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Ginosa: il caporalato e la malaria I quattro braccianti africani, ora ricoverati al "Moscati" di Taranto, vivevano in condizioni subumane, l'imprenditore (italiano) 43enne sfruttava lavoratori stranieri a livello di schiavitù

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Nel giro di poche ore, due vicende riguardanti Ginosa: quattro braccianti africani affetti da malaria, due arrestati per caporalato. Due vicende diverse. Stessa radice, territoriale. Ma anche di altra natura: lo sfruttamento del lavoro in agricoltura. Quello che poi permette a noi italiani di trovare nel nostro piatto, ciò che spesso viene raccolto dai migranti, quelli che poi noi italiani schifiamo. Pure.

Dunque: i quattro migranti africani affetti da malaria stanno (quasi) tutti bene, ormai. Qualche preoccupazione ancora per l’ultimo ricoverato al “Moscati” di Taranto, non comunque in pericolo di vita. Si cerca ora la fonte della zanzara anofele. Il ministro della Salute parla di insetto trasportato in valigia e non, dunque, di zanzara autoctona. Ma andare a vedere come vivessero quei quattro braccianti che si sono ammalati, e come vivano con loro altre decine di migranti in quell’immobile di contrada Pantano a Ginosa, immobile ex locale tecnico di un ente, ecco andare a vedere, suscita anche qualche dubbio. C’è pure una vasca di acqua putrida, lì. A parte i giacigli e la sporcizia complessiva, i vetri rotti e le condizioni di vita subumana complessive, per quei migranti. Che vanno a lavorare nei campi. Sfruttati, talvolta o spesso, da imprenditori italiani.

Come, nel caso che è diverso quale caso specifico rispetto a quello dei braccianti ammalati di malaria, quell’imprenditore 43enne di Ginosa, arrestato insieme al suo caporale romeno. Ecco cosa faceva, questa gente, secondo i carabinieri allertati dalla denuncia della Flai-Cgil: sfruttava 35 braccianti romeni, con paga a livello pratico di un euro al giorno, con sfruttamento del tipo 17 ore di lavoro al giorno, con tugurio per dormire tutti insieme e al bagno tutti insieme. Ma solo il bagno degli uomini, le donne dovevano così andare a farla fuori, per un po’di riservatezza. E quando due lavoratori sono stati sospettati di avere denunciato, sono stati malmenati.

Ecco, tutto questo schifo è stato registrato non in Africa o in chissà quale altra località di provenienza di migranti: in Italia. In Puglia. In provincia di Taranto. A Ginosa.

Agostino Quero




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