), dove si stima un prelievo di 1697 euro annui per una famiglia media (due genitori lavoratori dipendenti con due figli minorenni a carico, abitazione in proprietà e un’auto). Al terzo posto, dopo la Sardegna (+2,1%), si posiziona la Calabria (+1,9%, 1834 euro) seguita dall’ Abruzzo (+1%, 1780 euro). In termini assoluti, la regione con la maggiore imposizione fiscale rimane la Campania con 2144 euro. All’estremo opposto si piazzano Valle D’Aosta (regione a statuto speciale, 1.160 euro), Friuli Venezia Giulia (1.268), Lombardia (1.400), Basilicata (1.452) e Veneto (1.460).
Questi dati mettono luce il fallimento del federalismo fiscale. Se l’originaria intenzione era quella di una più equa redistribuzione, in realtà il divario Nord-Sud continua ad aumentare. Già in partenza, le risorse sono squilibrate, con un tasso di disoccupazione superiore al Sud e una maggiore concentrazione di ricchezza al Nord. La distribuzione del reddito è più diseguale nel Mezzogiorno, soprattutto in Sicilia, Puglia e Campania.
A questa situazione si aggiungono le differenze fiscali, che pesano sulle famiglie e sulle imprese e spesso non vengono compensate da servizi sociali efficienti (si pensi che la sanità rientra in questa materia).
Per arginare la deriva del meridione è necessario riorganizzare in maniera organica il sistema tributario, così da rilanciare i consumi e gli investimenti nell’impresa e nella competitività.

 




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