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Cento anni fa, la fine della prima guerra mondiale per l’Italia Armistizio il 4 novembre 1918. Giornata dell'unità nazionale e delle forze armate. Trentamila pugliesi non tornarono dal fronte

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Il 4 novembre 1918 con l’armistizio di Villa Giusti l’Italia usciva dal conflitto mondiale. Che terminò l’11 novembre con l’armistizio di Compiègne. Oggi si celebra la giornata dell’unità d’Italia e delle forze armate. Manifestazioni in ogni dove, nel nostro Paese. Compresa la Puglia, naturalmente.

Di Antonio Scialpi:

La Grande guerra fu differente da tutte le altre.

Mondiale per la prima volta. Con gli Stati Uniti, fuori dal tradizionale teatro europeo di guerra e fuori dal Mediterraneo.
La causa immediata? L’attentato di Sarajevo il 28 giugno 1914. Fu il gesto terroristico compiuto dal giovane attentatore serbo bosniaco Princip contro l’arciduca Francesco Ferdinando ,erede al trono austro-ungarico, e sua moglie Sofia, durante una visita ufficiale nella città bosniaca.
Il secolo breve cominciò a Sarajevo( 1914) e finì a Sarajevo ( 1992).
Non fu però la vera causa, la classica scintilla, ma il terminale di tanti malesseri.
Il volto oscuro del Novecento.
L’Europa dell’ Ottocento era dilaniata dai nazionalismi sia ad ovest che ad est, a nord come a sud. In tutti i punti cardinali.
Gli imperialismi avevano creato gravi tensioni internazionali sul piano politico ed economico.
Lo sfruttamento di stati ricchi su popoli poveri.
Gli stati liberali sfiniti.
Gli imperi secolari ( Il sacro romano impero germanico, quello austro-ungarico, quello zarista e non ultimo quello ottomano e i giovani turchi) non reggevano più alle grandi contraddizioni della seconda rivoluzione industriale.
La corsa al riarmo caratterizzò il decennio precedente la guerra. Eccelse la Germania con il suo pangermanesimo in contrasto con il sentimento nazionalistico francese della “ rinvicita”, dopo la guerra franco-prussiana del 1870.
La novità fu il sentimento nazionalistico slavo. I Balcani per tutto l’Ottocento erano stati una polveriera, sull’orlo continuo del conflitto di ispirazione etnica.
Ma anche il sionismo si affacciò.
E poi la convinzione fatalistica di massa, ben orientata dai comunicatori dell’epoca, che solo la guerra poteva risolvere le vecchie e nuove questioni internazionali. Gli effetti della prima grande globalizzazione seppur ancora commerciale.
La stessa cultura come i grandi giornali diffondevano questo sentimento, che attraversò persino l’Internazionale socialista, tradizionalmente pacifista, come gran parte del mondo cattolico avvinghiato al messaggio sintetizzato nel 1916 nell’ “ Inutile strage” di Benedetto XV.
L’Italia con il suo irredentismo per le terre giuliane, non fu da meno. Molti parlarono di una IV guerra di indipendenza, ovvero guerre con l’Austria, per ridare spazio ai confini naturali dell’Italia verso l’Austria, l’Istria e la Dalmazia.
Il compimento del Risorgimento incompiuto. Trento e Trieste le città simbolo.
Ma molti soldati non ne conoscevano l’esistenza.
L’Italia come altri paesi si divise tra neutralisti ed interventisti.
Questi ultimi agitarono le folli con discorsi di fuoco, linciaggi, lacerando il naturale sentimento di pace dei popoli. L’ex socialista Mussolini, Marinetti e D’Annunzio in primis. Persino Giuseppe Ungaretti, a stare come sugli alberi le foglie. Nell’autunno della democrazia liberale.
Fu sconvolta anche la strategia delle vecchie alleanze. Dalla “Triplice alleanza” con Austria e Germania alla “Triplice intesa” con Francia Inghilterra e la lontana Russia zarista. Un giro di valzer.
Il re? sempre quello. Vittorio Emanuele III. Fino alla seconda guerra mondiale.
Il vecchio leone di Dronero, Giovanni Giolitti, aveva sconsigliato l’intervento in guerra. Conosceva molto bene la polveriera balcanica ed era convinto che l’Italia neutrale avrebbe avuto non molto ma “parecchio”. Conosceva l’impreparazione dell’Italia, anche se il capitale finanziario italiano premeva per l’entrata in guerra con la Fiat, l’Ansaldo, l’Ilva, la Breda.
Altro che guerra di popolo.
La Grande guerra si articolò per quasi 5 anni come una sfida infernale.
“ Cinque anni di guerra come cinque secoli di storia” ( Antonio Gramsci)
Nuove armi, carri armati, aerei da guerra , bombardamenti, gas chimici e letali.

Una guerra-lampo? No, una guerra di trincea. L’usura delle menti.
La Marna e Verdun, battaglie infernali non erano luoghi dei Balcani, ma lungo i confini franco-tedeschi.
Milioni i morti.
Ancora oggi a distanza di 100 anni, gli storici litigano sul numero: 17 milioni, 18 milioni, 20 milioni, 26 milioni.

