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Bari, paga il biglietto del treno Fse al migrante: “sono stato straniero anch’io” Il bel gesto di un viaggiatore, in Puglia nessuno è straniero

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Scrive Michele Ciavarella:

Sono passati un po’ di giorni e adesso posso parlarne. Non ne avevo voglia, perché col tempo la voglia di denunciare mi sta morendo nel cuore, e mi sento sempre più ingoiato dallo stretto imbuto dell’impotenza. Ma oggi voglio raccontarvi una storia. Una settimana fa sono salito su un treno delle ferrovie sud est. Era già sera, forse le 20:30. A quell’ ora tutti i bar delle stazioni sono chiusi, e le biglietterie automatiche spesso guaste o spente. Io sono riuscito a salire perché ho uno smartphone, e posso acquistare on-line con una certa agilità. Alla fermata di Mungivacca, un ragazzo si avvicina allo sportello del treno. Una schiera di agenti di sicurezza fa muro, senza parlare. Una giovanissima donna, che d’ora in poi chiamerò “la vidimatrice”, intima al ragazzo di mostrarle il biglietto. Lui fa notare che non ci sono state possibilità di acquistarlo, e apre il palmo della sua mano, pieno di spiccioli, la cui somma raggiunge il costo del biglietto. Si vede, che è una somma raggiunta a fatica, perché quegli spiccioli sono tantissimi, sono stati contati con cura. La vidimatrice dice che per salire sul treno bisogna pagare cinque euro. Ma non lo dice a lui, lo dice e basta. Lui si agita, quel treno deve prenderlo ma i soldi non ce li ha. La vidimatrice urla verso l’abitacolo guida del vagone “chiudi e parti”. Il ragazzo comincia ad agitarsi ancora di più e piange. Sì, posso scorgere la tangibile traccia di una lacrima sul suo volto. In treno, qualcuno ride. Il ragazzo urla, si dispera. La vidimatrice grida di partire. Mi alzo e pago quei cinque euro. Lo faccio io, col mio corpo. Ma non sono io a farlo. Provo pena per tutti noi, me compreso. Il ragazzo sale. Il treno riparte. Qualcosa di noi resta fermo e morto in quel posto da cui il treno si allontana. Né io né il ragazzo ci guardiamo negli occhi per tutta la durata del viaggio. Un uomo gli dice, indicandomi, “quel ragazzo ti ha pagato il biglietto”. Ma né io né lui osiamo guardarci. La vidimatrice gli si avvicina per consegnargli la ricevuta. Lui non la guarda, non è lì davanti a lei, ma, impregnato del suo silenzio, sta sognando qualcosa. La vidimatrice, allora, porta a me quella ricevuta. Il treno arriva a Bari, scendiamo. Sono nel sottopassaggio e sento qualcuno che tocca la mia spalla. Amico, grazie. Ha in mano quegli spiccioli e vuole darmeli. Quel momento, l’incontro dei nostri occhi, era un momento nostro. Quando due occhi si guardano, due mondi si incontrano. E proprio lì ho fatto caso a una cosa. La vidimatrice e le guardie di sicurezza non hanno mai guardato negli occhi quel ragazzo. Forse hanno visto solo il colore della sua pelle. Su quel treno c’era il rifiuto di farsi mondo. Ed è come se i nostri corpi, il mio e il suo, lo sapessero. Sapevamo che il nostro saluto non poteva abitare lì dentro. Che quel treno non era una casa adatta allo stringersi di due anime. Sono stato straniero anch’io, e, quando sei straniero, due occhi che ti guardano sono la tua salvezza.
Io sogno un mondo in cui gli uomini tornino a guardarsi negli occhi.




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1 Comment

  1. Questo Signore ha dato una lezione di vita a tutti e con il suo piccolo ma importante gesto ha ripulito le coscienze di quelli che urlano e sbraitano senza sapere .

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