Il fatto è che la guerra per la prima volta invase le città e non solo valli e montagne. I bombardamenti. Le città mostrarono il volto della morte. Le popolazioni furono attraversate da epidemie e pesti. Chi l’aveva fatta franca al fronte ci rimise poi la vita con la “ spagnola”, le ferite inguaribili, le dolorose mutilazioni, gli sconvolgimenti mentali e i traumi di guerra, la povertà e la fame, le frustrazioni di vittorie mutilate. Con un fucile tra le mani, qualche medaglia e niente più. Poi arriverà il titolo di Cavaliere di Vittorio Veneto per tutti i fortunati sopravvissuti. Magra consolazione.
In Puglia nel periodo 1915-1918 partirono per il lontano fronte delle Alpi circa 290 mila soldati. Il distretto militare che fornì il maggior numero di soldati fu quello di Lecce con oltre 76 mila, seguito da quello di Barletta (circa 60 mila) e Bari (circa 57 mila). 26.811 non fecero ritorno a casa, mentre altri 1.324, sopravvissuti alla guerra, persero la vita negli anni seguenti per cause o circostanze riconducibili alla guerra. In totale 28.195 Caduti, pari a circa il 4,5% dei morti italiani della prima guerra mondiale.
La medicina fece triplici salti mortali.
Le prime radiografie, le infezioni, gli ospedali da campo. Perfino sul fronte italiano- austriaco , una facoltà di Medicina nel 1916 a san Giorgio Nogaro con sedici ospedali da campo. Medici si divenne sul campo, morendo come altri soldati, dopo averli curati.
Tre anni lontani da casa indussero le donne a sostituire gli uomini nel lavoro, nei campi soprattutto, ma anche negli uffici e persino nelle industrie.
Molte delle 22 Nazioni in guerra non erano preparate alla guerra. Vinse la propaganda per la guerra. Di quelle Nazioni che avevano gli arsenali pieni di armi.
Lo seppero sulla propria pelle i soldati italiani mandati a morire a Caporetto,ignari della guerra, della geografia, della storia e della lingua italiana; quelli russi, che fraternizzavano sul fronte con quelli tedeschi, mentre Lenin tornava in Russia per trasformarla con la Rivoluzione di Ottobre nell’ex Unione sovietica.
Il 1917 fu l’anno della svolta. Dopo le trincee.
Con l’ intervento degli Stati Uniti di Wilson, i suoi 14 punti e la Società delle Nazioni che avrebbero condizionato il mondo fino alla seconda guerra mondiale, la più devastante, appena 20 anni dopo.
Una Rivoluzione comunista, nell’altra Europa.
Una Conferenza di pace a Parigi nel 1919 divisa in 4 trattati. La fine degli imperi secolari.
Nuove nazioni. La Jugoslavia, la Cecoslovacchia, la Polonia, l’Ungheria, la Bulgaria, l’Austria, la Turchia, le nazioni nordafricane, l’Albania, l’Iran, L’Iraq… la questione palestinese e ed israeliana mossero i primi passi. Con l’Italia appesa a Fiume e lo sguardo verso il fascismo.
La nuova ed inedita egemonia americana sul mondo con paci formali e feconde di nuovi disastrosi conflitti e sentimenti sovranisti, con confini geografici a tavolino e umiliazioni per i vinti.
Eh si, nuovi nazionalismi, figli dei vecchi. I nazionalismi cambiarono pelle, nelle nuove nazioni o nei territori senza patria.
Quattro paci separate segnarono i nuovi confini nazionali ma non sconfissero i nazionalismi, che sotto altre insegne, come carboni sotto le ceneri della morte, con volti figli della guerra, di lì a poco avrebbero insanguinato nuovamente e tragicamente il mondo, nel 1939. Questa volta non per vie delle vecchie idee liberali impotenti a riformarsi e logorate dagli egoismi dei potenti, ma per colpa di stati totalitari nati con la crisi post-bellica dello stato liberale ed avvelenati dal razzismo.
Le guerre non risolvono problemi, ne creano altri e più tragici.
Anche quando finiscono come nel 1918.
“Finito il ritiro dei feriti e dei morti, che gli austriaci ci lasciarono raccogliere senza sparare un colpo, io mi ero sdraiato, cercando di dormire. La testa mi era leggera, leggera, e mi sembrava di respirare con il cervello. Ero sfinito, ma non riuscivo a prendere sonno. Il professore di greco venne a trovarmi. Egli era depresso. Anche il suo battaglione aveva attaccato, piú a sinistra, ed era stato distrutto, come il nostro. Egli mi parlava con gli occhi chiusi.
– Io ho paura di diventare pazzo, – mi disse. – Io divento pazzo. Un giorno o l’altro, io mi uccido. Bisogna uccidersi.
Io non seppi dirgli niente. Anch’io sentivo delle ondate di follia avvicinarsi e sparire. A tratti, sentivo il cervello sciaguattare nella scatola cranica, come l’acqua agitata in una bottiglia.” ( da Emilio Lussu, Un anno sull’altipiano”)
Le guerre sono follie.

(immagini tratte da Arma dei carabinieri)




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